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La Cina e la crisi nordcoreana: è tempo di una nuova mediazione?

In 3 sorsiL’attuale condizione di precaria stabilità nella penisola coreana non dipende esclusivamente da Stati Uniti e Corea del Nord. Un ruolo fondamentale nella crisi è infatti ricoperto anche dalla Cina, principale alleato politico e militare di Pyongyang. Un alleato sempre più indispettito dalle iniziative di Kim e deciso a salvaguardare la propria leadership in Asia orientale

1. L’INEDITA POSIZIONE CINESE – Per quanto anacronistico possa apparire, dal 1961 la Cina e la Corea del Nord sono legate da un trattato di sicurezza che, nonostante le vicissitudini successive alla fine della guerra fredda, è ancora vigente e dovrebbe garantire a Pyongyang il supporto di Pechino in caso di attacco statunitense. Benchè nessun riferimento a tale accordo sia stato recentemente fatto (favorendo l’interpretazione di quanti lo considerano obsoleto e non più vigente) il rapporto tra la Cina e la Corea del Nord va, cronologicamente ma soprattutto politicamente, ben al di là di un trattato. Ciò spiegherebbe perché la Cina abbia trovato un’intesa con Washington sul pacchetto di sanzioni ONU contro la Corea del Nord, ma abbia abilmente eliminato ogni riferimento alla fornitura cinese di petrolio, su cui ancora si basa la stabilità di Pyongyang. D’altro canto, in tutte le sedi, non solo internazionali, Pechino ha redarguito il suo vicino, chiedendo di sospendere i test missilistici per non peggiorare le già tese relazioni con gli altri Paesi dell’area. Di fatto, la Cina si trova in un’inedita posizione geopolitica. E’ palese che le due ultime amministrazioni americane abbiano cercato di trarre profitto dalle tensioni nella penisola coreana, sottolineando l’incapacità di Pechino di riportare sulla giusta strada l’indisciplinata Corea del Nord. A chiare lettere, dunque, si è messa in discussione la posizione di leadership della Cina nella regione e si è favorita l’ascesa americana, nell’ambito della più ambiziosa politica del Pivot to Asia. Ad intrecciarsi, dunque, sono i fili della rivalità tra Stati Uniti e Corea del Nord e quelli tra Pechino e Washington. Il mantra, ora, per la Cina è mantenere la stabilità regionale.

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Fig. 1 – Il leader nordcoreano Kim Jong-un in visita all’Accademia di Scienze della Difesa, 23 agosto 2017

2. IL DOPPIO VOLTO DI PECHINO – Solo di recente è trapelato un documento prodotto dall’Esercito Popolare di Liberazione che individua la posizione che la Cina dovrà mantenere nell’immediato futuro: preservare la stabilità, evitare un conflitto e mantenere, per quanto possibile, il controllo sull’economia nordcoreana. La politica della neutralità, giocata sotto le spoglie del mediatore, del promotore della pace, dell’arbitro, è ciò di cui ora la Cina ha bisogno: il collasso della Corea del Nord rappresenterebbe un problema di sicurezza nazionale senza precedenti. Appare così più chiara la blanda reazione alle sanzioni imposte da Washington contro una banca e due compagnie cinesi tacciate di promuovere e sovvenzionare il programma nucleare di Pyongyang. Non solo: l’Ambasciatore cinese presso l’ONU Liu Jieyi avrebbe sottolineato che vi è la necessità che la Corea del Nord consideri seriamente di porre in essere tutte le misure volte a ridurre la tensione.

La stoccata alla controparte americana non si è, però, fatta attendere. Affinchè la Cina possa ripristinare la mediazione tra i due Paesi, è importante ridiscutere il sistema THAAD. In altre parole, Pechino richiede il ritiro della strumentazione antimissile americana dispiegata in Corea del Sud, il cui radar può facilmente coprire parte del territorio cinese. Le rassicurazioni americane a garanzia di un limitato impiego del raggio d’azione del radar non sono state valutate come sufficienti dal Governo cinese.

