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Il Lago d’Aral [I]: storia di un colpevole degrado

La crisi ecologica che ha colpito il bacino del Lago d’Aral, un ecosistema incredibilmente delicato e dai tratti peculiari, ha origini complesse e va analizzata sul piano storico-politico e legislativo, sia dal punto di vista regionale che da quello internazionale. Infatti dopo la fine dell’Unione Sovietica furono avviate attivitĂ  di monitoraggio e di bonifica delle aree interessate dall’ecocidio, sotto il controllo delle Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali, creando preziosi precedenti normativi

DOTTRINA COMUNISTA E LEGISLAZIONE SOVIETICA Karl Marx definì la natura come «il corpo inorganico dell’uomo […] Che l’uomo viva per la natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica spirituale dell’uomo sia congiunta con la natura è congiunta con se stessa, perché l’uomo è una parte della natura». Engels scrisse: «tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità […] di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato».
La “questione ambientale” comunista è complessa e non va ovviamente intesa secondo i parametri odierni, ma come una forma di tutela del territorio funzionale allo sviluppo delle attività economiche che garantissero prosperità ai cittadini e alla patria sovietici, nel rispetto delle regole e della dottrina socialiste. Lo stesso Lenin parlò di «necess[ità] [di] sforzarsi di applicare le leggi scientifico-tecniche e un criterio di sfruttamento razionale».
L’assenza di razionalità nello sfruttamento comportarono conseguenze catastrofiche nel territorio del bacino del Lago d’Aral, soprattutto nel secondo dopoguerra, quando l’obiettivo politico era «raggiungere e superare l’America», porre le «basi materiali del socialismo» e di conseguenza accettare «acriticamente la via dello sviluppo già tracciata dal capitalismo».

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Fig. 1 – I relitti arrugginiti di due navi in un’area prosciugata del Lago d’Aral

Secondo il sociologo Oleg Yanitsky, «nel corso di [circa settant’anni l’U.R.S.S.] è stata utilizzata [invece] come banco di prova per i sistemi più contrastanti e [incoerenti] di modernizzazione»; ciononostante lo Stato sovietico registrava una significativa produzione normativa per la gestione e la tutela delle risorse naturali, a partire da alcuni principi fondamentali espressi sia nella costituzione del 1924 sia soprattutto in quella del 1936. L’articolo 6 di quest’ultima stabiliva che «La terra, il sottosuolo, le acque, le foreste […] sono patrimonio di tutto il popolo” mentre all’articolo 14 si riconosceva allo Stato la competenza di “determina[re] i principi fondamentali relativi all’uso della terra […] del sottosuolo, delle foreste e delle acque».
A partire dal secondo dopoguerra furono emanati provvedimenti come «Sulle misure di lotta contro l’inquinamento atmosferico e sul miglioramento delle condizioni sanitarie delle zone abitate», in vigore dal 1949 su iniziativa del Consiglio dei Ministri sovietico. La legge proibiva la costruzione e il rinnovamento delle industrie che emettevano gas di scarico non sufficientemente purificati. Successivamente il Consiglio Supremo dei Soviet approvò norme sui fondamenti di legislazione in Unione Sovietica e nelle singole repubbliche riguardo le terre (1968), le acque (1970), i minerali (1975), le foreste (1977). Furono approvate nel 1980 due leggi, una sulla protezione della fauna e una sulla protezione dell’atmosfera.

Durante il 1987 si sviluppò un dibattito all’interno del Consiglio dei Ministri sovietico su come riorganizzare le politiche ambientali statali: da un lato vi era la proposta di istituire una vera e propria agenzia per l’ambiente, dall’altro l’idea di ampliare i poteri della Hydromet (Ufficio per il Controllo del Clima, una sorta di centro meteorologico). Alla fine dell’anno il Consiglio dei Ministri scelse la seconda opzione ed il 7 gennaio 1988 fu inaugurata una “stagione di cambiamenti” con l’emanazione del decreto “Sulla radicale riorganizzazione della protezione ambientale nello Stato”.

