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Raschiare il fondo del barile

La Nigeria e il petrolio: un caso perfetto che dimostra come, senza una strategia adeguata, lo sfruttamento delle risorse energetiche possa sfociare in un clamoroso fallimento, rendendo vano qualsiasi tentativo di sviluppo e diversificazione dell'economia. Il ruolo della guerriglia, e i tentativi di riforma in atto

GREAT GAME, GREAT FLOP - Il Grande Gioco energetico aperto dal nuovo interesse per le risorse dell’Africa, e l’entrata in scena di nuovi competitori asiatici e brasiliani in possesso di vasti capitali da investire, avevano generato grandi speranze - in particolare con la politica di oil for infrastructure (la concessione di licenze estrattive variamente legata a investimenti infrastrutturali a condizioni favorevoli) – nei confronti di una nuova via per lo sviluppo e la diversificazione dell’economia dei Paesi produttori africani (e, in prospettiva, dell’intero continente). Eppure solo alcuni di essi hanno saputo intercettare i vantaggi di questa corsa all’energia fossile, in termini di maggior potere contrattuale e più efficaci politiche di sviluppo.

La vicenda nigeriana in questo senso è particolarmente tormentata, un fallimento perfetto: si apre nel 2005 con il secondo round di aste petrolifere indetto dal presidente Obasanjo (il primo, nel 2000, era andato completamente deserto dalle compagnie asiatiche), con le licenze assegnate ai Coreani, e si chiude nell’ottobre 2008 con la richiesta da parte dell’Ad Hoc Committee - la commissione d’inchiesta parlamentare sulla gestione dell’azienda petrolifera di stato (NNPC), voluta dal nuovo presidente - di revocare le licenze assegnate alle compagnie asiatiche. Nel mezzo c’è il vuoto: anche le licenze della tornata 2007 si sono risolte in un nulla di fatto. I progetti infrastrutturali nel trasporto ferroviario, la rete elettrica, la raffinazione, sono stati revocati, o comunque non sono mai stati avviati.

LE CAUSE DEL FALLIMENTO - La visione del presidente Obasanjo è insieme opaca e di alto profilo, con notevoli annessi geopolitici. Da un lato, si vuole mettere in competizione le Ioc (le compagnie petrolifere internazionali, un tempo dette “le sette sorelle”) con le nuove agguerrite compagnie asiatiche, abbattendone lo storico monopolio per ricavare il massimo dallo sfruttamento delle risorse energetiche, con investimenti infrastrutturali in grado di innescare diversificazione dell’economia e sviluppo autonomo. Dall'altro lato, si punta a controllare un flusso di risorse finanziarie tali da sostenere la campagna per la riforma costituzionale (rieleggibilità anche oltre il secondo mandato) e la stessa rielezione alla presidenza. Nella trattativa rientra anche la partita per la riforma del Consiglio di Sicurezza Onu. La Nigeria ha infatti appoggiato la richiesta dell’India per un seggio permanente, e si aspetta pertanto un sostegno alle proprie rivendicazioni; nel frattempo, è sempre attuale il tentativo di costituire un fronte amico con le potenze dell'Asia Orientale.

Le cause del naufragio sono assai diverse, e non tutte imputabili alla parte nigeriana. Gli accordi strategici per lo sviluppo di infrastrutture sono minati da vari fattori: piani di finanziamento approssimativi; termini contrattuali estremamente vaghi e/o laschi; carenza totale di meccanismi di monitoraggio e coattivi per l’esecuzione; burocrazia locale caotica, corrotta, labirintica; costi previsti ampiamente fuori mercato (a favore dei contraenti asiatici). In pratica, i termini contrattuali erano tali che spesso agli investitori orientali non si poteva imputare alcuna inadempienza, essendo essi tenuti ad avviare i progetti solo in una fase molto avanzata dello sfruttamento dei giacimenti.

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IL RUOLO DELLA GUERRIGLIA - Il bilancio è dunque rovinoso, e alla fine del ciclo non solo non è stato realizzato alcun progetto di investimento, ma le riserve note del Paese non sono aumentate di un solo barile. La produzione petrolifera rimane stagnante e si trova molto al di sotto del suo potenziale (mentre diverso è il caso del gas), mentre la posizione dominante delle Compagnie Internazionali storiche rimane intatta. Oltre a tali considerazioni, al bilancio del decennio perduto si deve aggiungere un ulteriore forte deterioramento del territorio e delle condizioni di vita nelle regioni ad alto sfruttamento petrolifero, a causa dell'inquinamento. E soprattutto, occorre segnalare lo sviluppo di una forte guerriglia di disturbo alle società petrolifere nel delta del Niger (in particolare il Mend, che ha aperto trattative con il governo nello scorso autunno, fino ad arrivare alla proclamazione di una tregua, purtroppo interrotta con le azioni di metà marzo). Le conseguenze di tale guerriglia sono decisamente rilevanti: incrementano significativamente i costi dell’upstream (esplorazione, sviluppo, estrazione), deteriorano ulteriormente la posizione del governo nelle trattative con le compagnie stesse, e gettano un’ombra di incertezza su altri grandi progetti energetici che dovrebbero interessare la regione.

In ultima analisi, il fallimento viene da una profonda incapacità gestionale, insita nella carente burocrazia e nella inconsistenza industriale della compagnia petrolifera nazionale, ma anche dall’opacità stessa del progetto, che - oltre a dover finanziare le campagne personali del presidente - incorporava le molteplici pretese dei vari clientes e vassalli presidenziali, ciascuno rappresentato da una piccola società petrolifera di facciata pronta a partecipare alla spartizione.

VERSO UNA RIFORMA - Pur in una tale situazione, i giochi sono tutt’altro che chiusi. Le risorse energetiche del Paese sono troppo vaste, e la sete dell’industria asiatica è troppo intensa perché le compagnie cinesi e indiane non tornino a mostrare interesse per le concessioni. Così, la nuova amministrazione lavora a una riforma complessiva del settore (con il Petroleum Industry Bill), che riequilibri i rapporti tra governo e società petrolifere e ristrutturi l’azienda petrolifera nazionale, per aumentarne efficienza e capacità industriali e farne un’agenzia tecnocratica capace di migliorare il controllo nazionale sulle risorse, come avviene ad esempio per Petrobras in Brasile, per Sonangol in Angola e per Sonatrach in Algeria. In tutto questo, oltre alla selva di società-parassite create per lucrare sui contratti con le compagnìe internazionali, e al carrozzone statale del NNPC, nel panorama estrattivo nigeriano, c’è anche posto per la success story di Oando, società indipendente e progressivamente integrata dall’upstream al downstream (raffinazione e distribuzione), capace di aggiudicarsi contratti anche all’estero, e in buona posizione per trarre vantaggio dal Petroleum Industry Bill.

Andrea Caternolo redazione@ilcaffegeopolitico.it

Link utili: leggi qui l'articolo del Caffè “Rinascimento petrolifero”, sul tema della ricerca di risorse energetiche nel continente africano

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