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Nicaragua, le proteste contro il presidente Ortega scuotono il Paese

Il Nicaragua è scosso da violente e sanguinose proteste popolari che rischiano di rovesciare il Governo di Ortega. Vediamo perchĂ© e quali sono le possibili vie d’uscita per lo storico Presidente. 

ORTEGA, DOPO IL SUFFRAGIO LE CLAMOROSE PROTESTE

Poche persone hanno influenzato la storia del Nicaragua come Daniel Ortega: a capo della guerriglia sandinista dal 1962 contro la dittatura della famiglia Somoza, ha guidato il Paese dal 1979 al 1990 nella violenta lotta con i Contras, movimento armato finanziato dagli Stati Uniti. Dopo essere stato sconfitto in modo inaspettato nel 1990 dalla liberista Violeta Chamorro, Ortega è stato nuovamente eletto Presidente nel 2007. Da allora ha sfruttato l’ampio potere presidenziale e il carisma per eliminare progressivamente i vincoli alla sua carica, arrivando a controllare sia il Consiglio Supremo Elettorale che la Corte Suprema. Grazie alla rimozione del limite costituzionale alla rielezione del Presidente, Ortega ha vinto nel 2011 e nel 2016, in seguito a due elezioni contrassegnate da denunce di brogli e intimidazioni. Dal 2016, inoltre, ha affiancato a se stesso la moglie Rosaria Murillo in qualitĂ  di vicepresidente, una mossa che secondo gli oppositori serve a spianarle la strada in vista della successione, per conservare il potere “in famiglia”.
La hybris del potere e del controllo ha però spinto il Ortega a decisioni poco caute, come il varo di una riforma pensionistica improntata all’austeritĂ , che prevedeva un aumento dei contributi, riducendo allo stesso tempo le pensioni del 5%. Com’era prevedibile, l’impopolare misura è stata accolta con numerose proteste che hanno coinvolto soprattutto gli studenti universitari, impegnati a manifestare non solo contro la misura specifica, ma anche contro il Presidente, accusato di essere corrotto e di aver tradito gli ideali della rivoluzione da lui stesso guidata. Sottovalutando il malessere generale, il Governo ha scelto la risposta dura, inviando la polizia affiancata alla GioventĂą Sandinista, ala giovanile e violenta del partito presidenziale. La repressione attuata da queste due forze è stata brutale e sanguinosa e ha portato in soli sette giorni alla morte di piĂą di 40 persone, tra cui alcuni poliziotti e un giornalista, ucciso in piena diretta Facebook. AnzichĂ© intimidire la popolazione, tuttavia, la brutalitĂ  ha ottenuto esattamente l’effetto opposto: le manifestazioni si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il Paese e hanno visto riuniti, oltre agli universitari, anche altri settori della societĂ  civile e i veterani della guerra civile che avevano combattuto al fianco di Ortega. Le rivendicazioni delle proteste si sono modificate e i manifestanti hanno iniziato a chiedere sempre piĂą insistentemente la rimozione della coppia al potere. Uno degli atti simbolici è stato l’abbattimento degli “alberi della vita”, strutture in acciaio colorato volute dalla vicepresidente per ornare le vie della capitale Managua e percepite ora come un simbolo dell’oppressione. Il Governo ha provato a replicare abolendo l’invisa riforma sociale e organizzando delle contro-manifestazioni di impiegati pubblici, piĂą o meno spontanee, ma senza riuscire ad acquietare la piazza.
Il dilagare delle proteste e la brutalitĂ  della repressione hanno modificato la posizione anche di due importanti segmenti della societĂ  del Nicaragua, ovvero gli industriali e la Chiesa. In precedenza i due gruppi avevano appoggiato, o almeno tollerato, il Governo in cambio della stabilitĂ  sociale e di una politica eticamente conservatrice. Negli ultimi giorni, invece, i due gruppi si sono allontanati dal Presidente, condannando le violenze e arrivando ad auspicare un cambio di Governo. Anche l’esercito del Nicaragua ha recentemente annunciato che non intende partecipare alla repressione delle proteste e che, al contrario, spera nell’apertura di un dialogo tra le parti.

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Fig. 1 – Manifestanti calpestano un albero della vita abbattuto.

UN’ECONOMIA FRAGILE E DIPENDENTE DALL’ESTERO

Le proteste della popolazione non sono causate solamente dalla corruzione e dall’arroganza della coppia presidenziale, ma anche dall’inquietudine per la situazione economica del Paese. Durante i primi due mandati di Ortega (2005-2014), il Nicaragua ha sperimentato una forte crescita economica, trainata dall’esportazione di materie prime quali carne, caffè, oro e prodotti tessili. Una serie di programmi pubblici varati dal Governo ha inoltre contribuito a ridurre il tasso di povertĂ  e incrementare l’alfabetizzazione. Nonostante ciò, il Nicaragua continua a essere il secondo Paese piĂą povero dell’Emisfero occidentale dopo Haiti, con un tasso di povertĂ  superiore al 40%, mentre la situazione lavorativa costringe la maggior parte della popolazione a lavorare nell’economia informale oppure a emigrare, soprattutto nel confinante Costa Rica. Negli ultimi due anni, però, la crescita economica si è ridotta e l’ineguaglianza è aumentata, rivelando la debolezza del Paese. Il Nicaragua inoltre dipende in larga misura dagli aiuti dell’alleato Venezuela e dai sussidi di Petrocaribe per l’acquisto di petrolio, che nel 2015 sono arrivati ad ammontare al 30% delle entrate totali. Questi aiuti sono usati da Ortega per finanziare la spesa pubblica e i sussidi ai consumi, necessari per continuare a godere del sostegno del popolo. Il progressivo esaurirsi dei fondi venezuelani ha tuttavia costretto Managua ad adottare una serie di misure di austeritĂ , incrementando il costo dell’energia e riducendo alcuni programmi di sviluppo diretti alle fasce piĂą povere della popolazione. Anche la riforma delle pensioni, causa scatenante delle proteste, era diretta a ridurre l’alto costo del sistema pensionistico, che si stima possa esaurire i fondi a sua disposizione il prossimo agosto.

