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Gwadar, l’ultima perla della collana cinese

Il porto di Gwadar è uno scalo di recente costruzione, posto in posizione strategica non lontano dallo stretto di Hormuz, in territorio pakistano. Da gennaio 2013, revocata la concessione accordata a Singapore, la compagnia cinese China Harbor Engineering Company ha rilevato il porto. Perchè è così importante in ottica geopolitica?

 

STORIA DELLO SCALO – Il porto di Gwadar si colloca in un punto baricentrico tra Asia Centrale, Oceano Pacifico e Medio Oriente, intercettando un nodo di stoccaggio petrolifero di rilevanza mondiale. In passato enclave omanita, è stato riscattato dal Pakistan nel 1958. Tuttavia il porto è stato a lungo inattivo e poco attrezzato. Nel 1973, in seguito alla visita di Nixon in Pakistan, Zulfikar Ali Bhutto chiese aiuto agli Stati Uniti per costruire uno scalo maggiore, offrendolo in cambio come base di appoggio per la flotta americana. L’offerta fu rifiutata ed il porto è rimasto pressochè inattivo fino al 2002, quando la Cina ha investito 200 milioni di dollari per attrezzare il porto, che è stato poi dato in concessione a Singapore dal 2007. Singapore non ha investito molto nell’area e, nel 2010, il Pakistan ha chiesto la revoca della concessione, ora accordata alla Cina, la quale invece ha maturato crescente interesse nella zona. Il programma di costruzione iniziato nel 2007 e non ancora terminato è ancora più ambizioso di quello del 2002. La spesa complessiva prevista è di 932 milioni di dollari, permetterà di triplicare il traffico navale e comprenderà la possibilità di ospitare petroliere e  stoccare fino a 19 milioni di tonnellate di greggio ogni anno. Il petrolio verrebbe raffinato in loco per poi raggiungere la Cina.

 

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI GWADAR – Il valore strategico del porto è stato accresciuto notevolmente da una serie di grandi opere, in parte costruite e in parte previste, che permetterebbero alla Cina di approviggionarsi di petrolio e materie prime attraverso il Pakistan. La Karakorum Highway, la più alta strada asfaltata al mondo, verrà connessa al porto di Gwadar fornendo quindi un collegamento diretto su gomma. L’utilità di questo primo collegamento è messa in dubbio dalla ridotta carreggiata della Highway ma anche da fattori esterni legati alla sicurezza. La strada percorre infatti le aree più instabili di entrambi i Paesi, il Balochistan e lo Xinjiang, entrambi teatri di sommosse e virulenti moti di protesta in chiave separatista. Entrambe le province sono state anche teatro di attentati terroristici. A questo dovrebbero porre rimedio due ulteriori opere, la cui portata è a dir poco faraonica. La prima è una linea ferroviaria di 3000 km che congiungerebbe Gwadar a Kashgar. Il costo è proibitivo, con un massimo previsto, in montagna, di 30 milioni di dollari al chilometro. Ma la Cina, che recentemente ha dato ulteriore impulso ai propri investimenti esteri diretti, non sembra voler badare a spese. La seconda opera, che però ha ancora un futuro incerto, è l’oleodotto tra Iran e Pakistan, un tempo concepito per servire l’India attraversando il Pakistan e che ora la Cina propone di modificare e ampliare per includere Gwadar e seguire lo stesso percorso della tratta ferroviaria. Il Pakistan ha offerto alla Cina anche la possibilità di fare di Gwadar una base navale, ma Pechino ha fino ad oggi rifiutato, servendosi della base solo per attività di intelligence e appoggio logistico.

 

