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Il Giappone verso lo spazio low cost

In 3 sorsiLa corsa allo spazio vede sempre più aziende private tra i suoi protagonisti. Questo avviene non solo negli Stati Uniti ma anche in Asia e soprattutto in Giappone. Tutto all’insegna del contenimento dei costi

1. START-UP PRONTE PER LO SPAZIO

A fine luglio ci hanno provato. Il razzo Momo, 10 metri di altezza per una tonnellata di peso, costruito dall’azienda giapponese Interstellar Technologies Inc., si è staccato dal suolo e ha raggiunto un’altitudine di circa 20 chilometri prima che il centro di controllo perdesse i contatti e ordinasse lo spegnimento del motore. Non si è raggiunto l’obiettivo sperato, è vero, quei 100 chilometri che segnano per convenzione il confine con lo spazio, ma il lancio ha consentito comunque di ottenere dati importanti, che potrebbero essere preziosi per il prossimo tentativo.
Momo è il primo razzo giapponese sviluppato interamente da un’azienda privata, con fondi ottenuti da un provider di contenuti digitali (DMM.com) e attraverso crowdfunding, cioè un finanziamento collettivo di piccoli risparmiatori, senza alcun contributo governativo.

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Fig. 1 – Un’immagine artistica della Terra (in particolare i Paesi dell’Asia) sullo sfondo dell’andamento dei titoli di Borsa

Con un costo di lancio inferiore ai 50 milioni di yen (circa 380mila euro), Momo potrebbe candidarsi in futuro ad essere la risposta giapponese, su scala però molto più ridotta, al razzo Falcon 9 della statunitense Space X per la messa in orbita a basso costo di satelliti commerciali. Il mercato, in questo campo, è potenzialmente illimitato, dato che quasi tutti i sistemi di comunicazione, navigazione, meteorologia, monitoraggio di eventi climatici e disastri naturali, osservazione e controllo di attività umane civili e militari (dalle migrazioni agli spostamenti delle flotte navali), dipendono dai dati raccolti e inviati dai satelliti in orbita intorno al nostro pianeta. E queste piattaforme sono sempre più piccole e più leggere, consentendo lanci a costi via via inferiori.

2. CIRCONDATI DA RIFIUTI SPAZIALI

Grandi opportunità di business si aprono anche nel campo della ‘raccolta rifiuti’, cioè la cattura o eliminazione di satelliti non più attivi o parti di essi, frammenti in orbita che viaggiano incontrollati a una velocità di decine di migliaia di chilometri all’ora, e che rappresentano una potenziale minaccia per le piattaforme operative. Un impatto con un detrito anche di pochi centimetri potrebbe causare la distruzione o l’inoperatività di un satellite del valore di milioni di euro, causando quindi un danno economico estremamente rilevante per l’azienda costruttrice. I rischi poi non sarebbero solo economici: questi rifiuti, gli space debris, potrebbero per esempio danneggiare satelliti per la navigazione, mettendo a repentaglio la sicurezza sulla Terra nel campo del trasporto aereo e delle auto a guida autonoma. Un eventuale impatto inoltre genererebbe una moltitudine di altri detriti, che a loro volta rischierebbero di impattare contro altre piattaforme innescando una reazione a catena con aumento esponenziale del volume dei detriti stessi (la cosiddetta Sindrome di Kessler, dal nome dello studioso che per primo ha proposto questo scenario).

