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Il complicato ruolo dell’Australia nel Pacifico

L’ascesa della Cina nello scacchiere internazionale è un ormai un dato di fatto. In particolare, l’Australia rappresenta un partner importante per Pechino nel Pacifico. Ma le relazioni tra Cina e Australia, dopo un periodo d’importanti passi avanti, sono quasi ai minimi storici. La causa? Le presunte ingerenze cinesi nella politica interna australiana

RAPPORTI AUSTRALIA-CINA: NON SOLO ECONOMIA

Il 2017 è stato il 45esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Australia e Cina. Nello stesso periodo il Premier Turnbull e il Primo Ministro cinese Li Keqiang, nel siglare nuovi accordi di libero scambio, auspicavano un rafforzamento della cooperazione economica tra i due Paesi in risposta all’uscita deli Stati Uniti dal TPP. Tuttavia quei mutui auspici, oggi, sembrano un vago ricordo. Ma riavvolgiamo il nastro.
Sin dal riconoscimento politico della Repubblica popolare nel 1972, i due Paesi hanno visto i loro rapporti crescere considerevolmente. Politicamente fanno entrambi parte di numerose organizzazioni internazionali, oltre che avere ottimi rapporti bilaterali. La Cina, inoltre, è in questo momento il maggiore partner commerciale australiano, con scambi nel 2016 per un valore di 115 miliardi di dollari. Il principale nodo della relazione riguarda la carenza cinese di energia e minerali, indispensabili per lo sviluppo del gigante asiatico; carenza che viene compensata dalla grande offerta di ferro e carbone australiani. Nel 2014 i due Paesi hanno, non a caso, firmato uno storico trattato per l’abolizione di alcuni dazi.
I rapporti economici, uniti alla presenza di ingenti flussi d’immigrazione e turismo cinesi verso l’Australia, hanno creato nel tempo un positivo sincretismo culturale. Per citare un esempio, quest’anno, 1.4 milioni di persone sono arrivate dalla Cina per assistere all’ultimo capodanno cinese di Sydney. L’offerta di scambi educativi, inoltre, rappresenta per entrambi i Paesi un’enorme fonte di arricchimento. Nel 2016 si contavano 160mila studenti cinesi.
Ma non è tutto rose e fiori, soprattutto per l’Australia, che è al contempo un alleato storico degli Stati Uniti.

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Fig. 1 – Alcuni membri della comunitĂ  cinese in Australia seguono le gare delle Olimpiadi di Pechino nel 2008

UN “CHINAGATE” A CANBERRA?

Mentre oltreoceano si continua a parlare di “Russiagate”, in Australia, negli ultimi mesi del 2017, sono rimbalzati una serie di scandali e reportage sull’ingerenza cinese nella politica interna del Paese. Un’investigazione congiunta dell’ABC e Fairfax Media, in diretta televisiva, ha mostrato all’intero paese come il Partito Comunista cinese avesse indirettamente influenzato la politica australiana. Divulgando un lavoro d’intelligence dei servizi segreti australiani, il reportage mirava a mostrare connessioni tra il Partito comunista e un paio di magnati cinesi, utilizzati per esercitare questa indebita influenza. La miccia dell’inchiesta sono state alcune donazioni, risalenti a questi ricchi imprenditori, ai principali partiti politici australiani. Altre fonti giornalistiche avrebbero confermato questo preoccupante scenario. Come accade spesso in questi casi, rimangono ancora molto controverse le prove di queste connessioni, ma il dibattito politico si è surriscaldato. E questo non ha chiaramente giovato ai rapporti di amicizia sino-australiani.
Il Primo Ministro Turnbull, in risposta agli “inquietanti report”, ha annunciato a dicembre una legge per contrastare la minaccia. Nonostante alcune critiche da sinistra, si vorrebbe adottare, sul modello del US Foreign Agents Registry, un registro nel quale chi lavora per conto di altri Paesi debba iscriversi, comunicando intenzioni e informazioni. Verrebbe inoltre rafforzata la legge sullo spionaggio e proibite le donazioni dall’estero a forze politiche nazionali.
La risposta cinese non si è fatta attendere, con un esplicito invito all’abbandono di queste ipotesi, in nome delle forti e stabili connessioni economiche. I media australiani sono stati additati come “irresponsabili”, mentre Turnbull è stato accusato di aver “avvelenato il clima di relazioni tra Cina e Australia”. Si sostiene, tuttavia, che siano i media, piĂą che i legislatori, il primo obiettivo di questi ammonimenti. L’obiettivo, infatti, è calmare l’opinione pubblica e salvaguardare i residenti cinesi all’estero.
Fra le conseguenze di questa “tempesta”, oltre a un passo indietro per l’integrazione commerciale, troviamo anche i pericoli per la cooperazione tra i due Paesi nel settore educativo. Molti ragazzi cinesi, che rappresentano il quasi 30% del corpo studenti internazionale in Australia, rischiano di trovarsi di botto in un clima a loro ostile e diffidente (sono anche loro accusati di essere usati dalla madrepatria come mezzo di ingerenza nella politica australiana).