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Fig. 2 – Bacche di caffè, una delle principali risorse del Nicaragua.

ORTEGA ALLA RICERCA DI NUOVI AMICI E DONATORI

Otre che dalle difficoltà di un’economia fragile e gonfiata, il potere di Ortega è minacciato anche dai recenti mutamenti nella geopolitica dell’America latina,strettamente collegati alle incertezze economiche.
Negli anni dei suoi mandati, infatti, il Presidente ha strettamente legato il proprio Paese al Venezuela, entrando a far parte sia di Petrocaribe e che dell’Alba, diventando così il principale alleato di Caracas nell’America centrale. Questa alleanza ha fruttato al Paese aiuti economici e supporto politico che hanno permesso all’esecutivo di conservare in campo internazionale una posizione nettamente anti-statunitense (un’opposizione piĂą retorica che reale, dato che il Nicaragua continua a far parte, e beneficiare, della CAFTA, accordo di libero scambio tra le Repubbliche mesoamericane e gli USA). Il progressivo esaurimento delle disponibilitĂ  economiche di Caracas, che ha costretto l’esecutivo di Maduro a ridurre la propria prodigalitĂ  nello staccare assegni, ha spinto Ortega a cercare nuovi “sponsor” internazionali per finanziare i propri programmi pubblici e conservare il potere. Seguendo lo stesso copione degli anni della Guerra Fredda, Managua si è rivolta al vecchio amico russo, stuzzicandone il desiderio mai sopito di acquistare una base in America centrale, territorio da sempre “cortile di casa” degli USA. Mosca non ha tardato a sfruttare l’occasione, offrendo al Nicaragua un pacchetto di aiuti economici e una partnership in campo militare. Tuttavia, la generositĂ  dell’orso russo si è molto ridotta rispetto agli anni della Cortina di Ferro e gli aiuti non sono sufficienti per i costosi programmi pubblici di Managua. Per questo motivo Ortega si è rivolto all’altra grande potenza anti-establishment del terzo millennio, ovvero la Cina. Come Mosca, anche Pechino ha deciso di non rifiutare le proposte di Managua e i due Paesi hanno avviato una collaborazione in numerosi campi. La Cina inoltre ha manifestato interesse  anche per la realizzazione di un antico progetto tanto ambizioso quanto potenzialmente rivoluzionario per il sistema politico-economico mondiale, ovvero la realizzazione di un grande canale interoceanico attraverso il Nicaragua che possa affiancare quello di Panama. Il progetto, che prevede un investimento cinese stimato in 40 miliardi di dollari, ha incontrato il pieno appoggio dell’esecutivo, che ha subito abbracciato l’iniziativa e, al contempo, represso anche violentemente le voci di tutti i contadini e ambientalisti che non condividevano lo stesso entusiasmo del proprio Governo. Il progetto tuttavia è rimasto fermo alla fase iniziale, in quanto gli investitori cinesi sembrano aver perso interesse in un progetto economicamente rischioso e poco utile, specie dopo che i lavori sul Canale di Panama per raddoppiarne la capacità si sono conclusi.
Di fronte al proseguire delle proteste che non accennano a calmarsi, e reso debole dall’instabilitĂ  economica e geopolitica del Nicaragua, il presidente Ortega e la moglie sono stati costretti ad abbandonare la linea dura e a cercare un negoziato con i leader della protesta, chiedendo alla Conferenza Episcopale del Nicaragua di agire come mediatore. La Chiesa ha avanzato quattro richieste: accettare l’arrivo di una missione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH, organo dell’OAS preposto al controllo e alla promozione dei diritti umani), sciogliere le bande paramilitari (GioventĂą Sandinista in primis), garantire l’incolumitĂ  agli studenti in protesta e non obbligare i dipendenti pubblici a partecipare alle manifestazioni filo-governative (una mossa piĂą volte utilizzata dall’esecutivo per fingere di godere del supporto del popolo). Al momento il presidente Ortega ha accettato solo la prima delle quattro richieste, ma il proseguire delle proteste e la massiccia partecipazione di molti strati della popolazione nicaraguense riduce sempre di piĂą le possibilitĂ  del Governo di conservare il potere.

Umberto Guzzardi

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Fig. 3 – Proteste contro il progetto del canale.

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Se la poltrona di Ortega traballa, il suo alleato venezuelano Maduro ha invece celebrato il 21 maggio la sua seconda vittoria elettorale. Per maggiori informazioni, si rimanda a questo articolo.  [/box]

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Umberto Guzzardi
Umberto Guzzardi

Nato a Novara nel 1991, appassionato di geopolitica, relazioni internazionali, storia antica e moderna, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’UniversitĂ  di Bologna campus di Forlì. Ha trascorso vari periodi di studio all’estero, tra cui uno in Lituania ed un altro a Buenos Aires. Attualmente viaggia spesso per lavoro tra Europa e Africa.

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