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Stoccolma come paradigma per l’Europa del futuro

In 3 sorsi – A breve distanza dall’attentato a San Pietroburgo, i fatti di Stoccolma contribuiscono a tenere l’Europa avvolta nella paura. Cosa sappiamo e cosa possiamo aspettarci ancora?

I FATTI – Venerdì scorso, poco prima delle ore 15:00, un camion è piombato sulla folla che passeggiava lungo Drottninggatan (strada della Regina) – la più importante arteria pedonale di Stoccolma – concludendo la sua corsa contro il muro di un negozio. È apparso chiaro fin dal principio l’intento doloso dell’atto che ha portato alla morte di quattro persone (due di nazionalità svedese, una britannica e una belga) e ne ha ferite almeno quindici. La polizia svedese ritiene di aver arrestato a Märsta (poco a nord di Stoccolma) il conducente del camion, un uzbeko di 39 anni, simpatizzante dell’IS, al quale era stato negato nel giugno scorso il permesso di soggiorno. La provenienza centro-asiatica dell’attentatore lo collega ai fatti di San Pietroburgo dove, secondo le ultime ricostruzioni, la strage è stata compiuta da un kamikaze kirghiso. La polizia svedese, inoltre, sta cercando ulteriori complici o simpatizzanti e ha già fermato cinque sospettati.

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Fig. 1 – Memoriale per le vittime dell’attentato di venerdì

CONVIVERE CON LA PAURA –  La modalità con la quale è stato condotto l’attacco è stata poco utilizzata in Europa e, tuttavia, nell’ultimo anno sono stati vari gli episodi che hanno visto impiegato un veicolo con fini terroristici.

  • 14 luglio 2016, Nizza: un camion, guidato da un cittadino francese di origine tunisina, travolge la folla riunita sulla Promenade des Anglais, causando 86 morti e 434 feriti;
  • 19 dicembre 2016, Berlino: un camion, guidato da un tunisino richiedente asilo, viene lanciato contro i mercatini di Natale, causando 12 morti e 56 feriti;
  • 22 marzo 2017, Londra: Khalid Masood, dopo aver seminato il panico sul ponte di Westminster alla guida di un’automobile, scende e uccide una poliziotta nei pressi del Parlamento prima di essere fermato dai colleghi della vittima.

La ragione dell’exploit degli attacchi con veicoli è da ricercarsi nella semplicità di esecuzione degli stessi. Non è necessario, infatti, particolare addestramento o armamento per ottenere un risultato letale. Proprio per questo motivo, inoltre, risulta estremamente difficile alle autorità statali prevenire simili azioni. Dopo l’attentato a Berlino, ad esempio, in varie città italiane sono state disposte barriere antisfondamento jersey per aumentare la sicurezza contro questa tipologia di attacco. Ciò nonostante, risulta impossibile presidiare efficacemente tutti i luoghi nella simile maniera. Gli jihadisti di Daesh, ad esempio, ben consapevoli delle problematiche sopra riportate, nel loro magazine Rumiyah scrivono:

«Though being an essential part of modern life, very few actually comprehend the deadly and destructive capability of the motor vehicle and its capacity of reaping large numbers of casualties if used in a premeditated manner […] Vehicles are like knives, as they are extremely easy to acquire […] But unlike knives, which if found in one’s possession can be a cause for suspicion, vehicles arouse absolutely no doubts due to their widespread use throughout the world. It is for this obvious reason that using a vehicle is one of the most comprehensive methods of attack, as it presents the opportunity for just terror for anyone possessing the ability to drive a vehicle»

L’utilizzo di veicoli per compiere attentati, però, non è una novità sul panorama internazionale. In Israele, ad esempio, i cittadini convivono con simili modalità da decenni e l’attacco compiuto da un palestinese a Gerusalemme lo scorso 8 gennaio – che ha ucciso quattro persone e ne ha ferite quindici – non è che l’ultimo di una lunga serie. Alla luce di questo, è probabile non solo che, in futuro, assisteremo ad altri atti simili ma anche che cresceranno in numero rispetto al totale degli attentati compiuti: i cittadini europei dovranno abituarsi, come quelli israeliani, a convivere con tale minaccia.

