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Terror football

Sabato le squadre di Egitto ed Algeria sono chiamate a contendersi un unico posto disponibile per i Mondiali di calcio del Sudafrica, previsti per la prossima estate. Una partita che nasconde attriti che vanno ben oltre il calcio e rischiano di creare tensioni diplomatiche

NON SOLO CALCIONon è una novità che il calcio diventi politica, come abbiamo già detto in precedenza a proposito dell’Argentina di Maratona (Cfr. Pallone e potere). Capita, in un mondo dove lo sport più popolare (e il più ricco) di tutti muove miliardi di euro; succede soprattutto in Paesi come quelli del continente africano e sudamericano, in cui spesso la gloria data da importanti risultati ottenuti sui campi calcistici, a fronte di situazioni politico-economiche critiche, può fungere da motivo di orgoglio e rivalsa nazionale. Se poi aggiungiamo a tutto ciò vecchie rivalità già esistenti tra nazioni vicine, il mix rischia di diventare pericoloso e micidiale, per quanto possa essere affascinante un incontro di calcio carico di motivazioni e il cui risultato è destinato a segnare, nel bene o nel male, la storia -calcistica, si intende- delle due squadre coinvolte.

L’EGITTO RISCHIA – E’ questo il caso dell’incontro valido per le qualificazioni ai prossimi Mondiali di calcio del Sudafrica 2010 (i primi della storia, tra l’altro, a tenersi nel continente nero) che vedrà opporsi Algeria ed Egitto sabato prossimo, il 14 novembre, allo stadio del Cairo. Vi sono tutte le caratteristiche affinchè la partita diventi un vero e proprio evento per ogni algerino ed egiziano. L’Egitto, vincitore negli ultimi due anni di seguito della Coppa d’Africa e vera rivelazione del calcio africano degli ultimi anni (insieme alla Costa d’Avorio ed al Ghana, dopo l’exploit di Camerun e Nigeria negli anni ’90), rischia seriamente di restare fuori dalla competizione sportiva probabilmente più importante del pianeta. Proprio a spese della squadra algerina. Nel Gruppo C delle qualificazioni africane, infatti, l’Algeria attualmente comanda la classifica con 13 punti, davanti all’Egitto con 10 punti. Nella partita di sabato prossimo al Cairo, l’Egitto dovrà vincere con tre gol di scarto per superare l’Algeria in classifica, altrimenti saranno proprio gli algerini a fare le valige per il Sudafrica, lasciando a casa ai blasonati vicini egiziani.

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  ALGERIA vs. EGITTO: GLI SCONTRI – In questo clima, la tensione sta salendo giorno dopo giorno e si temono degli scontri e dei disordini a margine dell’incontro di calcio. Sulla rete, da Facebook a Twitter a Youtube, spopolano video e commenti di Algerini ed Egiziani che si accusano reciprocamente e si promettono battaglie all’ultimo sangue. La retorica usata va ben oltre le motivazioni calcistiche ed entra a gamba tesa su questioni politiche e sociali. Sono lontani i tempi in cui, tra la seconda metà degli anni ’50 e la prima degli anni ’60, l’allora Presidente egiziano Nasser, leader indiscusso del nazionalismo arabo e della rivalsa dei popoli del terzo mondo, sosteneva economicamente e militarmente (oltre che ideologicamente, tramite la sua retorica della liberazione dei popoli arabi) l’Algeria che stava per liberarsi dal giogo francese, in quella che divenne una delle guerre di liberazione più lunghe e sanguinose del secondo dopo-guerra e che portò, tra il 1954 edil 1962, all’indipendenza dell’Algeria dalla Francia. Anzi, proprio sulla base di quegli episodi storici, oggi gli egiziani rivendicano quel ruolo di “liberatori” dell’Algeria, ricordando nei vari siti internet come abbiano “sollevato gli Algerini dalla condizione di schiavitù rispetto alla Francia”. Le accuse vanno avanti e non finiscono qui e i toni sono sempre più accesi, man mano che ci si avvicina al giorno fatidico dell’incontro al Cairo. Le autorità politiche algerine ed egiziane hanno dovuto richiamare ufficialmente i tifosi delle proprie nazionalità alla calma, dopo che persino il capitano della squadra egiziana, Ahmed Hassan, ha promesso di far diventare lo stadio del Cairo uno “stadio dell’orrore”. Il portavoce del Ministro degli Affari Esteri egiziano, Hossam Zaki, è dovuto intervenire per riportare un clima più cordiale tra le due nazioni e ha fatto appello soprattutto ai media, affinché non contribuiscano ad esasperare troppo i toni di quella che, in fondo, dovrebbe essere soltanto una partita di calcio (per quanto importante e ricca di significato per entrambi i popoli). Ed ecco, dunque, che all’arrivo al Cairo del bus della nazionale algerina, un fitto lancio di pietre da parte di circa 200 tifosi egiziani ha colpito i giocatori dell’Algeria. Il fatto è stato reputato gravissimo dal Ministro degli Affari Esteri algerino, Mourad Medelci. A questo punto, non bastano più le parole del portavoce del Ministero degli Esteri egiziano, ma lo stesso Ahmed Abul Gheit, il Ministro in persona, dovrà intervenire per condannare l’episodio e garantire tutte le necessarie misure di sicurezza. Gli scontri rischiano di creare una vera e propria crisi diplomatica tra Algeri e Il Cairo, quattro giocatori algerini sarebbero stati feriti dall’assalto a colpi di pietra e la partita rischia addirittura di saltare. 

LA DERIVA DEL CALCIO – Questo è diventato il calcio oggi. In una congiuntura internazionale in cui i problemi sociali sembrano essere sempre più pressanti sulle popolazioni non solo africane o del Sud del mondo, ma anche occidentali, il calcio continua a catalizzare più attenzione di altri problemi reali. Proprio come accade anche nel nostro Belpaese, in cui non si scende in piazza per la disoccupazione, ma si scatenano guerriglie intorno agli stadi di calcio e si assiste passivamente a giovani ventenni che guadagnano milioni di euro l’anno, mentre la soglia di povertà sale sempre di più. In questa cornice alimentiamo il business del calcio, comprando abbonamenti pay-per-view e seguendo sui rotocalchi le avventure amorose dei gladiatori del XX secolo. La partita tra Algeria ed Egitto dimostra nuovamente che, non solo in Italia, il calcio è potere. Potere di distrarre le masse rispetto ai problemi sociali che attanagliano le popolazioni, potere di attirare più investimenti di quanto possa fare uno Stato, potere di rendere due popolazioni nemiche, come se fossero in guerra. Il caso dell’ex milanista George Weah, liberiano e star nazionale, Pallone d’oro nel 1995, che riesce a candidarsi per le elezioni presidenziali nel proprio Paese, come è accaduto nel 2005, ne è un’ennesima riprova. Ma nel momento in cui lui, star del calcio in un Paese africano, perde la competizione elettorale contro una donna, Ellen Johnson Sirleaf, che diventerà la prima donna eletta come Capo di Stato in Africa e la prima donna di colore al mondo a ricoprire quella posizione, qualche speranza dovrà pur esserci.        

Stefano Torelli

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