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L’avvenire dell’Europa e l’incognita Trump: intervista ad Alessandro Colombo (II)

La seconda parte dell’intervista ad Alessandro Colombo analizza le sfide presenti e future con cui l’Europa deve e dovrà confrontarsi

(Per rileggere la prima parte)

Spostiamoci al di là dell’Atlantico. La vittoria di Donald Trump ha sorpreso la maggior parte dei commentatori. Quali conclusioni possiamo trarre dalle presidenziali americane?

È evidente che le elezioni americane hanno rispecchiato la stessa, confusa politicizzazione del disagio sociale che è stato prodotto negli ultimi trent’anni. Questo è il dato. Paradossalmente, sempre a proposito delle verità e delle post-verità, con ogni probabilità Donald Trump ha dato un’immagine più veritiera dell’America di quanto non l’abbia data Hillary Clinton. Hillary Clinton ha fatto la campagna elettorale dicendo che l’America è un Paese che sta bene, Donald Trump ha fatto la campagna presidenziale dicendo che l’America è un Paese che sta male. Evidentemente l’America – cioè il pubblico americano – si è riconosciuta molto di più nell’immagine di Donald Trump che in quella di Hillary Clinton. Quindi abbiamo da un lato un uomo che usa un linguaggio insopportabile ma che, probabilmente, della realtà americana dice qualche cosa che appare quantomeno più realistico di quella visione – che a me sembra più che autoreferenziale, ormai autistica – di certe elite dirigenti sia in Europa che negli Stati Uniti.

Cosa ci dicono le recenti nomine fatte dal Presidente eletto per la sua futura amministrazione?

Difficile dirlo. Noi in questo momento stiamo disperatamente cercando una combinazione tra il Trump candidato e il Trump che fa i suoi primi passi, quantomeno nominando i primi personaggi di maggiore spicco, ma non credo siamo già in condizione di individuare le linee della politica estera dell’amministrazione Trump. Ci sono alcune cose che possiamo immaginare, ma hanno a che fare con le intenzioni: non è affatto detto che le intenzioni potranno essere realizzate – anche per l’ovvia ragione che la politica estera non dipende soltanto dalle intenzioni di chi la fa. Non c’è dubbio che Trump cercherà di diminuire gli impegni internazionali degli Stati Uniti, e farlo significherà concentrare gli investimenti politici, diplomatici, economici e anche militari in certe aree – comprese certe aree regionali – a costo di diminuirli in modo significativo in altre. Tutto lascia pensare che Trump – come i due presidenti precedenti – abbia la forte intenzione di concentrarsi sull’Asia orientale. Tutto lascia pensare che ancora più, anzi molto più, di Barack Obama, Donald Trump consideri la Cina come un competitor strategico – per usare l’espressione che era già propria dell’amministrazione di George Bush. Molto – non tutto questa volta – lascia pensare che l’amministrazione, per potersi concentrare su quello che sembra aver individuato come proprio competitor, cercherà di ammorbidire tutte le altre competizioni, a cominciare naturalmente da quella con la Federazione Russa. Qualora l’amministrazione Trump dovesse individuare nella Cina il problema strategico degli Stati Uniti beh… se l’amministrazione Trump si muoverà come un attore razionale dovrà trovare un modo di diminuire l’antagonismo con la Federazione Russa.

Il Presidente eletto, però, sembra già avere abbassato i toni rispetto all’infuocata campagna elettorale. Si aspetta una presidenza di rottura?

No, rottura in senso proprio no. Ci saranno delle discontinuità ma, come sempre avviene e come avvenuto nel passaggio tra tutte le amministrazioni degli ultimi venticinque anni – salvo naturalmente sorprese – gli elementi di continuità dovrebbero risultare alla fine prevalenti sugli elementi di discontinuità. È chiaro che noi l’amministrazione Trump la valuteremo sulla base delle discontinuità che, in un modo o nell’altro, finirà per introdurre. Ci sono degli elementi di continuità nella politica estera americana che sostanzialmente sono immutati dall’inizio degli anni Novanta, e che credo permarranno anche sotto questa amministrazione. Poi, però, ci sono una serie di elementi di discontinuità che si riproducono, sui quali credo che anche l’amministrazione di Donald Trump metterà la propria impronta.

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Fig. 1 – Donald Trump annuncia la sua candidatura dalla Trump Tower (16 giugno 2015).

L’elezione di Trump avrà ripercussioni anche in Europa. Nello scenario già turbolento quale sarà l’impatto dell’ascesa del tycoon sul nostro continente?

Anche questo è difficile da dirsi. La prima cosa che ci possiamo immaginare – ma credo che su questo Trump dovrà fare i conti con quello che altri nella sua amministrazione (o attorno alla stessa) gli suggeriranno – è che Trump avrà tra i propri obiettivi un grande programma di rinegoziazione delle alleanze. E in modo particolare dell’alleanza per eccellenza, cioè l’alleanza con l’Europa sotto le vesti della NATO. Gli Stati Uniti sono da diversi anni (e anche le ultime amministrazioni lo hanno manifestato in tutti i modi possibili e immaginabili) insoddisfatti della distribuzione degli oneri all’interno dell’Alleanza. Sia l’amministrazione Bush sia l’amministrazione Obama hanno posto con durezza la questione agli alleati: è immaginabile che l’amministrazione Trump porrà la stessa questione con ancora maggiore durezza. Trump è andato alla presidenza dicendo fondamentalmente che a queste condizioni l’alleanza con i Paesi europei è un cattivo affare. Io non credo che questo significhi che Trump abbia veramente intenzione di smantellare la NATO, ma credo che i Paesi europei si debbano aspettare di avere una richiesta di contributo ancora più veemente da parte della nuova amministrazione americana.

