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Un’altra bocca messa a tacere: il caso Wu Gan e la censura in Cina

In 3 sorsi – La condanna a otto anni di carcere del blogger cinese Wu Gan è l’ennesima dimostrazione che in Cina si può parlare solo a certe condizioni. E con molta cautela

1. IL “MACELLAIO VOLGARE”

Wu Gan è un blogger e attivista cinese, soprannominato il “super macellaio volgare per le sue dimostrazioni in strada e i suoi discorsi pubblicati in rete contro le ingiustizie del Governo e a favore dei diritti umani. Le azioni di protesta di Wu, tramite Internet e manifestazioni, sono cominciate tra il 2008 e il 2009, quando avviò una campagna a favore della cameriera Deng  Yujiao, arrestata e condannata per aver ucciso un funzionario del Governo nel tentativo di difendersi dalle molestie sessuali di quest’ultimo. Da allora, il “macellaio volgare” non si è fermato fino all’arresto avvenuto nel 2015 in occasione di una sua protesta nella cittĂ  di Nanchang, nello Jiangxi, a sostegno degli avvocati minacciati dal Governo per aver preso le difese di alcuni condannati dopo essere stati forzati a confessare. In un suo video Wu Gan afferma semplicemente di voler rendere la sua nazione un posto piĂą felice. Dopo 27 mesi di detenzione, durante i quali è stato sottoposto a diverse pressioni per confessare – come dichiarato al suo avvocato -, l’uomo è stato messo sotto processo il 14 agosto 2017, a cui è seguita il 26 dicembre scorso la condanna a 8 anni di carcere per sovversione nei confronti dello Stato. In tutto questo tempo, i media e la polizia hanno provato a screditare i gesti di Wu Gan, facendoli apparire come altamente ribelli nei confronti del Governo; la sentenza, infatti, lo accusa di minacciare seriamente la sicurezza nazionale e la stabilitĂ  sociale.

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Fig. 1 – Manifestazione a Hong Kong per la liberazione di Wu Gan dopo la sua condanna a 8 anni di carcere, 27 dicembre 2017

2. DA MAO A XI

Dalla proclamazione della Repubblica popolare cinese con Mao Zedong nel 1949, la libertĂ  di espressione è sempre stata vincolata alla linea del Partito Comunista, con conseguenti limitazioni, sebbene essa sia formalmente riconosciuta all’interno della Costituzione. E se la Rivoluzione culturale o le proteste di Tiananmen del 1989 sono considerati eventi di un passato vietato da ricordare nella Cina del nuovo millennio, l’odierna repressione dei diritti umani e della libertĂ  di parola mostrano un regime poco incline alle trasformazioni e molto fedele al Libretto Rosso. Molte organizzazioni che monitorano il rispetto dei diritti umani nel mondo sostengono che, con l’elezione di Xi Jinping a capo del Governo e del partito nel 2012, le limitazioni alla libertĂ  di stampa e di espressione sono diventate piĂą stringenti. Nel suo report per l’anno 2016, ad esempio, Human Rights Watch definisce la Cina come uno degli ambienti piĂą restrittivi per i media e con il sistema di censura piĂą sofisticato. Le autoritĂ , infatti, controllano tutti i media – dai giornali cartacei a quelli online, dai film ai programmi televisivi – affinchĂ© ogni loro prodotto sia in linea con i dettami ideologici del Partito Comunista, in modo da garantire la stabilitĂ  politica. Non vengono risparmiati neanche i giornalisti stranieri, ai quali spesso è persino vietato il visto, provocando anche delle crisi diplomatiche.

