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Trump: rispettati dagli alleati, temuti dagli avversari – Parte II

La postura che Donald Trump terrà in politica estera è difficilmente prevedibile, soprattutto per quanto concerne il Vecchio Continente. A fronte di messaggi duri nei confronti dei partner europei, infatti, Trump ha mostrato un atteggiamento più ambiguo verso la Russia, prospettando un nuovo reset che ha messo in allarme policy maker e analisti sulle due sponde dell’Atlantico

Nella seconda parte dell’analisi sulla futura postura di Trump verso l’Europa ci occupiamo di come l’orientamento del Partito Repubblicano – e, conseguentemente, dei membri del Congresso – e della squadra di persone scelte per la nuova amministrazione andranno a influire sulla stessa.

LA POSIZIONE DEL GOP – La maggioranza del GOP, infatti, ha una posizione di ostilità latente o aperta nei confronti di Mosca – a partire, quantomeno, dalla guerra in Georgia del 2008 – e le figure più in vista del partito esprimono le medesime convinzioni. A tale riguardo possono essere fatti due esempi delucidatori.

  • John McCain – che ha corso contro Barack Obama nel 2008 ed è chairman dell’Armed Services Committee – si è espresso molto duramente verso l’impostazione di politica estera di Trump. In particolare, ha criticato proprio l’ambiguità del tycoon sulla Russia – le cui azioni nel campo cyber ai danni degli Stati Uniti sono state etichettate dal senatore dell’Arizona come «atto di guerra». È utile ricordare che fino 2008 la sua linea è stata spesso considerata provocatoria e inutilmente bellicosa: successivamente alla guerra in Georgia, però, il Partito Repubblicano si è via via compattato sulle sue posizioni, sfidando l’opposta postura conciliatoria dei democratici – mutata in seguito alla guerra in Ucraina – sulla questione.
  • Tom Cotton – senatore dell’Arkansas – come altri suoi colleghi ha chiesto al Presidente di prendere una posizione più inflessibile nei confronti della Russia. Sulla stessa linea, inoltre, si sono posti anche numerosi commentatori e analisti conservatori – tra cui spicca John Bolton, a lungo prospettato come possibile Segretario di Stato.

Per evitare, inoltre, ogni possibile revisione delle sanzioni senza il consenso del Congresso, quest’ultimo ha varato il The Russia Sanctions Review Act of 2017, che obbliga il Presidente a passare dalle Camere per qualsiasi azione in tale senso. Trump, dunque, in merito al dossier russo, si trova attaccato da destra e sinistra e ciò non potrà rivelarsi ininfluente verso la postura che terrà. Per portare avanti il programma prefissato, infatti, necessita del sostegno del GOP al Congresso, e difficilmente Trump potrà o vorrà sfidare il partito che rema nella direzione opposta.

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Fig. 1 – John McCain durante una hearing all’Armed Services Committee