LA “COLLANA DI PERLE” – Il termine “Collana di Perle” è stato coniato (in Occidente) per descrivere la politica cinese nell’Oceano Indiano. La Cina risente pesantemente della sua collocazione geografica, relativamente distante dalle principali linee di comunicazione marittime occidentali. Inoltre la presenza della US Navy e della marina indiana limitano la libertà di azione cinese. La Cina ha sviluppato una catena di “punti di influenza”, importanti capisaldi strategici sia dal punto di vista economico-commerciale che militare. Il punto più critico della collana è stato fino ad ora lo stretto di Malacca (Malacca dilemma), ma con l’estensione ad ovest degli interessi di Pechino anche Hormuz è diventato parte dei grandi giochi asiatici. La collana cinese comprende oggi 15 perle e si estende da Hong Kong a Port Sudan, toccando anche Vietnam, Thailandia, Myanmar, Bangladesh, Sri Lanka, Maldive, Pakistan, Iraq e Kenia. La quantità di investimenti posti in essere e la capacità di ottenere politicamente snodi e punti chiave sono decisamente stupefacenti. Ma, al momento attuale, insufficienti. La complessa catena di facilities, nonostante includa basi militari e progetti di allargamento, è debole nei confronti dell’eventuale interdizione aeronavale americana e/o indiana. Forse è per questo che la Cina ha rifiutato, solo per il momento, la generosa offerta pakistana di una base militare. Una squadra navale a Gwadar potrebbe essere un gigante dai piedi di argilla, se i collegamenti con la Cina venissero interrotti dal cedimento di una o più “perle” in caso di crisi. Bisogna prima assicurarsi un’alternativa strategica, e qui entra in gioco Gwadar. Il porto permetterebbe di fornire una valida alternativa alla collana di perle, creando la ridondanza necessaria per mettere al sicuro risorse energetiche e capacità militari. Insomma, si sono appena aperti grandi giochi. L’India, dal canto suo, ha in fondo accettato di buon grado il gioco cinese, perchè il suo ruolo come potenza navale è fino ad oggi cresciuto in importanza e responsabilità. Anche qui entra in gioco Gwadar, la cui rilevanza strategica potrebbe sminuire in futuro l’importanza dell’interdizione indiana nel Pacifico. Di conseguenza New Dehli non vuole rimanere indietro, e ha offerto aiuto all’Iran per la costruzione dello scalo di Chahbahar, non lontano da Gwadar. Questa mossa non piace agli Usa dal momento che, tra India, Pakistan e Cina, l’Iran comincia ad essere molto meno isolato di quello che, nei desideri americani, dovrebbe. Riassumendo, nonostante il corteggiamento di Washington, l’India non si accontenterà di fare “l’ascaro”, ma vuole giocare da protagonista. La Cina, assetata di energia e materie prime, sta finalmente consolidando le proprie posizioni verso Medio Oriente e Africa. Gli Stati Uniti, che si sentivano già con un piede in Est Asia, fanno sempre più fatica a staccare il secondo dal Medio Oriente.

 

La "Collana di Perle" cinese.
La “Collana di Perle” cinese

 

QUO VADIS PAKISTAN? – Nel quadro che abbiamo tracciato manca un ultimo protagonista, il Pakistan. Enduring Freedom e ISAF sono stati una bella opportunità per Islamabad. Le strade del Pakistan sono state abbondantemente trafficate da decine di convogli per l’approvvigionamento delle truppe Alleate in Afghanistan. Questo ha portato posti di lavoro, infrastrutture e soldi, in aggiunta alla ripresa degli aiuti americani e delle forniture militari. Dal 2014, con il ritiro dall’Afghanistan, le cose cambieranno. L’economia pakistana in questi anni è divenuta dipendente dalla missione in Afghanistan perchè il Paese ha  acquisito una certa importanza come Paese-ponte per i rifornimenti alleati. Ora Islamabad si trova nella situazione di dover provvedere alternative economiche e di non perdere visibilità. La paura del Governo è che, una volta andati via i riflettori, il Pakistan cada nel dimenticatoio perdendo qualunque ruolo di rilievo e accusando un duro colpo economicamente. A questo si aggiunge la precaria situazione polica, che vede un Paese instabile e tormentato. Oltre il danno la beffa: il nemico di sempre, l’India, è invece in pieno sviluppo e additata come potenza nascente e possibile contraltare all’esuberanza cinese. E proprio alla Cina il Pakistan si rivolge per cercare una nuova dimensione. I rapporti diplomatici nell’ultimo anno si sono stretti ulteriormente, i programmi di cooperazione (anche in ambito militare) rafforzati. Gwadar è un ulteriore tassello che il Governo pakistano vuole mettere per conquistare visibilità internazionale. Ancora una volta la merce di scambio è il proprio territorio come punto di passaggio privilegiato. La mossa di Gwadar è l’ultimo colpo di coda dell’attuale Governo, agli sgoccioli del proprio mandato, nel tentativo di guadagnare consenso e di rappacificare le regioni più turbolente e destabilizzanti. E’ notizia del 7 Aprile che Islamabad ha appena rafforzato Gwadar con un reggimento di marines, che dovranno mantere una cornice di sicurezza adeguata al proseguimento dei lavori e all’operatività del porto.

 

Marco Giulio Barone

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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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