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Fig. 2 – Vecchi ritratti di membri del Politburo in un palazzo abbandonato dell’area di Chernobyl, teatro di un’altra grande catastrofe ambientale durante l’era sovietica

Altre “nuove leggi” vennero varate durante la Perestrojka con l’intenzione di evitare, secondo Gorbačëv, nuovi «pericolos[i] esperimenti con la natura» e di ridurre almeno in parte i circa due miliardi di rubli annui di danno al tessuto sociale e produttivo causati dall’inquinamento. La principale, approvata nel 1989, prese il nome di “Misure urgenti per il recupero ecologico del Paese” e fu la prima volta in cui il Consiglio Supremo dei Soviet riconobbe le conseguenze di decenni di politiche di sviluppo sbagliate sull’ecosistema di vaste aree del Paese. Nel 1990 il Consiglio emanò i nuovi “Fondamenti normativi sulle terre dell’U.R.S.S. e delle singole repubbliche sovietiche”, al fine di salvaguardare nel dettaglio le risorse del suolo e del sottosuolo. Per coordinare l’attuazione delle “nuove leggi” sull’ambiente, tra le quali l’introduzione dei reati ambientali nel codice penale sovietico, fu creata nel febbraio 1988 l’Agenzia Statale per l’Ambiente, in russo Goskompriroda, come raggruppamento delle piccole organizzazioni preesistenti. Il Direttore responsabile dichiarò al primo convegno del 1989 che cinque regioni della Russia (Urali, Siberia orientale e occidentale, Russia settentrionale e centrale) versavano «in condizioni catastrofiche […] sull’orlo del disastro ecologico” e che nelle zone in cui l’aria era più contaminata era “teoricamente impossibile vivere in ogni […] città».

Il 2 luglio seguente, durante il XXVIII Congresso del PCUS, il delegato ucraino Fyodor T. Morgun, capo della Goskompriroda, espose i punti principali dei nuovi piani di tutela dell’ambiente partendo dal principio che «[…] l’umanità non [avrebbe avuto] possibilità di salvezza se la protezione dell’ambiente […] non [fosse diventata] un elemento maggiormente determinante delle basi del nostro sviluppo».
La Goskompriroda era suddivisa in sezioni: controllo dell’inquinamento e ispezioni (monitoraggio, rapporti e sanzioni per l’eccesso di attività inquinanti); norme scientifiche ed ecologiche (norme standard sulle emissioni liquide e gassose); perizie (gestione delle collaborazioni fra più istituti scientifici); aspetti economici ed uso razionale delle risorse naturali; cooperazione internazionale e del personale; informazione ed educazione; amministrazione interna.

L’ERA POST-SOVIETICA: I PRIMI ANNI – «Non c’è peggiore situazione ecologica sul pianeta della nostra in Unione Sovietica», sentenziò il dottor Grigory Matveyevich Barenboim – analista ambientale indipendente – intervistato da Murray Feshbach il 13 ottobre 1990.
Morgun ammise chiaramente che «l’Aral [era] una zona di disastro ecologico». Inoltre, in riferimento alle difficili condizioni di vita degli abitanti del Karakalpakstan, del Kazakistan e del Turkmenistan, il politico ucraino dichiarò che «i maggiori responsabili dell’inquinamento di aria, suolo e acque [erano] […] i minist[eri] per l’energia e l’elettrificazione, […] per l’industria chimica, […] per la produzione di fertilizzanti minerali, […] per la metallurgia ferrosa e […] non ferrosa, […] per le industrie petrolifere, l’agenzia statale per il complesso agro-industriale e altri».
Alcuni scienziati russi sostenevano nel 1992 che nei due decenni precedenti la superficie delle acque del Lago d’Aral si era abbassata di circa 15 km2 all’anno. Dopo l’instaurazione del regime sovietico – in particolare dall’inizio degli anni ’30 – il Governo di Mosca, adducendo come motivazione il rispetto delle regole del socialismo reale sulla necessità che l’uomo non fosse influenzato dalla natura ma la dominasse a sua volta, diede il via ad un’opera di sistematica distruzione dell’equilibrio ambientale in diverse zone del Paese, tra le quali anche il bacino del Lago d’Aral. Il Ministero per la bonifica e la gestione delle acque (Minvodkhoz) si occupò nel secondo dopoguerra di redigere ed attivare “piani di trasformazione del territorio” che determinarono la distruzione di quell’ecosistema, iniziando dalla deviazione del corso dei due affluenti del lago, i fiumi Amudarya e Syrdarya.

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Fig. 3 – Questa immagine NASA del 1989 mostra il costante prosciugamento del bacino dell’Aral. Dal 2014 la parte orientale del lago risulta completamente priva d’acqua

La disorganizzazione derivante da una burocrazia lenta e spesso corrotta produsse ulteriori conseguenze negative, sia sul piano della progettazione, sia sulla effettiva realizzazione dei piani di riconversione territoriale. Il sopravvenuto deficit di risorse idriche nella regione centro-asiatica fu un effetto dell’inquinamento dovuto ai piani di sviluppo industriale, causa dell’alterazione dell’ecosistema e della quasi completa compromissione del suo equilibrio.

