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3 domande e 3 risposte sul missile nordcoreano che ha sorvolato il Giappone

In 3 sorsi (MS)Sono tante le ipotesi possibili sul missile che la Corea del Nord ha lanciato sopra al Giappone e chi ne sa di piĂą ne può fare di piĂą verosimili. Tuttavia, in casi come questo c’è una mancanza congenita di rassegnazione ai fatti. Quali fatti? Ad esempio che queste cose vengono gestite segretamente e si possono conoscere solo ex post. Studiando ciò che è successo ex post si possono capire le dinamiche, ma comunque non fare previsioni. Molto probabilmente solo una ventina di persone sul pianeta sanno davvero come stia evolvendo il processo di decision making in questo momento sul dossier Corea del Nord. Detto questo, possiamo provare a rispondere a 5 domande tra quelle che girano di piĂą in questi giorni

1. Un missile si avvicina al mio spazio aereo: se ne ho capacitĂ , non provo a buttarlo giĂą?

I sistemi antimissile spesso calcolano se la traiettoria va a colpire un obiettivo sensibile o comunque se è problematica. Se non lo è, spesso si lascia correre. In questo caso, quando i radar preposti a Hokkaido hanno rilevato il missile, questo era troppo alto per poter ricadere sul territorio giapponese. Si è preferito quindi lasciarlo finire in mare. Altra considerazione: se il missile si dirige su area deserta o scarsamente popolata, meglio lasciarlo impattare. Quando il vettore è tutto intero la traiettoria è calcolabile. Se è molto grande e il missile antimissile colpendolo lo rompe in piĂą parti, questi potrebbero essere ancora abbastanza grandi da causare danni all’impatto, e, soprattutto, la traiettoria dei singoli pezzi sarebbe difficilmente prevedibile con un tempo tale da avviare ulteriori contromisure. Perciò, se il missile sta per colpire un’area popolata, l’attivazione dei sistemi antimissile è non solo accettabile, ma necessaria, se invece andrĂ  a finire dove non c’è nessuno, meglio non alterarne la rotta.

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Fig. 1 – I miss(ile) you

2. Il Giappone avrebbe potuto intercettare “facilmente” il missile o è una operazione particolarmente complicata?

I giapponesi al momento hanno solo i Patriot… Meglio non fare brutta figura tentando e fallendo un’intercettazione, in un momento come questo. Dopo la Guerra del Golfo si seppe che buona parte delle intercettazioni israeliane di missili iracheni erano false, ma era indispensabile rassicurare la popolazione sulla capacitĂ  delle IDF (Israeli Defence Forces – Forze israeliane di difesa) di proteggerla. Fortunatamente per loro, neanche le armi in possesso di Saddam Hussein brillavano per precisione e potere distruttivo: addirittura alcune rimasero inesplose e furono disinnescate in seguito. Oggi il Patriot PAC-2 è un missile fortemente migliorato, così come i radar per la scoperta e l’inseguimento, ma i problemi progettuali rimangono. Difatti gli israeliani hanno poi ideato David’s Sling e Arrow, con filosofie di impiego completamente diverse e con una suddivisione innovativa dei compiti di ciascun vettore (spendendo moltissimo a carico, ovviamente, di Washington). Quello che ci interessa per l’economia del discorso è che il Patriot è geneticamente fallace e chi si deve difendere davvero ha proprio cambiato approccio alla difesa antimissile. Difatti anche il nuovo scudo ABM NATO è basato sull’SM-3 di derivazione navale, molto piĂą affidabile, ma con i costi che ne conseguono. Poi chiaramente ciascun Paese (il Giappone in questo caso) fa quel che può come può.

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Fig. 2 – KIM-i sta sparando?