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Fig. 2 – Xi Jinping durante il discorso di apertura del XIX Congresso del Partito Comunista cinese, 18 ottobre 2017

3. VECCHI E NUOVI METODI DI CENSURA

Tutte le attività dei mezzi di informazione sono controllate attraverso il Dipartimento per la propaganda centrale del Partito, con più di due milioni di collaboratori che seguono regolarmente la produzione dei media locali e stranieri. Oltre ai metodi tipici dei regimi dittatoriali (intimidazioni, minacce, arresti), le voci scomode al Governo sono controllate e soppresse tramite infrastrutture di telecomunicazioni statali, come il Great Firewall, che bloccano siti web, blog e applicazioni telefoniche in caso di atteggiamenti contrari al Partito. Inoltre, i principali canali di informazione sono direttamente di proprietà dello Stato, mentre le maggiori piattaforme online mondiali (Youtube, Facebook, Twitter, Google) sono completamente vietate agli utenti cinesi e a chiunque si rechi in Cina, se non connettendosi tramite la rete di telecomunicazione privata VPN, spesso minacciata di chiusura da parte dello Stato cinese. L’ultimo ostacolo, in ordine di tempo, imposto alla libertà di espressione in ogni sua forma è arrivato lo scorso novembre con la Cyber Security Law, una legge che permette di controllare maggiormente ogni contenuto online. Nonostante tutto ciò, non mancano individui e associazioni non governative che si oppongono a queste restrizioni, come l’organizzazione Chinese Pen Centre, a sostegno della libertà di espressione per gli scrittori cinesi, e il Premio Nobel per la pace Liu Xiaobo. Quest’ultimo, in particolare, nel 2008 pubblicò un manifesto, la Charta 08, nel quale propugnava una svolta più democratica della Cina, compresa la promozione della libertà di parola, di pensiero e di stampa. Liu Xiaobo fu arrestato e condannato a undici anni di carcere per “incitamento alla sovversione dell’ordine statale”, pagando con la sua libertà personale la lotta affinché il popolo cinese possa godere di maggiori libertà. Il destino del Premio Nobel, morto lo scorso luglio pochi giorni dopo il rilascio per motivi di salute, sembra rivivere in Wu Gan, la cui condanna è un chiaro segnale che Charta 08 è ancora lontano dal poter essere messo in pratica perché il Governo continua a mantenere una dura linea censoria e repressiva.

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Fig. 3 – La cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo nel dicembre 2010. La sedia vuota sarebbe dovuta essere occupata da Liu, che non ha potuto prendere parte alla cerimonia perchè in carcere

Roberta Maddalena

 [box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Alcune organizzazioni straniere per la tutela dei diritti umani hanno notato una particolare caratteristica dei periodi in cui vengono emanate le condanne dai tribunali cinesi che possono avere maggiore risonanza mondiale. Wu Gan è stato infatti condannato il 26 dicembre, ovvero nel periodo natalizio, e secondo alcuni osservatori non si tratta di un caso. Al contrario, la scelta di tale data deriva dal fatto che, essendo un momento festivo per la maggior parte del mondo (in Cina natale e il nuovo anno sono celebrati alla fine di gennaio), giornalisti e funzionari diplomatici stranieri sarebbero meno attenti a quanto succede nel Paese asiatico e quindi meno propensi a intraprendere azioni di protesta contro questo tipo di sentenze.[/box]

Foto di copertina di tomscy2000 Licenza: Attribution License

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Roberta Maddalena
Roberta Maddalena

Sono nata nella provincia di Benevento nel 1992. Mi sono laureata In Mediazione Linguistica e culturale presso l’Università per stranieri di Siena e attualmente sono iscritta al corso di laurea magistrale in Scienze Internazionali dell’Università di Torino. Ho svolto un Erasmus alla Durham University (Inghilterra), un tirocinio presso un’ONG a Pechino e al momento mi trovo a Budapest per un Erasmus Traineeship. Durante i miei viaggi all’estero ho scoperto la mia passione per le relazioni internazionali e in particolare per i diritti umani, nel cui ambito mi piacerebbe lavorare. In attesa di concludere gli studi e trovare un lavoro, darò voce a questa mia passione con qualche articolo.

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