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Fig. 2 – Il nostro pianeta avvolto in una nube di detriti spaziali

Trovare presto una soluzione: questa sfida è stata raccolta da un’altra startup, Astroscale, azienda con base a Singapore che quest’anno è riuscita a raccogliere 25 milioni di dollari (circa 21 milioni di euro) da finanziatori giapponesi tra cui il gigante ANA Holdings, del cui gruppo fa parte l’omonima compagnia aerea, che si aggiungono ai finanziamenti raccolti nei due anni precedenti, per un totale di 53 milioni di dollari.
L’obiettivo è quello di portare in orbita nei prossimi due anni (con un razzo russo Soyuz) due piccoli satelliti, uno per il monitoraggio dei frammenti nello spazio intorno alla Terra e uno come dimostratore tecnologico del sistema di deorbiting, cioè della tecnologia che serve a spostare un oggetto dalla sua orbita fino a farlo cadere, e bruciare, nell’atmosfera o allontanarlo verso un’orbita meno ‘frequentata’ e quindi più sicura. L’inizio delle attività commerciali è previsto per il 2020. Con circa 750mila frammenti in orbita di dimensioni superiori a 1 centimetro, il lavoro sembrerebbe garantito.

3. PICCOLI OCCHI PUNTATI SULLA TERRA

La corsa allo spazio delle start-up giapponesi non tralascia uno dei settori più promettenti: quello della commercializzazione dei dati raccolti dai satelliti, sempre più piccoli, che osservano il nostro pianeta. Colossi giapponesi (come ad esempio Mitsui & Co. insieme ad aziende del settore radio-televisivo satellitare e delle informazioni meteorologiche) stanno finanziando con 2 miliardi di yen (15 milioni di euro) Axelspace, un’azienda spin-off dell’Università di Tokyo che sta sviluppando servizi di osservazione Terra con l’uso di un network di microsatelliti a basso costo, ma in grado di fornire con frequenza quotidiana immagini di qualità dell’intera superficie terrestre. Il primo lancio è previsto per dicembre prossimo e altri ne seguiranno fino a raggiungere i 50 satelliti in orbita entro il 2022.

Tokyo from satellite foto

Fig. 3 – L’area di Tokyo, vista da satellite

Le immagini raccolte saranno commercializzate per l’uso, tra gli altri, nel settore dell’agricoltura (per osservare il ritmo di crescita delle colture e pianificare i raccolti), ma potrebbero anche essere utilizzate per monitorare infrastrutture come oleodotti e impianti per l’energia solare con una risoluzione fino a 2 metri e mezzo.

Claudia Filippazzo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Le grandi aziende giapponesi (senza contare le istituzioni finanziarie) hanno visto crescere costantemente le loro riserve di liquidità a partire dal 2010 (tra queste ai primi posti si posizionano aziende come Fanuc, Nintendo, Sony e Fuji Heavy Industries, solo per fare qualche nome), fino a raggiungere i 267mila miliardi di yen nell’anno fiscale 2016 (2mila miliardi di euro). Investire queste ingenti somme in modo efficiente è una sfida che alcune aziende (Sony, ANA Holdings, Canon Electronics per esempio) hanno deciso di portare avanti entrando nel business dello spazio, che offre buone opportunità d’investimento e prospettive di crescita. Queste iniziative sono sostenute anche dal Governo giapponese, che ha recentemente deciso di estendere l’accesso gratuito dei privati ai dati satellitari di proprietà statale con l’obiettivo di raddoppiare il mercato spaziale giapponese entro i prossimi 15 anni.[/box]

Foto di copertina di NASA Goddard Photo and Video Licenza: Attribution License

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Claudia Filippazzo
Claudia Filippazzo

Giornalista professionista, inizia la sua carriera come praticante nelle sedi ANSA di New York e Washington. La sua passione per la politica internazionale la porta ad approfondire la conoscenza dell’area dell’Estremo Oriente. Per due anni risiede e lavora a Tokyo, come responsabile delle pubbliche relazioni e dell’ufficio stampa della Camera di Commercio Italiana in Giappone e direttore della rivista camerale. Consegue poi un Master in Istituzioni e Politiche Spaziali per approfondire, tra gli altri, i temi legati allo sviluppo delle telecomunicazioni, dei servizi di navigazione satellitare e dell’osservazione della Terra. Completa il corso in Earth Observation from Space organizzato dall’ESA (European Space Agency), studiando i cambiamenti ambientali e i flussi migratori legati alle variazioni climatiche e alla crescente pressione demografica in diverse aree del pianeta

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