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Legge ‘ad personam’, San Suu Kyi fuori

Nuova legge elettorale in Birmania: chi sconta una pena detentiva non può essere iscritto ad un partito, pena l'esclusione del gruppo dalle liste elettorali. Proprio il caso di Aung San Suu Kyi, leader del partito di opposizione National League for Democracy e premio Nobel per la pace, agli arresti domiciliari fino a novembre. L'intento è chiaro: eliminarla dalla vita politica del Paese

CHE FARE? – La giunta ha indicato come termine massimo per la registrazione dei partiti il 7 maggio prossimo; sessanta, quindi, i giorni a disposizione della NLD per decidere se espellere Aung San Suu Kyi, e gli altri iscritti del partito che si trovano attualmente nelle prigioni birmane. Secondo le ultime notizie, la situazione verrà discussa il 29 marzo prossimo in occasione della riunione del Comitato Centrale. Sarebbero più di 2000, infatti, i prigionieri politici che, a causa di questa norma, saranno esclusi dalle prossime elezioni, le prime degli ultimi vent’anni. L’ultimo appuntamento elettorale risale al 1990; in questa occasione la Lega Nazionale per la Democrazia aveva vinto l’82% dei seggi, 392 su 485, ma la giunta si era rifiutata di riconoscere il risultato e le elezioni erano state annullate. La NLD e gli altri partiti di opposizione sembrano non avere molte possibilità di scelta: se decidessero di non iscriversi alle liste per protestare contro la legge elettorale, non potrebbero partecipare alle elezioni e quindi indebolirebbero ulteriormente la loro posizione rispetto alla giunta. La scelta della NLD, quindi, è tra espellere il suo leader oppure rifiutarsi di assecondare la legge della giunta e, di conseguenza, rinunciare al proprio ruolo nello scenario politico birmano e alla propria influenza sul processo in corso.

ELEZIONI DEMOCRATICHE? – Nonostante le dichiarazioni degli ultimi anni della giunta birmana riguardo alla volontà di organizzare elezioni “libere” e multipartitiche nel 2010, i dubbi sulle loro reali intenzioni continuano ad aumentare. Un'altra legge, infatti, stabilisce che i membri della commissione elettorale, le cui decisioni non potranno essere appellate, saranno nominati dagli stessi militari. Già nella nuova Costituzione, approvata tramite referendum nel 2008, alcune norme mettevano in dubbio la regolarità delle elezioni; in particolare, un quarto dei seggi in parlamento vengono riservati ai militari, a prescindere dal risultato. A ciò si aggiunge il divieto di candidarsi alla presidenza ai cittadini birmani sposati con stranieri; anche in questo caso, la norma sembra creata apposta per escludere Suu Kyi, vedova del britannico Michael Aris. L’esclusione di importanti esponenti dell’opposizione rendono sempre meno credibili e legittime le prossime elezioni; il coinvolgimento di tutte le forze politiche e un processo giusto e inclusivo, che potrebbero rappresentare una svolta per il paese, appaiono ancora lontani.

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LA DETENZIONE DI AUNG SAN SUU KYI – Nonostante non sia stata annunciata ancora ufficialmente la data in cui i cittadini birmani saranno chiamati a votare, ciò non potrà che succedere prima della fine della pena detentiva del premio nobel Aung San Suu Kyi in novembre. Nell’agosto del 2009 la leader del NLD è stata condannata da un tribunale birmano a tre anni di lavori forzati, pena poi commutata a 18 mesi di arresti domiciliari, per violazione dei termini degli arresti domiciliari che già stava scontando. La donna, infatti, dal suo ritorno in Birmania nel 1988 ha trascorso più tempo agli arresti per motivi politici che in libertà: dal 1988 al 1995 nella sua casa di Rangoon, poi di nuovo dal 2000 al 2002 e dal 2003 al 2009.

Proprio poco tempo prima della fine dell’ultimo periodo di detenzione lo scorso anno è arrivato il verdetto che la condanna ad altri 18 mesi di arresti domiciliari. Secondo il giudice, in questa occasione, Suu Kyi avrebbe ospitato illegalmente nella propria casa a Rangoon un cittadino americano, John William Yettaw; l’uomo aveva raggiunto la sua casa attraversando a nuoto il lago adiacente e ha poi dichiarato di voler avvertire la donna di un suo sogno, nel quale veniva assassinata. Suu Kyi si è sempre dichiarata innocente e, considerate le circostanze del reato, i suoi legali si sono rivolti in appello alla Corte Costituzionale. Il verdetto negativo, annunciato il 26 febbraio, pochi giorni prima della pubblicazione delle leggi elettorali, non ha stupito considerato quanto il sistema giudiziario di questo paese sia condizionato dalle interferenze della giunta. La reazione di Suu Kyi alla legge elettorale non si è fatta attendere; il giorno dopo della pubblicazione si è rivolta direttamente ai cittadini birmani esortandoli affinché reagiscano contro questa legge “ingiusta” e “vergognosa”.

Valentina Origoni

16 marzo 2010

redazione@ilcaffegeopolitico.it

Foto: in alto, la leader della NDL Aung San Suu Kyi

Sotto: il leader della giunta militare birmana, il generale Than Shwe

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Valentina Origoni
Valentina Origoni

Laureata in Relazioni Internazionali a Bologna, lavoro da diversi anni nella cooperazione internazionale allo sviluppo e, in particolare, su progetti di aiuto umanitario in Asia, per organizzazioni non governative e per l’ONU. Sono appassionata di relazioni internazionali e geopolitica, e, in seguito alle mie missioni in paesi molto vulnerabili al cambiamento climatico, mi interesso alle questioni legate al riscaldamento globale e alle negoziazioni internazionali.

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