LA NUOVA AMMINISTRAZIONE – Oltre a ciò, le stesse nomine fatte dal tycoon per la futura amministrazione sembrano contraddire la visione di una possibile presidenza particolarmente morbida nei confronti di Mosca. Durante la confirmation hearing al Senato, infatti, il nuovo Segretario alla Difesa James Mattis ha espresso preoccupazione sia verso il tentativo russo di rompere la NATO, sia verso l’agire di attori quali Russia, Cina ed estremismo islamico volto a minare le fondamenta dell’ordine internazionale liberale. Mattis, anche come critica alla strategia obamiana, sostiene da tempo la necessità di una postura più dura nei confronti di Mosca, e fin dai primi giorni nel suo nuovo incarico ha rimarcato la forte volontà americana di sostenere l’Alleanza Atlantica – in questo affiancato, tra gli altri, dal vicepresidente Mike PenceMike Pompeo – posto al vertice della CIA –, invece, sostiene che la Russia «si è riaffermata aggressivamente» sullo scenario globale – posizione, anche nel suo caso, di lungo corso. In aggiunta, anche Rex Tillerson – nonostante i legami stretti con la Russia durante la sua reggenza di Exxon – non ha mostrato una postura particolarmente filorussa. Nel corso della sua difficile confirmation hearing – nella quale ha dovuto sostenere affondi notevoli da parte, tra gli altri, del candidato alle primarie repubblicane Marco Rubio –, ad esempio, ha espresso una posizione sostanzialmente in linea con l’impostazione repubblicana. Recentemente, poi, ha mostrato il suo totale sostegno all’Alleanza Atlantica e al suo allargamento: ha inviato, infatti, una lettera al Senato chiedendo la rapida ratifica dell’ingresso del Montenegro nella NATO perché ritenuto fortemente negli interessi degli Stati Uniti. Anche Michael Flynn – dimessosi perché travolto da uno scandalo e considerato l’emblema della volontà trumpiana di aprire a Mosca – nel suo recente libro The Field of Fight (2016) ha esposto dure critiche a Putin e alla strategia adottata dalla Federazione Russa nel contrasto al terrorismo di matrice islamica. Inoltre, il nuovo National Security Advisor, generale McMaster – che ha il sostegno sia di Cotton che di McCain –, ha una posizione molto netta in merito alla postura russa, considerata tipica di una potenza revisionista: recentemente, infatti, ha sostenuto che la stessa è diretta «non a obiettivi difensivi ma a obiettivi offensivi al fine di fare collassare l’ordine economico e politico del post Seconda Guerra Mondiale e rimpiazzarlo con qualcosa più simpatetico agli interessi russi». Infine, Nikki Haley – nominata ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU – ha espresso, nel suo primo intervento alle Nazioni Unite, una dura condanna verso le azioni russe in Ucraina e, recentemente, ha affermato che: «Non possiamo fidarci della Russia. Non dovremmo mai fidarci della Russia».

Gli esempi sopra riportati mostrano chiaramente una netta spaccatura tra talune dichiarazioni di Trump e le convinzioni non solo della maggioranza dei membri del suo partito ma anche – e soprattutto – delle persone che lui ha voluto nel suo team. È difficile ipotizzare che il neoeletto Presidente vorrà muoversi in disaccordo rispetto a tutta la pletora di figure sopra presentate – vista anche la sua scarsa conoscenza delle dinamiche che regolano le relazioni internazionali.

Simone Zuccarelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

  • John McCain potrebbe essere la principale spina nel fianco per Donald Trump. Il magnate americano, infatti, lo ha duramente attaccato, sostenendo che: «Lui non è un eroe di guerra. È un eroe di guerra solo perché è stato catturato». McCain ha, invece, aspramente criticato la visione politica di Trump. Il senatore dell’Arizona, però, ha mostrato apprezzamento per le figure nominate nella nuova amministrazione e concorda con il Presidente sulla necessità di ottenere peace through strength. A tale riguardo ha da poco pubblicato le sue raccomandazioni su come «ripristinare il potere americano».
  • Qui è possibile trovare una (parziale) reading list del nuovo Segretario alla Difesa James Mattis.
  • Qui, per approfondire, una conferenza nella quale McMaster esprime le sue considerazioni sulle guerre del futuro. [/box]

Foto di copertina di IoSonoUnaFotoCamera rilasciata con licenza Attribution-ShareAlike License

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Simone Zuccarelli
Simone Zuccarelli

Classe 1992, sono dottore magistrale in Relazioni Internazionali. Da sempre innamorato di storia e strategia militare, ho coltivato nel tempo un profondo interesse per le scienze politiche. 

A ciò si è aggiunta la mia passione per le tematiche transatlantiche e la NATO che sfociata nella fondazione di YATA Italy, sezione giovanile italiana dell’Atlantic Treaty Association, della quale sono Presidente. Sono, inoltre, Executive Vice President di YATA International e Coordinatore Nazionale del Comitato Atlantico Italiano.

Collaboro o ho collaborato anche con altre riviste tra cui OPI, AffarInternazionali, EastWest e Atlantico Quotidiano. Qui al Caffè scrivo su area MENA, relazioni transatlantiche e politica estera americana. Oltre a questo, amo dibattere, viaggiare e leggere. Il tutto accompagnato da un calice di buon vino… o da un buon caffè, ovviamente!

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