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Ci mancava l’hotel

Gerusalemme Est: il progetto di trasformare l’Hotel Shepard in una ventina di appartamenti tocca un nervo scoperto della diatriba israelo-palestinese 

Nella foto, il muro che divide Gerusalemme Est dalla cittadina palestinese di Abu Dis

IL FATTO – Irving Moskovitz. Questo il nome dell’uomo che ha portato ad un nuovo innalzamento di tensione tra Israeliani e Palestinesi. Ebreo americano, Moskovitz nel lontano 1985 ha acquistato a Gerusalemme Est l’Hotel Shepard, che nei suoi piani ora dovrebbe diventare un agglomerato di una ventina di appartamenti, oltre ad un parcheggio sotterraneo di tre livelli. La costruzione di tali unità abitative nella parte gerosolimitana abitata dai Palestinesi ha provocato nuovi turbamenti, tanto da muovere anche il Dipartimento di Stato americano. Micheal Oren, ambasciatore israeliano a Washington, è stato così convocato dal Dipartimento, che ha chiesto che il governo israeliano fermi il progetto, alla luce della volontà dell’amministrazione Obama di congelare la costruzione degli insediamenti.

LIMITAZIONI? INACCETTABILI – La risposta di Oren non si è fatta attendere, e ha ricalcato completamente l’opinione del governo israeliano. Egli ha affermato che Gerusalemme Est non è diversa da qualsiasi altro luogo dello Stato Israeliano. Non si può paragonare questa questione al tema degli insediamenti, e pertanto il governo non può accettare una tale richiesta. Il premier Netanyahu non ha fatto altro che confermare e rinvigorire tali parole. Questi i concetti chiave espressi dal capo di governo: “La sovranità israeliana su Gerusalemme non è in discussione, e qualsiasi tipo di limitazione è inaccettabile; Gerusalemme unificata è la capitale di Israele, e a tutti i cittadini è permesso acquistare proprietà in qualsiasi parte della città. Agli Arabi israeliani non è vietato costruire case a Gerusalemme Ovest; allo stesso modo, per gli Ebrei devono essere garantiti eguali diritti a Gerusalemme Est. Questa vicenda non può aver alcun collegamento con la questione degli insediamenti”. Dure le reazioni palestinesi: secondo Abu Mazen, Presidente palestinese, “Il governo israeliano sta ebraicizzando Gerusalemme Est”.

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UN PROBLEMA? NO, “IL” PROBLEMA – Ma cosa c’è in gioco? Molto più di quello che sembra. Gerusalemme Est non è una delle questioni. Gerusalemme Est è “la” questione. I negoziati di Camp David, che nel luglio 2000 segnarono miseramente il fallimento del processo di pace di Oslo degli anni ’90, sono lì a testimoniarlo. Anche quando si trovasse (cosa già di per sé quanto mai complicata) un accordo su confini, questioni di sicurezza, ritorno dei profughi, insediamenti, ci si dovrebbe sempre scontrare con il tema più intricato, quello di Gerusalemme. La parte Est della città, conquistata dagli Israeliani nel 1967, è tuttora considerata dalla comunità internazionale alla stregua di un’area occupata (tanto è vero che tutte le ambasciate in Israele sono a Tel Aviv e non a Gerusalemme). Senza entrare nell’ancor più delicata questione degli accordi relativi allo status della città vecchia (la questione della sovranità sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif, dove sono collocati il Muro del Pianto e la Spianata delle Moschee, luogo più sacro ebraico e terzo luogo più sacro dell’Islam), il punto è che su Gerusalemme le posizioni sembrano quanto mai inconciliabili. Israele nel 1980 ha dichiarato Gerusalemme “capitale unica, eterna e indivisibile dello Stato d’Israele”. Da sempre, e come confermato in questa occasione dal negoziatore Saeb Erekat, i Palestinesi dichiarano che “non vi sarà mai uno Stato palestinese senza Gerusalemme capitale”. Facile comprendere come da visioni così radicali nascano facilmente grandi tensioni. In una situazione in cui a buona parte della popolazione palestinese di Gerusalemme Est viene negato il permesso di costruire abitazioni (e non di rado capita che quelli che provano a costruirle senza permesso si vedono la propria casa demolita per ordine della municipalità di Gerusalemme), mentre gli Israeliani continuano a costruire su terre quantomeno oggetto di controversia, e su cui la comunità internazionale si è più volte espressa chiaramente, ecco che un fatto apparentemente piccolo come il progetto di Moskovitz equivale a spargere taniche e taniche di benzina su un fuoco di per sé assai scoppiettante. E così, le due Gerusalemme, Yerushalaim (la Gerusalemme ebraica) e Al Quds (la Gerusalemme palestinese) si allontano sempre di più. E con loro, appaiono sempre più distanti anche le possibilità di accordi tra le parti nel breve-medio periodo.  

Alberto Rossi redazione@ilcaffegeopolitico.it

Nella foto, Gerusalemme Ovest: poco lontano dalla città vecchia, sul muro di una piazza a fianco di Jaffa Street, un rappresentazione estremamente significativa: una cartina raffigura Gerusalemme come "centro del mondo", anello di congiunzione tra Europa, Asia e Africa

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Alberto Rossi
Alberto Rossi

Classe 1984, mi sono laureato nel 2009 in Scienze delle Relazioni Internazionali e dell’Integrazione Europea all’UniversitĂ  Cattolica di Milano (FacoltĂ  di Scienze Politiche). La mia tesi sulla Seconda Intifada è stata svolta “sul campo” tra Israele e Territori Palestinesi vivendo a Gerusalemme, cittĂ  in cui sono stato piĂą volte e che porto nel cuore. Ho lavorato dal 2009 al 2018 in Fondazione Italia Cina, dove sono stato Responsabile Marketing e analista del CeSIF (Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina). Tra le mie passioni, il calcio, i libri di Giovannino Guareschi, i giochi di magia, il teatro, la radio.

Co-fondatore del Caffè Geopolitico e Presidente fino al 2018. Eletto Sindaco di Seregno (MB) a giugno 2018, ha cessato i suoi incarichi nell’associazione.

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