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Profeta in patria

I Palestinesi non lo possono vedere, con Obama il feeling è quasi inesistente, l’immagine internazionale precaria. In Israele invece Netanyahu e il suo governo acquistano consensi, mentre si profila la clamorosa possibilità di creare un governo di unità nazionale con Kadima. Solo fantapolitica?

NETANYAHU PIACE AD ISRAELE – A meno di un anno dalle ultime elezioni, l’orizzonte politico di Israele appare profondamente diverso da quello uscito dalle urne lo scorso 10 Febbraio: da che il centrista Kadima, guidato dall’ex Ministro degli Esteri Tzipi Livni, risultava essere il maggiore partito del paese, un recente sondaggio del quotidiano locale Ha’Aretz ha rivelato (al di là delle proteste dei coloni degli ultimi giorni) un notevole incremento di popolarità da parte sia dell’attuale premier, Binyamin Netanyahu, che del suo partito di centro-destra Likud. Inoltre tale slittamento di consensi, aggiunge Ha’Aretz, non riguarda soltanto questi due schieramenti, ma anche lo storico Partito Laburista (Avodah), il cui sostegno popolare tocca ormai i minimi storici. In generale, si può quindi affermare che il blocco dei partiti di destra si sta rafforzando sempre più, in un flusso di supporto da parte dell’opinione pubblica che vede Avodah indebolita a favore di Kadima, e Kadima a sua volta indebolita a favore di Likud. 

LE RAGIONI DEL CONSENSO – Ma quali sono i motivi alla base di tale incremento di popolarità a favore del premier e del suo Governo? Le ragioni sono principalmente due. La prima è una maggiore apertura rispetto al passato mostrata riguardo la creazione di uno Stato Palestinese, apertura tra l’altro condivisa da gran parte della popolazione israeliana: fino a prima della sua elezione infatti Netanyahu non si era mai sbilanciato a ritenere ammissibile la creazione di tale Stato; tuttavia da qualche mese a questa parte ha assunto l’impegno, almeno verbalmente, di appoggiare la nascita di uno Stato palestinese alle due condizioni che la controparte riconosca il diritto di Israele ad esistere in quanto Stato Ebraico, e che tale Stato sia demilitarizzato, al fine di non rappresentare una minaccia alla sicurezza di Israele. La seconda ragione è invece il modo in cui Netanyahu sta gestendo le relazioni diplomatiche del proprio paese, ed in particolare quelle con l’Amministrazione Obama, un’Amministrazione percepita come ostile da oltre il 90% degli israeliani. Nelle trattative sul congelamento delle costruzioni nelle colonie, il premier è riuscito infatti a raggiungere un compromesso soddisfacente per il suo Governo.  Da un lato infatti, avendo imposto un blocco soltanto parziale e temporaneo con termine di 10 mesi, non ha costretto l’opinione pubblica israeliana ad ingoiare un boccone considerato da molti troppo amaro; dall’altro invece ha mostrato agli Usa la disponibilità di fare almeno qualche passo in avanti in prospettiva della riapertura delle trattative di pace con i palestinesi, senza però assecondare completamente le richieste del team di Obama.

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UNITA’ NAZIONALE? – Tuttavia, nonostante i crescenti consensi conquistati in patria dall’esecutivo, lo scenario che si sta profilando nel prossimo futuro di Israele non è sicuramente dei più rosei. Da un lato i rapporti con l’Amministrazione Obama, al contrario di ciò che entrambe le parti affermano, vanno evidentemente deteriorandosi; dall’altro il fatto che l’Iran stia continuando inesorabilmente il processo per dotarsi dell’energia nucleare, rischia di mettere Netanyahu di fronte a delle scelte molto difficili. A questo si aggiunge, come se non bastasse, un processo di pace con i palestinesi che stenta a decollare. È per questo motivo quindi che l’opinione pubblica israeliana e diversi esperti iniziano a vedere particolarmente di buon occhio la possibilità di un Governo di unità nazionale che includa anche Kadima: ciò gioverebbe particolarmente allo Stato Ebraico non solo in quanto renderebbe più credibile la sua immagine sulla scena internazionale, ma anche perché darebbe grandissima stabilità alla politica interna del paese, fornendo al Governo Netanyahu  una maggioranza schiacciante alla Knesset (il parlamento israeliano) di 93 parlamentari su 120. Al livello teorico, un’alleanza tra Likud e Kadima non è poi così impensabile. Le differenze ideologiche tra i due partiti in fondo sono tutt’altro che profonde: la maggior parte dei fondatori e dei membri di Kadima sono infatti ex membri del Likud defluiti nel nuovo partito seguendo Ariel Sharon nel 2005; inoltre, se Netanyahu intendesse seriamente perseguire la strada che porti alla creazione di uno Stato palestinese indipendente, i programmi dei due partiti apparirebbero quanto mai simili. Quello che però, all’atto pratico, rende ancora utopica una prospettiva del genere, è l’astio e la forte rivalità personale che separa i leader dei due partiti, Netanyahu e Livni. Saranno capaci i due di lasciarsi alle spalle le questioni personali al fine di unire le forze per il bene del paese? In effetti non sarebbe affatto la prima volta in Israele che, in tempi di difficoltà politica interna ed esterna, si accantonino le divergenze tra i vari partiti e si crei un Governo di unità nazionale che guidi il paese in acque burrascose. Sicuramente, al giorno d’oggi, la speranza di gran parte della popolazione israeliana è che ciò possa avvenire di nuovo. E al più presto. 

David Braha redazione@ilcaffegeopolitico.it

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