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Fig. 2 –  Sul luogo dell’attentato a Gerusalemme dell’8 gennaio scorso

LA “NAZIONE GENTILE” VACILLA – Concludendo la riflessione, è necessario soffermarsi brevemente sulla situazione nel Paese più ospitale d’Europa. L’attacco a Stoccolma, infatti, mette in dubbio la validità del suo modello di accoglienza e integrazione. Nonostante la risposta sia stata all’insegna della volontà di mantenere la Svezia sulla via della fiducia, della tolleranza e dell’apertura, le tensioni interne aumentano. Una parte crescente della popolazione, infatti, è sempre meno disposta all’accoglienza. Se i primi segnali in tale senso sono iniziati ad arrivare alla fine del 2015 – con sondaggi d’opinione che hanno visto incrementare nettamente la percentuale di persone ostili a una maggiore accoglienza – gli ultimi sondaggi in merito alle intenzioni di voto non fanno che confermare questa tendenza: il partito dei Democratici Svedesi (Sverigedemokraterna) – ostile alle politiche di apertura ai migranti, nazionalista ed euroscettico -, infatti, è balzato al secondo posto nei sondaggi ed è presumibile che l’attentato del 7 aprile spingerà ancora di più il partito. Il disagio avvertito da numerosi svedesi – oltre che per le politiche migratorie – è dato dalla difficoltà di integrazione dei migranti con le quali sempre più devono confrontarsi. Alcune aree della Svezia – sopra tutte la città di Malmo – stanno diventando sempre meno sicure, con scontri tra gang non autoctone e fenomeni di rifiuto dei valori portanti di una società liberal-democratica – ad esempio, ragazzi e ragazze musulmane che, per volere delle famiglie, sono obbligati a salire sui bus separati. Ciò – oltre a essere inaccettabile in una liberal-democrazia – alimenta odio e diffidenza. L’esito non è solo l’ampliamento del bacino elettorale di partiti come Sverigedemokraterna, ma anche la proliferazione di gruppi – quali, ad esempio, i Soldati di Odino (nati in Svezia nel 2015) – accomunati da pulsioni razziste che, spesso, agiscono fuori dalla legalità per contrastare quella che ritengono essere un’invasione del loro Paese. La crescita dei movimenti della destra radicale non è limitata alla Svezia ma, al contrario, segue un trend simile in tutta Europa. Dunque, è impellente, al fine di togliere fiato a suddetti raggruppamenti,  che le istituzioni europee e i Paesi UE si adoperino al fine di offrire soluzioni adeguate – anche a livello comunicativo – a una parte crescente di popolazione spaventata, disillusa e sempre meno disposta all’accoglienza.

Simone Zuccarelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

  • La Svezia è il Paese europeo con il maggior numero di rifugiati in rapporto alla sua popolazione.
  • I Democratici Svedesi hanno visto crescere enormemente il loro consenso negli ultimi anni. Il partito, fondato nel 1988, è rimasto fuori dal parlamento – e con percentuali di preferenze molto basse – fino alle elezioni del 2010 (dove ha ottenuto il 5,7% dei voti e 20 seggi). Nelle elezioni del 2014 il partito ha più che raddoppiato i consensi, ottenendo il 12,9% (49 seggi) e diventando la terza forza del Paese. Le elezioni previste per il prossimo anno, probabilmente, determineranno un’ulteriore crescita del partito.
  • La tensione nei Paesi scandinavi resta alta: i servizi di intelligence norvegesi, infatti, hanno innalzato il rischio di attentato da “possibile” a “probabile” in seguito al ritrovamento – il giorno seguente l’attentato a Stoccolma – di un ordigno nella capitale Oslo. [/box]

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Simone Zuccarelli
Simone Zuccarelli

Classe 1992, sono dottore magistrale in Relazioni Internazionali. Da sempre innamorato di storia e strategia militare, ho coltivato nel tempo un profondo interesse per le scienze politiche. 

A ciò si è aggiunta la mia passione per le tematiche transatlantiche e la NATO che sfociata nella fondazione di YATA Italy, sezione giovanile italiana dell’Atlantic Treaty Association, della quale sono Presidente. Sono, inoltre, Executive Vice President di YATA International e Coordinatore Nazionale del Comitato Atlantico Italiano.

Collaboro o ho collaborato anche con altre riviste tra cui OPI, AffarInternazionali, EastWest e Atlantico Quotidiano. Qui al Caffè scrivo su area MENA, relazioni transatlantiche e politica estera americana. Oltre a questo, amo dibattere, viaggiare e leggere. Il tutto accompagnato da un calice di buon vino… o da un buon caffè, ovviamente!

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