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Guerra di frontiera

Gli Stati Uniti sembrano intenzionati a tornare in campo e a sostenere il governo messicano nella lotta contro il narcotraffico. L’assassinio di poche settimane fa a Ciudad Juárez di tre persone legate al Consolato statunitense ha rimesso in primo piano anche in questo paese la gravità della situazione che caratterizza le aree di frontiera.

LA GUERRA DI CALDERÓN – Dall’inizio del suo mandato nel 2006, il presidente Calderón ha fatto della lotta contro il narcotraffico e contro il crimine organizzato uno degli obiettivi principali della sua presidenza. E per vincerla ha scelto di mettere in campo l’esercito: nei nove stati maggiormente colpiti dagli episodi di violenza sono stati dispiegati 36mila soldati che, occupati nello sradicamento delle colture, nella raccolta di informazioni, nell'interrogazione dei sospetti e nel sequestro delle merci di contrabbando, avrebbero dovuto aumentare la sicurezza dei cittadini. Sono passati tre anni e la situazione resta grave; a Ciudad Juárez, la città di 1,5 milioni di abitanti situata sul confine con gli Stati Uniti protagonista del maggior numero di episodi di violenza, solo nel 2008 gli omicidi sono stati 2600 e nel 2009 2650. All’origine della scelta di Calderón la necessità di un aumento drastico della presenza dello stato e, soprattutto, la crescente connivenza tra le forze di polizia locale, statale e federale e i narcotrafficanti, limite insuperabile per un miglioramento reale della situazione. A ciò si aggiunge il rispetto e la fiducia verso l’esercito da parte dei cittadini messicani, dovuto alla sua tradizionale distanza dalla politica.

LE CRITICHE – Durante l’ultima visita del presidente Calderón a Ciudad Juárez, però, non sono mancate le proteste da parte dei cittadini della città che lo accusano di inefficienza nel gestire la situazione; secondo i critici, dall’arrivo dei soldati la violenza sarebbe solo aumentata e ai problemi legati al crimine organizzato si sarebbe aggiunta la questione degli abusi dei militari, denunciati dai cittadini e negati dal governo. Organizzazioni internazionali quali Human Rights Watch e Amnesty International, hanno in più occasioni denunciato le gravi violazioni dei diritti umani di cui si sarebbero resi colpevoli i soldati durante le operazioni (sparizioni forzate, omicidi, torture, violenze sessuali e detenzioni arbitrarie) e hanno messo in evidenza come l'impunità dei responsabili potrebbe contribuire al fallimento delle strategie del governo per combattere la diffusione della violenza. L’origine di questi episodi è da ricercarsi nell'impiego delle forze dell’esercito per una guerra asimmetrica come quella contro i narcotrafficanti, nella quale il confine tra i civili e i criminali non può essere ben definito.

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QUALE INTERVENTO DEGLI USA? – L’assassinio di un'impiegata del Consolato degli Stati Uniti e del marito, entrambi cittadini statunitensi, e il marito di una funzionaria messicana ha rimesso in primo piano anche a Washington la questione della violenza e dei traffici che caratterizzano il confine tra i due stati. Come conseguenza il segretario di Stato Hillary Clinton (a destra con il Presidente Obama) ha incontrato in Messico il presidente Calderón e ha partecipato alla riunione del Grupo Consultivo de Alto Nivel Estados Unidos-México. Il vertice si è concluso con un accordo che apre un nuovo capitolo nella cooperazione tra i due paesi; le iniziative del governo statunitense sembrano rappresentare il riconoscimento di una responsabilità condivisa dei due paesi. Il ruolo degli Stati Uniti risulta particolarmente centrale per quel che riguarda la lotta al contrabbando di armi attraverso il confine (più del 90% delle armi che viene trafficato illegalmente in Messico proviene dagli Stati Uniti) e il controllo del consumo di droga sul mercato statunitense. Nonostante le dichiarazioni dell’amministrazione statunitense solo nei prossimi mesi si potrà capire quale ruolo intendano giocare gli Stati Uniti, se si limiteranno ad iniziative per far fronte a queste questioni sul proprio territorio, oppure opteranno per un intervento più invasivo, sulla falsariga del Plan Colombia, che potrebbe non escludere anche la partecipazione attiva delle forze armate.

Valentina Origoni

redazione@ilcaffegeopolitico.it

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Valentina Origoni
Valentina Origoni

Laureata in Relazioni Internazionali a Bologna, lavoro da diversi anni nella cooperazione internazionale allo sviluppo e, in particolare, su progetti di aiuto umanitario in Asia, per organizzazioni non governative e per l’ONU. Sono appassionata di relazioni internazionali e geopolitica, e, in seguito alle mie missioni in paesi molto vulnerabili al cambiamento climatico, mi interesso alle questioni legate al riscaldamento globale e alle negoziazioni internazionali.

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