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Siria, un falso laboratorio di armi chimiche?

Nella guerra mediatica che, come in passato, ha seguito il presunto uso di armi chimiche in Siria, analizziamo alcune foto con l’aiuto di un esperto, per capire se davvero i russi hanno scoperto un laboratorio ribelle per armi chimiche.

I russi hanno recentemente dichiarato di aver scoperto un laboratorio di armi chimiche dei ribelli siriani a Douma, nella zona di Ghouta, dove il 7 aprile scorso sembra essersi verificato l’attacco chimico. Hanno fornito alcune foto a supporto e perciò affermato come siano i ribelli stessi a essere responsabili dell’eventuale uso di gas nervini tipo Sarin. Il sito di giornalismo investigativo Bellingcat ha smontato tale posizione con un articolo dettagliato, tuttavia, poiché anche fra noi esistono persone che lavorano in laboratori chimici di ricerca e sviluppo – avendo collaborato in passato persino con l’OPCW (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) a fini di formazione – e sono quindi abbastanza competenti in materia, abbiamo provato a valutare quanto presentato dalla Russia. Le foto in questione, pubblicate da Russia Today (RT) sono queste:

Le fotografie mostrano taniche piene di liquido indefinito e bottiglie per solventi e reagenti chimici in vetro scuro (come normale). Le foto sono sfocate e dunque non è possibile né leggere le etichette (oltre alla lingua, esistono pittogrammi che permetterebbero di avere qualche informazione in più), né capire se siano piene o no. Altri recipienti sono presenti, ma non è possibile determinarne il contenuto e nella foto in alto a destra sono presenti varie apparecchiature. Per chi di noi lavora in un laboratorio chimico di ricerca e sviluppo, una cosa però sembra chiara: il laboratorio è rudimentale e l’apparecchiatura non appare adatta a produrre reazioni chimiche come quelle necessarie per la produzione di gas nervini. Quella specie di “boiler” in alto a destra poi – oltre a non avere tubi che escano o entrino, cosa che indica non utilizzo, – appare molto simile a apparecchiature per la produzione di gas medicali o industriali come ossigeno o azoto.

La vetreria a destra di questa foto è costituita da un certo numero di comuni beute (i recipienti a forma di tronco di cono) e beaker (i recipienti cilindrici), ma senza chiusure o sistemi di sicurezza – non sono nemmeno presenti eventuali tappi. Alcune foto ravvicinate hanno però paradossalmente aiutato a chiarire meglio la natura di alcune delle apparecchiature:

Da questa immagine è infatti possibile leggere l’etichetta dell’apparecchiatura e questo ci ha permesso di capire come sia un recipiente per un sistema per la distribuzione gas medicali (identico a questo) per uso ospedaliero. In particolare, il sistema Mediplus Air Plant della ditta Medaes, di proprietà della Hill-Rom (oggi è invece BeaconMedaes, e il modello sopra mostrato sembra oggi non più prodotto) qui mostrato è un sistema per la purificazione dell’aria per sale operatorie e ospedali e non può essere utilizzato per la produzione di armi chimiche o qualunque altro tipo di analoga reazione chimica.

Questa immagine delle apparecchiature poste a lato ci ha invece permesso di notare tramite zoom delle etichette e del modello come tali macchine accanto siano compatibili con gli strumenti di controllo elettronico del sistema di purificazione sopra descritto, anche se sembrano dismessi da tempo (pannelli aperti, mancanza di tubi di connessione in posizione corretta…). Mancano inoltre in questo sito tutti i sistemi di sicurezza (anche solo banali “cappe aspiranti”).

Poiché però chi ci legge non può essere sicuro della nostra professionalità al riguardo, abbiamo pensato di intervistare un esperto esterno, il dott. Matteo Guidotti, Ricercatore all’ISTM (Istituto di Scienze e Tecnologie Molecolari) del CNR di Milano. Potete trovare il suo curriculum qui.

Il dott. Matteo Guidotti. Fonte: CNR

Buongiorno dott. Guidotti, cosa può dirci riguardo alle fotografie recentemente presentate come “prova” dell’esistenza di un laboratorio per armi chimiche dei ribelli siriani?