 LA CRISI DEL MAR CINESE MERIDIONALE E IL RUOLO AUSTRALIANO NEL PACIFICO

Il rapporto fra i due Paesi non sarebbe esaustivamente analizzabile se non si tenesse in considerazione la situazione geopolitica che riguarda il Pacifico.
Il Mar Cinese Meridionale, oltre a essere ricco di risorse naturali ed energetiche, è commercialmente e militarmente strategico per tutti gli attori coinvolti nel Pacifico. Ciò ne fa uno dei territori più contesi del mondo. La Cina dal 1947 ne rivendica il 90% del territorio. Ma, di fatto, se varie questioni sono state formalmente risolte attraverso il diritto internazionale, molte isole e arcipelaghi sono occupate militarmente da svariate nazioni del continente, come Vietnam e Filippine, creando scompiglio e scontri da decenni. Dal 2016 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha dichiarato infondate le pretese di estensione delle sovranità cinese su buona parte dell’area, stigmatizzando inoltre la decisione di Pechino di costruire alcune isole artificiali dannose per l’ecosistema locale. La Cina non ha riconosciuto la sentenza e la situazione attuale mette a forte rischio la libertà di navigazione e sorvolo regionali, seppure le autorità cinesi rivendichino la presenza di armamenti sugli isolotti artificiali a solo scopo difensivo e civile.
Che ruolo ha l’Australia in questo contesto? Oltre ai propri interessi economici, l’Australia, in quanto stretta alleata statunitense, svolge un importante ruolo di controllo e garanzia dei diritti di navigazione e commercio nel Mar Cinese Meridionale. Dal 1980, grazie all’Operazione Gateway, Canberra pattuglia strategicamente l’intera zona in questione, sia con navi sia con aerei. Con non pochi malumori cinesi. Nonostante le recenti esibizioni di forza di Pechino, l’Australia non si è mostrata finora molto dura verso la Cina, ma sta tentando attraverso la diplomazia di calmare questa pericolosa corsa agli armamenti regionali. In sostanza, non proprio un clima disteso.

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Fig. 2 – Il Primo Ministro australiano Turnbull insieme a Donald Trump durante la sua visita a Washington dello scorso febbraio

GLI STATI UNITI ALLA FINESTRA

 Mentre la Cina continua con il suo grandioso progetto della “Nuova Via della Seta”, gli Stati Uniti, per motivi economici e politici, stanno in tutti modi cercando di competere nel continente asiatico, riportando a galla una vecchia conoscenza: la cosiddetta “Quad” (un’alleanza strategica, basata sulla condivisione di esercitazioni e informazioni militari, tra Australia, India, Giappone e Stati Uniti). Durata solo un paio d’anni nel 2007-2008, causa l’ambivalenza politica dell’allora Governo australiano, che non voleva inimicarsi la Cina, nel summit ASEAN 2017 l’alleanza è stata di nuovo oggetto di negoziati tra i Paesi coinvolti. L’obiettivo è contrastare la già citata avanzata militare di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Non solo, sarebbe anche in cantiere un progetto di alleanza commerciale sul modello della stessa “Nuova Via della Seta”. Il recente cordiale incontro alla Casa Bianca tra Trump e Turnbull è testimone di questo impegno. Gli avvenimenti starebbero quindi portando l’Australia a schierarsi dalla parte della potenza statunitense, in virtù anche gli impegni congiunti di pattugliamento nel Pacifico. E proprio questo incontro ha portato a un ulteriore raffreddamento dei rapporti sino-australiani, con Pechino che sta rimandando alcuni scambi diplomatici. Questa strategica decisione serve per mettere pressione all’Australia, spingendola a rivedere le posizioni “anti-cinesi”, ma potrebbe portare a un’ulteriore escalation tra i due paesi.
In conclusione, l’Australia si trova attualmente al centro della rivalità tra Cina e USA in Asia-Pacifico. I vantaggi economici porterebbero il Governo di Canberra ad accomodare le politiche cinesi, ma, dal punto di vista geopolitico, l’Australia è maggiormente garantita dallo storico alleato a stelle e strisce. Dove penderà l’ago della bilancia?

Mario Janiri

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

FBI e CIA hanno avvertito di un altro potenziale pericolo per la cyber-security del paese: il progetto Huawei, che già in passato era stata oggetto di controversie. Il colosso della rete mobile cinese potrebbe incaricarsi di costruire una rete 5G nel Paese, minando la sicurezza del trattamento di dati e informazioni sensibili. [/box]

Foto di copertina di MickiTakesPictures Licenza: Attribution-NoDerivs License

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Mario Janiri
Mario Janirihttp://ilcaffegeopolitico.org

Nato a Roma nel 1994, laurea triennale in “Economia Aziendale e Management” conseguita a Milano, Bocconi. Sono attualmente iscritto a un corso specialistico riguardante Economia e Politiche pubbliche. Mi sono spinto a collaborare con il Caffè Geopolitico per la mia passione per politica, relazioni internazionali ed economia. Sono un amante delle lingue, conosco l’inglese, lo spagnolo e sto studiando portoghese. Altri interessi comprendono la musica, i viaggi e il cinema.

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