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Much Ado about Gambia

Jammeh si fa da parte ma poi ritratta. Una minaccia di guerra poi scampata. Potenze regionali, Nazioni Unite ed Unione Europea coinvolte. Dopo un mese di continui colpi di scena la transizione democratica in Gambia sembra essersi conclusa: Adama Barrow è il nuovo Presidente mentre Yahya Jammeh si rifugia in Guinea Equatoriale; non gli è mancato, però, il tempo di prosciugare i titoli di Stato

TRANSIZIONE AUTORITARIA – Inizialmente Yahya Jammeh sembrava aver accolto positivamente i risultati delle elezioni presidenziali che hanno sancito la vittoria del leader delle opposizioni Adama Barrow.  La crisi è cominciata il 9 dicembre quando Jammeh ha ritirato la sua pacifica ammissione di sconfitta, sostenendo di non voler lasciare il potere. Sebbene il motivo ufficiale sia la denuncia di presunti brogli elettorali, la reale motivazione pare fosse il timore di rappresaglie politiche da parte delle opposizioni una volta perduti i suoi privilegi presidenziali.

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Fig. 1 – Civili protestano contro Yahya Jammeh inneggiando alla democrazia durante una manifestazione pacifica a Dakar

Dopo l’annuncio della vittoria di Barrow, la “politica della vendetta” ha immediatamente cominciato a smantellare, almeno a parole, gli ultimi risultati della capricciosa politica di Jammeh. Si è cominciato a parlare di annullare l’uscita del Gambia dalla Corte Penale Internazionale, rifiutare a Jammeh l’immunità e metterlo sotto processo per confiscarne il patrimonio. Vent’anni di politica autoritaria non si risolvono quasi mai automaticamente con una transizione democratica del potere, e le opposizioni gambiane non sono state da meno in questo caso, perdendo deliberatamente sin da subito ogni chance di “patteggiamento”.

L’INTERVENTO ARMATO – Ironia vuole che a facilitare una pacifica transizione di potere sia stato un intervento militare. Nella notte tra giovedì 19 e venerdì 20 gennaio 2017 truppe provenienti dal Senegal hanno stazionato al confine con il Gambia per dare al presidente uscente Jammeh un ultimatum. La decisione di ricorrere all’intervento militare è giunta in seguito al giuramento di Adama Barrow, svoltosi il 19 gennaio presso l’ambasciata gambiana in Senegal, a Dakar dove il nuovo Presidente si trovava in attesa di poter tornare a Banjul come presidente eletto.

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Fig. 2 – Le truppe di militari dell’ECOWAS provenienti dal Senegal vengono accolte con favore dalla popolazione dopo aver varcato il confine con il Gambia, il 23 gennaio 2017

Dopo il giuramento Barrow nel suo discorso si è rivolto direttamente a ECOWAS, Unione Africana e Nazioni Unite, nello specifico il Consiglio di Sicurezza, per invocare tutto il loro supporto alla popolazione gambiana per uscire dall’empasse politico e permettere il trionfo della democrazia. Il Consiglio di Sicurezza ha quindi approvato una risoluzione d’emergenza a sostegno del Presidente.

DIPLOMAZIA REGIONALE – Decisiva la scelta dell’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) di incentivare l’approccio diplomatico, invitando i Presidenti di ben sei paesi africani ai tavoli di negoziazione per la transizione democratica di Banjul, ottenendo l’appoggio dell’Unione Africana, delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. D’altro canto, ECOWAS non si è fatta sfuggire l’occasione di indirizzare una minaccia militare credibile a Jammeh e al suo entourage, per far capire cosa comporta mettersi contro i poteri regionali.  A crisi risolta, è lecito chiedersi se lo schieramento delle truffe non fosse altro che un ben orchestrato bluff per lasciar cadere anche le ultime resistenze da parte del Gambia.

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Fig. 3 – Adama Barrow, nuovo Presidente eletto in Gambia, ringrazia i suoi elettori. Per la sua incolumitĂ  Barrow si è rifugiato in Senegal dove ha effettuato il giuramento da Presidente presso l’ambasciata del Gambia a Dakar 

A partire dalle dimissioni di Isatou Njie-Saidy, storico vice-presidente gambiano, lo staff dell’ex-presidente Jammeh si è progressivamente decimato: ultime e fondamentali le dimissioni del capo dell’esercito Ousman Badjie che ha dichiarato che le sue truppe non avrebbero combattuto contro le truppe regionali schierate al fronte nel caso in cui si fosse raggiunto lo scontro diretto. A questo punto Jammeh non ha potuto fare altro che ammettere la propria sconfitta politica, rinunciando al potere per ritirarsi a vita privata. Dopo ventidue anni di governo incontrastato, sabato notte Yahya Jammeh ha abbandonato Banjul per raggiungere la Guinea Equatoriale. La scelta della Guinea Equatoriale non è casuale: il Paese non ha ratificato lo Statuto di Roma e questo significa che finchĂ© si trova in quel territorio Jammeh non può essere estradato qualora dovesse essere riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanitĂ  o altri reati gravi da parte della Corte Penale Internazionale.

UN “VUOTO” ECONOMICO – Poco prima della sua partenza, Unione Africana, Nazioni Unite ed ECOWAS avevano sottoscritto un documento in cui si impegnavano a proteggere i diritti di Jammeh “come cittadino, leader di partito ed ex-Presidente” per impedire il sequestro di beni intestati a lui e al suo entourage e per assicurargli di poter fare ritorno in Gambia nel futuro. Adama Barrow ha negato il fatto che a Jammeh sia stata concessa l’immunitĂ  in cambio del suo esilio volontario. Lo stesso documento garantista pare non avere piĂą alcun valore vincolante dopo la notizia che il tesoro dello stato è stato completamente prosciugato. L’ammontare dei titoli di stato scomparsi sarebbe di circa 11 milioni di dollari.

Caterina Pucci

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più 

Alcune delle 45.000 persone fuggite dal Gambia in seguito alla crisi politica hanno lentamente ricominciato a fare ritorno nel Paese. Il Paese resta comunque uno dei bacini di migrazioni piĂą consistenti dall’Africa continentale verso l’Europa a causa della situazione politica fragile e dell’estrema povertĂ . [/box]

Foto di copertina di Tjeerd rilasciata con licenza Attribution License

 

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Caterina Pucci
Caterina Pucci

Nata nel 1990, il giornalismo è una vocazione che ho cominciato a coltivare sin dall’adolescenza. All’università, ho scelto di assecondare l’interesse per le lingue straniere, specializzandomi in inglese e arabo. Intanto, scrivevo per una rivista della mia città, Altamura. Nel 2013, il grande passo: mi sono trasferita a Milano per studiare Relazioni Internazionali. Sacrificando l’estate del 2014, ho trascorso un mese a Rabat per seguire un corso intensivo di lingua araba. L’ultimo semestre della mia vita accademica l’ho passato a Gent, in Belgio. Nel 2015, mi sono laureata con una tesi in Storia dell’Asia Islamica sul pensiero di Ali Shariati e la rivoluzione iraniana. Ho cominciato a lavorare come Assistente alla Comunicazione per l’Istituto di Cooperazione Economica Internazionale (ICEI) di Milano. In quel periodo, ho cominciato a scrivere per Il Caffè Geopolitico e ad ottobre 2016 sono diventata Responsabile del desk Africa. Continuo a occuparmene con passione da allora, mentre nella vita lavoro come redattrice. Continuando a perseguire il sogno di diventare una brava giornalista.

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