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Gas d’Africa

Dopo aver analizzato la strategicità del settore petrolifero in Africa e particolarmente in Nigeria, è ora il momento di concentrarci sul gas. La corsa alle materie prime dell’Africa ha riportato questo continente al centro dell’attenzione politica e mediatica, ma nelle analisi più diffuse sembra si tratti soprattutto (o solamente) che la corsa all’accaparramento riguardi solo il petrolio e le arrembanti compagnie cinesi. C’è anche dell’altro.

L’IMPORTANZA DEL GAS – Non solo petrolio. È nel gas che l’Africa, e uno dei suoi più importanti paesi esportatori di energia fossile – la Nigeria, hanno probabilmente il più importante atout strategico. La superiore valenza strategica del gas deriva dal suo profilarsi sempre più chiaramente come la fonte energetica fondamentale, il ponte della lunga transizione dal petrolio alle rinnovabili: soprattutto le mature economie industriali dell’Occidente si stanno rapidamente convertendo al gas naturale, dal riscaldamento alla generazione elettrica e alla cogenerazione diffusa, fino – in prospettiva – alla mobilità (anche via elettrificazione del parco-macchine). Si tratta di una fonte relativamente poco inquinante, a più alto rendimento, e le cui risorse disponibili stanno attraversando una drammatica espansione, soprattutto in Nord America e Pacifico, grazie allo shale gas (gas degli strati scistosi) e in generale ai giacimenti non convenzionali resi accessibili dalle nuove tecnologie.

Considerato che gli Usa hanno già individuato, e in piccola parte iniziato a sfruttare immense risorse di shale gas sul territorio nazionale, l’interesse (concorrenziale al fabbisogno asiatico) per il gas africano è essenzialmente europeo.

IL DILEMMA DELL’ENERGIA: EXPORT O CONSUMO? – Per sviluppare la capacità di esportazione si è concepito da alcuni anni il progetto di un grande gasdotto trans-sahariano (TSGP) (foto a destra), dalle coste del Golfo di Guinea a quelle mediterranee dell’Algeria. In alternativa è pure in gestazione un massiccio ampliamento (di circa 35 mld m3, comparabile alla portata del gasdotto) nella capacità dello stabilimento di liquefazione. La questione dell’export ne importa anzitutto una di natura politica: le risorse energetiche della Nigeria devono essere prioritariamente destinate all’estero o alla domanda interna (prevista in fortissima crescita da qui ai prossimi anni)? Considerato che i flussi realisticamente disponibili sono determinati dalle limitate capacità tecniche e finanziarie degli operatori, prima che dalle riserve, di fatto molto probabilmente si dovrà scegliere. In altra forma il dilemma si ripropone al passo successivo, riguardo all’infrastruttura: costruire il Grande Gasdotto (o nuovi treni di liquefazione per il GNL), o sviluppare una rete interna di distribuzione?

Qui entra in scena la compagnia russa Gazprom, con il suo piano in due tempi: prima la costruzione della rete di generazione e distribuzione elettrica, per un investimento complessivo di 2.5 mld di dollari, e poi la realizzazione della pipeline transahariana. Gazprom del resto si muove a tutto campo, ha formato una joint venture con Oando – dinamica compagnia nigeriana – per sviluppare progetti negli idrocarburi su tutta l’Africa occidentale.

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PROSPETTIVE AFRICANE, INTERESSE EUROPEO – Mentre le grandi compagnie storiche si mostrano relativamente sicure di fronte all’offensiva russa (e sul TSGP anche Total e Shell hanno mostrato interesse), esistono anche diverse controindicazioni sul terreno: il gas proverrebbe in gran parte dal Delta del Niger, e le condotte sarebbero soggette al rischio di attentati da parte dei gruppi di guerriglia come il MEND – soprattutto se percepite o presentate come un simbolo dello sfruttamento straniero delle risorse nazionali.