Sul versante della difesa i timori verso il paventato ritiro americano hanno indotto i leader europei a serrare i ranghi, tornando a ipotizzare la costituzione di un esercito europeo. È un progetto realizzabile o è soltanto una chimera?

Come mi è capitato di dire molte volte, in mancanza di una politica estera comune un esercito comune servirebbe tutt’al più a organizzare parate. Quindi il problema non è tanto la costruzione di un esercito comune; il problema non è neanche la mancanza di risorse per la difesa, perché, sommate, le risorse dei Paesi europei sono – nonostante tutto – molto consistenti. Il problema è quello che dicevamo prima, e cioè che questo strumento militare sarebbe lo strumento di una politica inesistente e di una politica che, in un contesto internazionale come questo, nel quale i Paesi europei sembrano divergere sempre di più sia in termini di percezioni di sicurezza sia in termini di interessi, è più difficile produrre adesso di quando non sarebbe stato quindici o vent’anni fa.

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Fig. 2 – Federica Mogherini e Jens Stoltenberg durante un meeting al quartier generale della NATO a Bruxelles (6 dicembre 2016).

A prescindere dalla costituzione di un esercito comune è possibile ipotizzare un aumento delle spese per la difesa dei Paesi europei nei prossimi anni?

Molto difficile. È molto difficile per l’ovvia ragione che sappiamo tutti, e cioè che l’Europa vive una stagnazione di fatto economica e una crisi sociale molto preoccupante – che è, naturalmente, la vera ragione dei cosiddetti populismi – e quindi non mi sembra il momento giusto per andare davanti a un parlamento a proporre, nello stesso momento in cui si chiede un taglio delle spese sociali, un aumento delle spese militari. L’amministrazione americana ci chiederà questo, e i Paesi europei sono nella peggiore delle situazioni possibili per potere concedere agli Stati Uniti quello che gli Stati Uniti pretendono.

Provando a includere tutti i fattori in gioco quale sarà l’evoluzione del triangolo NATO-USA-UE nei prossimi quattro anni? Come si incastrerà la Federazione Russa nello stesso?

Impossibile dirlo. Ho già detto che credo che ci sarà un processo di rinegoziazione. Dice bene nella sua domanda: in questo processo di rinegoziazione un ruolo lo svolgerà anche un attore che non è parte della NATO ma che, potremmo dire, è l’altro per eccellenza della NATO, e cioè la Federazione Russa. Queste sono troppe variabili perché possiamo pretendere di risolvere in anticipo l’equazione: non sappiamo quale sarà la politica estera russa nei prossimi anni – personalmente non credo che la Russia potrà permettersi a lungo una tale sovraesposizione quale quella che è stata o si è sentita costretta ad assumere negli ultimi tre/quattro anni. I Paesi europei sono sempre più divisi tra loro e sono divisissimi tra loro nella percezione della minaccia russa, gli Stati Uniti dando l’impressione di volere cambiare nei confronti della Federazione Russa esacerbano le differenze di interessi e di percezioni dei Paesi europei e tutto questo ci rende credo impossibile fare una previsione che abbia un minimo di ragionevolezza.

Il futuro dell’Unione Europea sconta la stessa incertezza che anima il sistema internazionale e fare previsioni di medio-lungo termine è indubbiamente complesso. Tuttavia, a conclusione di questa intervista, le chiederei di sbilanciarsi proprio su tale tematica: quale sarà la conformazione dell’Europa tra…

… assolutamente impossibile. Questo è davvero impossibile dirlo per un’infinità di ragioni. La prima è quella che suggerisce lei, e cioè che noi non conosciamo il contesto internazionale nel quale l’Unione Europea si muoverà. In questo momento, inoltre, non conosciamo neanche quale sarà lo stato di salute interno dei singoli Paesi europei; non sappiamo quali saranno le prossime crisi che l’Unione Europea si troverà a gestire: noi ne conosciamo già alcune, ma è possibile che nei prossimi anni ne emergano altre. Tutto questo insieme è disperante, se vogliamo, ma tutto questo insieme credo che ci obblighi a non fare previsioni perché sarebbe davvero quasi… un gioco dissennato.

Simone Zuccarelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Alessandro Colombo è professore ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Statale di Milano e ricercatore associato all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Ha scritto, inoltre, vari volumi dedicati alle tematiche internazionali tra cui ricordiamo: La grande trasformazione della guerra contemporanea (Milano: Epub Fondazione Feltrinelli, 2015) Tempi decisivi. Natura e retorica delle crisi internazionali (Milano: Feltrinelli, 2014) e La disunità del mondo. Dopo il secolo globale (Milano: Feltrinelli, 2010). [/box]

 

Foto di copertina di Xaf Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Simone Zuccarelli
Simone Zuccarelli

Classe 1992, sono dottore magistrale in Relazioni Internazionali. Da sempre innamorato di storia e strategia militare, ho coltivato nel tempo un profondo interesse per le scienze politiche. 

A ciò si è aggiunta la mia passione per le tematiche transatlantiche e la NATO che sfociata nella fondazione di YATA Italy, sezione giovanile italiana dell’Atlantic Treaty Association, della quale sono Presidente. Sono, inoltre, Executive Vice President di YATA International e Coordinatore Nazionale del Comitato Atlantico Italiano.

Collaboro o ho collaborato anche con altre riviste tra cui OPI, AffarInternazionali, EastWest e Atlantico Quotidiano. Qui al Caffè scrivo su area MENA, relazioni transatlantiche e politica estera americana. Oltre a questo, amo dibattere, viaggiare e leggere. Il tutto accompagnato da un calice di buon vino… o da un buon caffè, ovviamente!

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