Dal 1960 al 2003 si riscontrò una diminuzione del livello delle acque per Piccolo Aral di 12 metri e per il Grande Aral di 23 metri; per entrambe le parti l’area lacustre di ridusse del 74% e il volume delle acque dell’84%, mentre la salinità crebbe di sei volte rispetto ai valori antecedenti la “bonifica” statale.

UN DISASTRO COSTRUITO NEI DECENNI – A partire dal 1927, ma piĂą efficacemente dalla fine degli anni ’50, la pianificazione economica ha accelerato la riduzione della superficie del lago a scopi agricoli ed industriali; il processo ha ridotto la superficie del lago, nel nome del progresso e dell’incremento della produzione agricola, dai circa 68.000 km2 di fine anni ’50 ai circa 5.900 km2 di metĂ  anni ’90. Il prezzo della politica di Governo socialista fu pagato senza raggiungere gli obiettivi prefissati dai piani economici: l’introduzione forzata della monocultura del cotone produsse la scomparsa di quasi tutte le attivitĂ  agricole tradizionali e dell’allevamento, indispensabili per fornire cibo alle popolazioni locali, che rinunciarono all’autosufficienza alimentare per doversi rifornire di prodotti realizzati nelle altre repubbliche sovietiche. Dall’utopia dell’oro bianco si passò in pochi anni alla distruzione del sistema produttivo locale. La salinitĂ  delle acque aumentò negli anni ’70 e ’80 del 450%, le temperature scesero di 1-4 gradi Celsius negli anni dal 1981 al 1990 mentre lo United Nations Environmental Program (GRID) registrò un peggioramento sensibile della qualitĂ  dell’aria.
Secondo alcuni studi le privazioni alimentari della popolazione locale furono alla base della diffusione di agenti patogeni, causa di malattie come anemia e tubercolosi, soprattutto sulle donne incinte. Il primo paese a subire le conseguenze dirette dell’ecocidio fu l’Uzbekistan, il cui governo fu il primo assieme a quello del Kazakhstan a cercare il coinvolgimento degli altri Paesi del bacino dell’Aral e delle organizzazioni internazionali in una discussione sulla salute dell’economia e dell’ecosistema dell’area.

L’interesse dei Paesi centro-asiatici e delle organizzazioni internazionali verso la questione ecologica si sviluppò a partire dalla metà degli anni ’80, con un ammorbidimento della linea politica sovietica sul potenziamento del settore industriale nel Turkestan. Il successivo dissolvimento dell’U.R.S.S. ha aperto la strada alla collaborazione internazionale. Uno dei metodi adottati fu la creazione di strutture che facilitassero l’organizzazione e il confronto tra le parti, come la Integrated Water Resource Management (IWRM), nata come “un processo che promuove lo sviluppo e la gestione coordinati dell’acqua, del terreno e delle relative risorse al fine di massimizzare il risultato economico [ed equilibrare] l’impatto sociale, senza compromettere l’ecosostenibilità [dell’azione]”.

Emiliano Vitti

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

La IWRM nasce dalla necessitĂ  di attuare misure a tutela delle acque che derivano da concetti empirici costruiti sul lavoro di ricerca scientifica. La definizione del partenariato globale dell’acqua di IWRM è ampiamente accettata, e stabilisce che: «IWRM è un processo che promuove lo sviluppo e la gestione coordinati dell’acqua, del suolo e delle risorse correlate, al fine di massimizzare il conseguente benessere economico e sociale in modo equo senza compromettere la sostenibilitĂ  degli ecosistemi vitali»[/box]

Foto di copertina di NASA Goddard Photo and Video Licenza: Attribution License

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Emiliano Vitti
Emiliano Vitti

Laurea Triennale in Scienze Politiche e Laurea Magistrale in Storia d’Europa all’Università degli Studi di Pavia. Presso lo stesso Ateneo frequento il terzo anno del Dottorato in Storia con un progetto sul Governatorato Generale di Polonia dal 1939 al 1944.

L’area principale dei miei studi è la storia dell’area tedesca, in particolare la storia del nazionalsocialismo e delle politiche di occupazione dell’Europa centro-orientale, e la storia comparata del colonialismo tedesco tra II e III Reich.

Da alcuni anni mi interesso anche di questioni di geopolitica, sempre con uno sguardo ʽda storicoʼ, e le mie ricerche riguardano soprattutto le politiche ambientali nelle Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale e la storia della democratizzazione e dello sviluppo economico nella Mongolia post-comunista.

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