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I rifugiati siriani in Libano: tra Hezbollah e UNHCR

In 3 sorsi Con al-Asad sul punto di vincere la guerra, in Libano si giocano le sorti dei rifugiati siriani. Dal 2011 il Paese dei cedri ha accolto circa un milione e mezzo di profughi, ma ora alcuni cercano di “facilitarne” il rimpatrio, spesso ignorando le direttive ONU.

1. LE CONDIZIONI DEI RIFUGIATI SIRIANI IN LIBANO

Dall’inizio della guerra civile siriana i libanesi hanno assistito a un vero e proprio esodo di profughi verso il proprio Paese. Il numero di rifugiati in Libano ha raggiunto quota 952,562 secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, meglio conosciuto con l’acronimo inglese UNHCR. Il Governo libanese, d’altro canto, sostiene che il Paese abbia accolto in realtà oltre un milione e mezzo di profughi dal 2011 a oggi, la maggior parte dei quali vive in condizioni di estrema povertà, in tendopoli nella valle della Bekaa o in quartieri popolari dove abusi ed episodi di razzismo sono all’ordine del giorno. A partire dal 2014 una serie di misure adottate dal Governo libanese ha reso sempre più complicato per i rifugiati siriani ottenere un legale permesso di soggiorno, senza il quale è impossibile avere accesso ai servizi pubblici, lavorare regolarmente o semplicemente ricevere un certificato di nascita. Inoltre le condizioni in cui versano i bambini siriani in Libano sono drammatiche: il 75% di loro, infatti, non va a scuola e il lavoro minorile è molto diffuso. Nel frattempo, il malcontento tra i libanesi continua a crescere e i rifugiati sono spesso additati come la causa principale della tragica situazione economica che sta mettendo in ginocchio l’intero Paese.

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Fig. 1 – Tendopoli nella Valle della Bekaa, Libano

2. GLI INTERESSI DI HEZBOLLAH PER UN RIMPATRIO STRATEGICO

Il tema dei rifugiati in Libano è estremamente delicato anche a causa degli interessi delle varie confessioni religiose presenti nel Paese. La maggior parte dei siriani giunti in Libano sono musulmani sunniti, aspetto non gradito dalle élites cristiana e sciita libanese, che si sentono minacciate dall’eventualità di una maggioranza sunnita. Partiti come il Movimento Patriottico Libero (FPM), ma soprattutto Hezbollah, si stanno impegnando per facilitare o forzare il rientro in patria dei rifugiati. Il partito filo-iraniano, infatti, ha dichiarato di volere sfruttare gli ottimi rapporti che ha con Bashar al-Asad per permettere ai profughi siriani in Libano di fare ritorno in Siria. Con il beneplacito del presidente Michel Aoun e del partito da lui fondato (FPM), Hezbollah ha cominciato a collaborare con l’agenzia d’intelligence libanese (La Sûreté Générale) e Damasco per allestire centri che gestiscano il rimpatrio dei rifugiati. Oltre ad agire come un’entità parastatale, Hezbollah cerca di perseguire degli obiettivi politici cari al partito e a i suoi alleati, Siria ed Iran. Infatti Hezbollah ha facilitato il rientro di alcuni rifugiati in Siria non nelle loro zone di provenienza, bensì nelle regioni di Idlib e Aleppo. L’obiettivo è quello di distribuire i rifugiati in regioni strategiche in modo tale da non inserire nessuna enclave sunnita all’interno del cosiddetto “arco sciita”, che si estende da Tehran fino a Beirut, passando per Baghdad e Damasco.

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Fig. 2 – Gebran Bassil visita un campo profughi ad Arsal, Libano

3. UNHCR ALLA MERCÈ DI HEZBOLLAH, GEBRAN BASSIL E DAMASCO

L’UNHCR ha il compito di garantire ai siriani in Libano un rimpatrio sicuro e volontario, conducendo interviste e sondaggi tra i profughi e monitorando il rientro degli stessi nelle zone di confine. Malgrado l’ONU continui a sostenere che la situazione attuale in Siria non sia sufficientemente sicura per permettere ai rifugiati di fare ritorno in patria, il ministro degli Esteri incaricato, Gebran Bassil, sembra essere convinto del contrario, ritenendo che, vista la sicurezza di determinate regioni siriane, i profughi non hanno motivo di rimanere. In estate, Bassil, dopo aver accusato l’Agenzia ONU di tentare di convincere con la paura i rifugiati a non tornare in Siria, ha ordinato di interrompere l’emissione di permessi di soggiorno allo staff UNHCR. L’UNHCR è anche costretta a confrontarsi con le iniziative parallele di Hezbollah nell’ambito della gestione dei rifugiati e del loro ricollocamento. Infine, le stesse Autorità siriane cercano di ostacolare le iniziative dei membri UNHCR, impedendo loro di entrare nelle aree in cui alcuni rifugiati sono stati indirizzati, al fine di verificare la volontarietà del loro rimpatrio e la sicurezza della zona. Il Libano ha senza dubbio risentito dell’afflusso di rifugiati siriani nel Paese, sia a livello politico che socio-economico. L’UNHCR si sta impegnando a garantire l’incolumità dei profughi che fanno ritorno in Siria, ma l’efficacia del suo operato è messa a dura prova da interessi di partito.

Emanuele Mainetti

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Emanuele Mainetti
Emanuele Mainetti

Nato ad Angera nel 1994, ho conseguito una laurea triennale in Lingue e Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e un Master in Middle Eastern Studies al King’s College London. Durante i miei studi triennali ho maturato una profonda passione per il mondo arabo, la politica, la cultura e (ahimè) la lingua. Prima di cominciare il Master, ho trascorso cinque mesi in Giordania seguendo un corso intensivo di dialetto levantino e arabo standard. Sono particolarmente interessato alle dinamiche socio-politiche e alle relazioni internazionali nel Levante Arabo, con un occhio di riguardo per il Libano. Ho scritto la mia tesi magistrale sul processo di democratizzazione nel Libano post-Ta’if, per la quale ho condotto circa 20 interviste con membri della società civile libanese. Progetti per il futuro? Vorrei riuscire ad iscrivermi ad un corso di dottorato, Inshallah.

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