3. Come cambiano i rapporti tra gli altri attori della vicenda dopo l’ultimo lancio? E cosa vuole veramente Kim?

In apparenza il lancio di ieri cambia poco le dinamiche politiche intorno alla crisi nordcoreana. Gli Stati Uniti hanno duramente condannato il lancio e così hanno fatto anche gli altri membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riunito d’emergenza ieri a New York per rispondere all’ultima provocazione di Pyongyang. Dietro l’unanimità ufficiale, però, sta emergendo una spaccatura sempre più netta tra i Paesi occidentali e il duo Russia-Cina. Se i primi puntano infatti a nuove sanzioni contro il regime di Kim e minacciano possibili ritorsioni militari, i secondi considerano invece l’intransigenza di Washington come principale causa della crisi e si oppongono all’adozione di misure militari contro Pyongyang. Pechino appare anche scettica verso l’idea di nuove sanzioni, insistendo per una ripresa del dialogo diplomatico con la Corea del Nord. Non si tratta di una vera e propria novità: sono mesi che Russia e Cina sostengono negoziati internazionali basati sulla proposta di un congelamento del programma missilistico e nucleare nordcoreano in cambio di una sospensione delle esercitazioni militari statunitensi in Corea del Sud. Ma l’impressione è che Mosca e Pechino stiano irrigidendo la propria posizione in risposta alla costante retorica bellica dell’amministrazione Trump e del Governo giapponese. Un irrigidimento testimoniato, ad esempio, dal volo di bombardieri strategici russi Tupolev Tu-95 MS intorno alla penisola coreana nei giorni scorsi, visto più come un messaggio all’indirizzo di Washington e Seul che di Pyongyang. Inoltre le crescenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina stanno contribuendo a erodere la collaborazione dei due Paesi sulla questione nordcoreana, rendendo Pechino sempre meno disponibile a seguire Washington nel suo duro approccio verso Kim. Questa spaccatura potrebbe dunque impedire l’adozione di nuove misure ONU contro la Corea del Nord e complicare ulteriormente la crisi a livello diplomatico.
Riguardo a Kim, risulta abbastanza difficile comprendere le sue intenzioni. I Governi occidentali non sembrano infatti disporre di intelligence adeguata sulla personalità del leader nordcoreano e tendono a dipingerlo come un “pazzo furioso” da tenere a bada con la forza. In realtà, secondo esperti come Robert Kelly e Anna Fifield, Kim è un attore sostanzialmente razionale e le sue iniziative missilistiche – per quanto avventate – corrispondono al desiderio di salvaguardare il suo regime da un possibile intervento militare occidentale. Anche l’ultimo lancio sembra dimostrarlo: i nordcoreani hanno infatti evitato accuratamente di infrangere la “linea rossa” imposta dai loro alleati cinesi, ovvero un attacco diretto agli Stati Uniti o alle loro installazioni militari nel Pacifico, e hanno mirato a dare solo una moderata dimostrazione di forza in risposta all’esercitazione “Ulchi Freedom Guardian” in corso in Corea del Sud. I media di Pyongyang hanno poi commentato il risultato del lancio con termini meno “esaltati” del solito e le successive minacce alla base americana di Guam parlano di “contenimento” e non di “attacco” vero e proprio. Si tratta di sfumature, certo, ma estremamente significative e che indicano l’adozione di una strategia più cauta rispetto a qualche settimana fa. Per l’analista Stephan Haggard, poi, il lancio sul Giappone persegue l’obiettivo di accrescere le tensioni tra Stati Uniti e Cina sul riarmo di Tokyo, accrescendo lo spazio di manovra diplomatico di Pyongyang. Un ulteriore segno di razionalità, che smentisce l’immagine di un regime “folle” e “fuori controllo” promossa dai media occidentali. Naturalmente ciò non vuol dire che le scelte di Kim non siano pericolose o che non rischino di provocare effetti opposti a quelli da lui desiderati. Ma le stesse osservazioni si possono fare anche per Donald Trump e per gli altri leader politici coinvolti nella crisi.

A cura di Marco Giulio Barone e Simone Pelizza

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

In questo video è possibile vedere il lancio del missile nordcoreano

 

Il Caffè ha dedicato inoltre uno speciale sul dossier Corea del Nord

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Foto di copertina di The U.S. Army Licenza: Attribution License

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Marco Giulio Barone
Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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