La vetreria, la strumentazione, le apparecchiature che si vedono nelle immagini sono abbastanza rudimentali. Sono dotazioni che si potrebbero trovare in un normale laboratorio di controllo qualità di prodotti alimentari o in un’officina specializzata che fa uso di prodotti chimici. Insomma, a parte l’enorme disordine e sporcizia, sembra di trovarsi in un laboratorio chimico per non “addetti ai lavori”, per operatori tecnici che conducono operazioni chimiche molto di base.
Per dare una valutazione corretta bisognerebbe vedere che tipo di sostanze chimiche sono contenute sugli scaffali e in quei contenitori nei reagentari. Dalle foto non si riesce a capire granché. Nelle bottiglie ci potrebbe essere di tutto e di più: capire che prodotti ci siano può fare la differenza. Tra l’altro, quell’apparato a forma di “scaldabagno” (si riferisce alla foto in alto a destra della slide di RT – NdR) non assomiglia a nulla di ciò che normalmente si trova in un laboratorio chimico.

È possibile allora che si tratti di un “falso” creato ad arte?

Non è da escludere – visto che la guerra in Siria è anche una guerra di immagini – che tale apparecchiatura possa essere davvero un pezzo di un impianto industriale che non c’entra assolutamente niente con il contesto e che è stato collocato lì per allestire una messa in scena. O meglio: da quanto ci è dato vedere, non si può escludere che non sia stata una messa in scena, un locale appartato dove hanno messo un po’ di roba raccogliticcia, un po’ di vetreria chimica, un po’ di bottiglie e quella “specie di scaldabagno”, aggiungendo poi ad arte un po’ di sudicio e di carte con qualche formula chimica per far apparire quello che vogliono che appaia.

A suo parere si possono comunque trarre alcune conclusioni?

Da quello che si vede, mi sento di escludere che in quel locale ci sia stata una manifattura di agenti aggressivi nervini – quello sì, – perché un qualsiasi operatore che ci avesse lavorato, a meno che non fosse un martire predestinato, sarebbe morto ancor prima di utilizzarli. E infatti, anche a Tokyo gli attentatori della setta fanatica (che utilizzò gas nervini nel 1995 – NdR) avevano della strumentazione di contenimento più avanzata, avevano almeno delle camere a guanti (glove boxes) per manipolare quelle sostanze in sicurezza. E qui non si vede nulla di tutto ciò.

Lorenzo Nannetti Pietro Costanzo

Image credits: tutte le immagini nel testo, ove non diversamente indicato, sono state fornite pubblicamente da agenzie stampa russe e siriane (RT, SANA)

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Sono passate più di due settimane dall’attacco a Douma e solo recentemente la missione dell’OPAC (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, in inglese OPCW), è riuscita a entrare nella zona per condurre le proprie investigazioni in seguito ai vari ritardi imposti dalle autorità siriane e a problemi di sicurezza. Il 18 aprile, quando la zona era già sotto controllo del Governo di Damasco, in uno dei siti una folla ha impedito di compiere le verifiche, mentre nell’altro sito elementi ignoti hanno aperto il fuoco contro la missione – in entrambi i casi è stato impossibile continuare. Dopo una prima visita finalmente eseguita il 21 aprile, la delegazione è tornata sul luogo il 25 aprile. Le probabilità di trovare indicazioni utili a fare chiarezza sull’evento sono tuttavia scarse: dopo circa due settimane (cadute proprio il 21 aprile), le eventuali tracce di gas negli organismi non sono infatti più rilevabili e dunque risulterebbe arduo, se non impossibile, verificare l’evento, anche in caso esso sia realmente accaduto.
Si è discusso molto, inoltre, del reportage di Robert Fisk, che visitando la zona ha parlato con medici che hanno smentito l’attacco chimico, fornendo versioni alternative. Tuttavia, come indicato ad esempio dal giornalista Daniele Raineri, altri giornalisti presenti alla visita hanno riportato testimonianze differenti. Per di più, il fatto che il sito fosse sotto controllo degli accusati (il regime di Damasco) prima della visita dei giornalisti pone dubbi circa la possibilità che il sito sia stato “ripulito” (anche in termini di testimoni scomodi) prima delle verifiche.
Per questi motivi è difficile che possano essere fornite prove definitive sul caso in qualsiasi senso, e questo probabilmente continuerà ad alimentare la retorica opposta dei due schieramenti. [/box]

Foto di copertina di Jordi Bernabeu Licenza: Attribution License

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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