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Se Downing Street si affaccia sul mondo…

Si avvicina il momento delle elezioni in Gran Bretagna. Quella che in passato era sempre una sfida a due tra Conservatori e Laburisti, quest’anno potrebbe avere un esito meno scontato per il crescente successo di Nick Clegg, candidato del Partito Liberaldemocratico, importante terza forza partitica in UK ma da sempre penalizzata dal sistema elettorale maggioritario. Che visione hanno i tre candidati della politica estera britannica?

TRA PASSATO E FUTURO – Mai pienamente inseritosi nell’Europa comunitaria, il Regno Unito ha sempre goduto dell’appoggio quasi incondizionato degli Stati Uniti. Al momento però sembra essere lontano sia da Washington che da Bruxelles, per motivazioni differenti. Sul versante dell’Atlantico il sostegno sembra erodersi parallelamente all’interesse degli Stati Uniti per le questioni europee. Interessati più alla regione asiatica che al Vecchio Continente, alla Casa Bianca preferiscono dialogare direttamente e vis-a-vis con i maggiori leader europei piuttosto che utilizzare la sponda britannica per far giungere al resto del continente critiche o considerazioni sui vari temi internazionali. Sul versante europeo, Londra sembra essere ancora relegata ai margini dell’Unione e l’impatto della crisi sull’economia del paese ha fortemente ridimensionato il ruolo del paese anche in ambito economico. Quello che sembra essere un segnale, che molto lascia riflettere, è l’atteggiamento particolarmente remissivo dei tre candidati ad occupare il 10 di Downing Street, che non sono stati capaci, nel secondo confronto diretto davanti agli elettori, di tratteggiare quelle che saranno le linee guida per la politica estera britannica nel prossimo futuro. Nessuna prospettiva convincente, tanto meno indicazioni chiare su quello che dovrebbe essere il ruolo di un paese sempre più ai margini della politica internazionale.

POCHE IDEE E CONFUSE – Il candidato meno convincente sui temi di politica estera è stato Nick Clegg, il nuovo “golden boy” della politica britannica e inaspettata sorpresa degli ultimi incontri televisivi. Profondamente filoeuropeista e su posizioni che riecheggiano un antiamericanismo un po’ troppo semplicista, Clegg sembra aver dimenticato che l’opinione pubblica potrebbe dimostrarsi particolarmente insofferente ai vincoli di una maggiore integrazione comunitaria. Non ha saputo fare molto di meglio David Cameron, capace di richiamare alla memoria degli elettori il conservatorismo di stampo thatcheriano fortemente antieuropeista senza però chiarire adeguatamente quali potrebbero essere le linee guida della politica estera di un futuro governo Tory. Probabilmente Cameron è consapevole di avere la vittoria a portata di mano, i maggiori quotidiani lo appoggiano e i sondaggi lo danno per vincente ormai da tempo. Continuare a mantenere un atteggiamento così poco deciso potrebbe nuocergli non poco, soprattutto se negli ultimi giorni di campagna Clegg deciderà di alzare il livello dello scontro nel tentativo di rastrellare il voto degli indecisi o degli ex elettori del Labour. L’attuale premier Gordon Brown ha scelto invece una tattica attendista, giocando sulla difensiva e confermando di voler proseguire con una linea strategica che sia europeista ma al contempo pragmatica, così da mantenere il Regno Unito e l’Unione Europea ad una giusta distanza, conservando quindi un buon grado di libertà rispetto alle decisioni prese a Bruxelles. Il leader dei laburisti ha poi confermato di voler continuare la lotta al terrorismo fondamentalista in patria e all’estero al fianco degli Stati Uniti. Le parole di Brown, titolare della politica estera britannica in quanto capo di governo, sono parse però inadeguate se calate nell’attuale momento di difficoltà del Regno Unito in campo internazionale.

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CHIUSURA DI UN CICLO? – La sensazione è che nel Regno Unito si sia chiuso un ciclo: dalla Thatcher fino a Blair gli inquilini di Downing Street hanno sempre considerato la politica estera uno dei punti fondamentali dell’agenda governativa, con linee guida delineate e precise. Amate od odiate, ma pur sempre indicatrici della volontà di non veder ulteriormente ridimensionato il ruolo britannico sulla scena internazionale. Questa dovrebbe essere la prima preoccupazione dei candidati in corsa per il premierato: decidere quale sarà il futuro del paese sullo scacchiere internazionale. Sempre più in una situazione ambigua, il Regno Unito rischia infatti di trovarsi al centro di una pericolosa equidistanza tra Europa e Stati Uniti. E’ ancora presto per sapere se sarà il prossimo premier a metter fine a quella special relationship che ha finora legato Downing Street alla Casa Bianca, di certo da Londra non provengono segnali incoraggianti. Sul fronte opposto Bruxelles appare lontana, come improbabile dovrebbe essere un ulteriore avvicinamento britannico all’Unione Europea. In questa situazione il Regno Unito sembra essere, e lo sarà sempre di più nel prossimo futuro se non ci sarà un premier forte a guidare il paese, l’opaca fotografia di quell’impero capace di decidere del destino di circa un quarto della popolazione mondiale.

Simone Comi

redazione@ilcaffegeopolitico.it

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