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L’Honduras è una bomba a orologeria

In 3 sorsi – A nove mesi dalle elezioni presidenziali l’Honduras non trova pace, tra scontri politici, corruzione e questione rifugiati.

1. L’HONDURAS E LA VITTORIA DI HERNÁNDEZ

Le elezioni del 26 novembre 2017, che hanno portato il Paese sull’orlo di una crisi di nervi, si sono concluse con la vittoria del presidente uscente Juan Orlando Hernández Alvarado. Una vittoria macchiata dalla mancata trasparenza in un conteggio elettorale da incubo e da settimane di fortissima tensione, caratterizzata dagli scontri tra opposizione e forze di sicurezza e dalle preoccupazioni degli osservatori dell’UE e dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), che ha chiesto, evento non banale, la ripetizione delle operazioni di voto. Nonostante le pressioni esterne, rincuorato dal riconoscimento ufficiale di Washington, che con l’Amministrazione Trump ha ripreso il tradizionale ruolo attivo nell’area con grande vigore, il 27 gennaio 2018 Hernández ha giurato per la seconda volta come Presidente dell’Honduras. Un unicuum per lo Stato centroamericano, nove anni dopo il golpe contro il Governo di Manuel Zelaya Rosales.

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Fig. 1 – Un momento dell’inaugurazione del secondo mandato presidenziale di Hernández.

2. IN HONDURAS COMANDA ANCORA LA CORRUZIONE

La situazione politica honduregna presenta un quadro molto negativo. Il controllo del Presidente su organi come la Corte Suprema e il Tribunale Supremo Elettorale rinforza i dubbi sulle scorse elezioni, anche alla luce dei maxi-scandali di corruzione. Nel 2016 l’OSA ha creato la Misión de Apoyo contra la corrupción y la impunidad en Honduras (MACCIH). Costituita da una delegazione di esperti e alte personalità politiche, questa squadra internazionale ha il compito di eradicare la corruzione in Honduras e perseguire i colpevoli dei reati a essa legati. Inizialmente diretta da Juan Jimenez Mayor, la MACCIH ha puntato il dito prima contro i parlamentari honduregni, poi contro la famiglia dell’ex presidente Porfirio Lobo Sosa. Secondo le indagini, almeno 60 deputati si sarebbero appropriati indebitamente di fondi pubblici destinati a progetti sociali gestiti da ONG. Vi è poi la vicenda dell’ex primera dama Rosa Elena Bonilla, accusata di aver trasferito circa 600mila dollari pubblici sul suo conto privato cinque giorni prima della fine del mandato presidenziale del marito. Lobo stesso è stato investigato per presunti legami con Los Cachiros, un cartello del narcotraffico honduregno con interessi nei progetti idroelettrici del Paese.
Mentre i Lobo navigano in acque agitate (si aggiunge anche la condanna per narcotraffico del primogenito dell’ex Presidente, Fabio), i deputati honduregni sono corsi ai ripari con il Pacto de impunidad, inserito nella riforma della Ley General de Presupuesto del gennaio 2018. Con questa riforma il parlamento ha privato la Missione della possibilità di indagare sulla gestione del denaro pubblico da parte di alti funzionari statali. La competenza è stata trasferita al Tribunal Superior de Cuentas (TSC), che ha dei vincoli particolarmente stretti con i partiti politici. Di fronte a questo e alla mancanza di sostegno del Segretario Generale dell’OSA, Luis Almagro, Jimenez ha rassegnato le dimissioni nel febbraio del 2018. Ma ciononostante, il lavoro della Missione prosegue. Come se non bastasse, a giugno è scoppiato il Caso Pandora: alti funzionari e collaboratori avrebbero usato indebitamente fondi pubblici con fini politici. Il caso è politicamente trasversale, ma si indaga anche sulla prima campagna presidenziale di Hernández, quella che risale all’ormai lontano 2013.

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Fig. 2 – Mayor parla alla stampa denunciando pubblicamente il patto di impunità.

3. TSUNAMI SOCIO-ECONOMICO IN VISTA IN HONDURAS

Mentre l’economia continua in positivo, ma rallenta rispetto al 2017, Hernández deve prepararsi allo tsunami socio-economico in arrivo dagli Stati Uniti. All’inizio di maggio il presidente Trump ha annunciato la fine del programma umanitario che dal 1999 ha permesso a circa 86mila persone di crearsi una nuova vita negli Stati Uniti. Con tale decisione si sancisce la fine del permesso di soggiorno negli Stati Uniti, con il conseguente rientro forzato in Honduras di gran parte di queste persone entro il gennaio 2020.
Lo Stato centroamericano non è pronto e non lo sarà probabilmente per lungo tempo. Il ritorno dei rifugiati può dare un impulso economico positivo, considerato l’alto numero di rimesse, tuttavia si creano più problemi che soluzioni. L’Honduras ha gravissimi deficit strutturali che renderanno complicatissimo il reinserimento di questi cittadini nel tessuto socio-economico del Paese. Difficile pensare che potranno agevolmente inserirsi in un contesto industriale scarsamente sviluppato.
Per Hernández i prossimi quattro anni si preannunciano difficilissimi. Con una classe dirigente che cade pezzo dopo pezzo sotto la scure della giustizia, soprattutto internazionale, il Presidente rischia di trovarsi presto isolato, arroccato dentro Istituzioni che perdono il loro carattere democratico (anche grazie alla sua azione governativa) e diventano così gusci vuoti, inutili. Il gioco con gli Stati Uniti, poi, sembra essere tutto dalla parte di Washington. Hernández ha bisogno del supporto dell’Amministrazione Trump, che non mostra però difficoltà a mettere spalle al muro il Governo centroamericano con le sue decisioni in materia di politica migratoria. Tra violenza e democrazia azzoppata, la “questione rifugiati” rischia di essere la goccia che farà traboccare il vaso honduregno.

Elena Poddighe

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Elena Poddighe
Elena Poddighe

Nata a Sassari nel 1993, ho studiato in Italia, Francia e Belgio. Sono laureata in Scienze Politiche e specializzata in Relazioni Internazionali. Dopo l’esperienza Erasmus ho preso sul serio l’idea che tutto il territorio europeo potesse essere casa mia, così mi sposto costantemente da un punto all’altro, scoprendo pregi e difetti di questa nostra bellissima Europa. Non so preparare il caffè e non lo bevo, ma so cucinare e soprattutto mangiare le lasagne!

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