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Fig. 2 – Il Segretario di Stato americano Rex Tillerson parla della crisi nordcoreana, 22 agosto 2017

3. QUALI SCENARI? –  Dinnanzi alla chiara accusa dell’Ambasciatrice americana presso l’ONU Nikki Haley contro il Governo cinese, tacciato di starsene consciamente in disparte, Pechino ha fatto sapere che, se la Corea del Nord lanciasse un missile in territorio statunitense e Washington dovesse rispondere, resterebbe neutrale. In America la notizia è stata interpretata come un via libera alla furia e alla distruzione cui la presidenza Trump ha fatto recentemente riferimento. In realtà, il destinatario del messaggio non erano gli States, ma lo stesso di una medesima dichiarazione rilasciata in occasione del fallito test missilistico di aprile: la Corea del Nord. Presumendo che tali dichiarazioni ricalchino la reale volontà del Governo cinese, si dovrebbe dedurre che esso abbia tracciato una chiara linea di demarcazione, superata la quale la Cina non potrebbe in alcun modo tollerare l’aggressività di Pyongyang e tutelarne la salvezza. La posta in gioco è tuttavia troppo alta perché Washington possa ciecamente fidarsi delle mosse di Pechino. Perciò, alla veemenza delle dichiarazioni fino ad ora rilasciate, si sono fatti strada i complimenti del Segretario di Stato Rex Tillerson alla Corea del Nord per aver evitato ogni lancio di missile o test di bombe atomiche nel corso delle ultime settimane.

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Fig. 3 – Colloquio tra il generale Joseph Dunford, capo dei Joint Chiefs of Staff statunitensi, e il Presidente cinese Xi Jinping a Pechino, 17 agosto 2017

Nell’ottica di una risoluzione pacifica delle tensioni nella regione, la recente remissività mostrata da Pyongyang sarebbe un importante messaggio politico, un segnale per la riapertura di un dialogo che è l’unica vera alternativa alle armi nucleari. Sfortunatamente la ripresa dei lanci missilistici del regime, compreso quello di un Hwasong-12 che ha sorvolato il territorio giapponese ieri, sembrano allontanare tale prospettiva.

Giovanni Ardito

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Dopo la fine della guera di Corea nel 1953, la Repubblica popolare cinese ha da sempre mostrato una propensione per la risoluzione della conflittualità tra le due Coree in maniera pacifica. Quando nel 1975 Kim Il-sung volò a Pechino per incontrare Mao e chiedergli il supporto per un nuovo tentativo di riunificazione della penisola con l’uso della forza, ad esempio, il leader cinese si rifiutò categoricamente. Sebbene la sconfitta americana nella guerra in Vietnam rappresentasse un duro colpo per Washington, modificare gli assetti della regione e anche solo sfidare la potenza d’Oltreoceano era un pericolo per la stabilità del regime comunista cinese. E’ da quel momento che, complice anche un riavvicinamento con la Corea del Sud, la Cina ha perseguito la strada della mediazione tra le parti, che gli ha garantito un ruolo di spicco nel panorama internazionale, insieme ad una garanzia di tranquillità politica.[/box]

Foto di copertina: vignetta del nostro Quique

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Giovanni Ardito
Giovanni Ardito

Nato a Napoli nel 1995 e attualmente studente di International Affairs presso l’Università di Bologna, sono appassionato di Cina e dell’uso dei droni nei conflitti armati.

Trasferitomi a Roma dopo la maturità classica, mi sono laureato con lode in Scienze politiche e Relazioni internazionali all’Università La Sapienza di Roma, con una tesi sul modello One Country Two Systems ad Hong Kong. Contemporaneamente, assecondando i miei interessi all’ interdisciplinarietà, ho studiato presso la Scuola Superiore di Studi Avanzati della Sapienza, dove ho avuto la possibilità di scrivere di Siria, salvaguardia del patrimonio culturale internazionale e basi militari. Non propriamente amante dell’attività sportiva, nel tempo libero mi piace leggere e ascoltare musica… nel tempo libero, appunto.

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