Il tracciato attraversa regioni desertiche del Niger, dove spadroneggia la rivolta tuareg. In generale esiste una minaccia endemica da parte di Al Qaeda, e il territorio del Niger è in gran parte deserto, di per sé difficilmente controllabile, nei fatti sotto la giurisdizione di uno stato quasi privo di infrastrutture della sicurezza e di intelligence. Per converso il gasdotto toccherebbe (e servirebbe) anche una importante regione gasiera in Algeria. Ma i costi possono rivelarsi investimenti – la questione deve essere letta su una mappa geopolitica, in controluce agli interessi europei.

Come europei (e mediterranei) abbiamo un interesse forte a garantire lo sviluppo autonomo della Nigeria e dell’Africa occidentale: i soli nigeriani alimentano circa metà del flusso migratorio che si snoda attraverso il Sahara, passando per il crocevia di Agadez, fino alle coste mediterranee. Le grandi dorsali energetiche come il TSGP, o il West African gas pipeline (WAGP) dalla Nigeria al Ghana, non servono (potenzialmente) solo all’export, possono ramificarsi in connessioni interne al continente, essere l’embrione di una possibile rete energetica panafricana. Per il WAGP, già operativo, già si parla di una estensione fino al Senegal, e al TSGP in futuro potrebbe connettersi l’Angola – altro grande produttore subsahriano – e in prospettiva il Sudafrica (che sta esplorando le sue risorse di shale gas). A sua volta l’integrazione energetica e i grandi progetti infrastrutturali possono operare come catalizzatori di una cooperazione panafricana (o interafricana) di più ampio respiro, creando interessanti interdipendenze (si pensi al quartetto Algeria, Niger, Mali, Nigeria formatosi attorno al progetto TSGP). Dopotutto l’Unione Europea nasce come comunità dell’energia. La conduttura vincola strutturalmente il produttore a un certo mercato di destinazione, in questo caso la Nigeria (o l’Africa occidentale: anche il Ghana si appresta a diventare un paese esportatore) al Mediterraneo e all’Unione Europea. Considerata la concorrenza asiatica non sarebbe un aspetto di poco conto.

Come euromediterranei il gasdotto ci servirebbe il metano praticamente alle porte di casa (attraverso il gasdotto Galsi tra Algeria e Sardegna), e contribuirebbe a dare respiro al progetto dell’Italia come hub europeo del gas. Viceversa l’export di GNL potrebbe essere agevolmente intercettato su una rotta atlantica, a favore dell’hub britannico e dei suoi molti terminali già in essere.

L’interconnessione gasifera e petrolifera può essere un precursore dell’integrazione euroafricana di lungo periodo nell’energia, considerati i progetti Desertec (rete euromediterranea per sviluppare su vasta scala la generazione elettrica da solare) e l’ancor più ambiziosa visione del Potsdam Institut (rete euroafricana integrata delle rinnovabili, dall’idroelettrico norvegese al solare ed eolico dell’Africa).

E’ interesse europeo prevenire l’espansione di Gazprom. Non solo per evitare che il nostro principale fornitore di gas estenda il controllo su altre fonti di approvvigionamento. L’influenza russa si può sviluppare su profili molto delicati per la sicurezza strategica, Gazprom facilmente porta con sé – soprattutto nei grandi paesi in via di sviluppo – Rosatom, la possibile cooperazione nell’energia atomica e il pericoloso miraggio di una via nucleare allo status di potenza regionale egemone. Se pure i nigeriani non coltivassero queste fantasie geopolitiche e la Russia non deve essere considerata così inaffidabile da avallarle (ma in Venezuela ha appena stipulato un accordo di altissimo profilo, comprendente un vasto progetto di collaborazione nel nucleare) rimarrebbe il rischio di nuclear leak, di “perdite” di materiale e competenze a favore di altri paesi o movimenti terroristici. E’ il caso di ricordare che il terrorista del fallito attentato di Detroit è nigeriano.

Andrea Caternolo

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