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Il Partito Democratico americano dopo Hillary Clinton

In 3 sorsiDopo la sconfitta subita alle recenti elezioni presidenziali, il Partito Democratico americano è ora costretto a ripensare la propria linea politica e il rapporto con la base. Il crescente consenso acquisito ultimamente dall’ex-candidato alle primarie democratiche Bernie Sanders e dalla Senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren potrebbe portare il Partito a virare verso sinistra

1. LA SCONFITTA DEI DEMOCRATICI – L’elezione di Donald Trump ha sicuramente segnato un punto di svolta negli Stati Uniti e non solo. La scena politica americana si sta polarizzando sempre più e, all’interno dei due schieramenti, liberali e centristi potrebbero perdere la leadership dei rispettivi partiti. Se, grazie a Trump, una corrente definita populista di destra e avversa alla concezione liberale si sta facendo spazio tra le file del GOP erodendo sempre più potere ai neoconservatori liberal, la sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre mette ora in dubbio la leadership dell’élite liberale anche all’interno del Partito Democratico. La Clinton ha perso le elezioni presidenziali perché non è riuscita a convincere un elettorato profondamente mutato in alcune aree chiave, soprattutto dopo la crisi del 2008. Sebbene Obama sia riuscito a risollevare l’economia americana dalla crisi, introducendo anche importanti riforme come l’Obamacare, i costi sopportati dalla classe media sono stati molto alti. In modo particolare, la Rust Belt, ovvero la fascia di Stati nel Nord-Est degli Stati Uniti che costituiscono il cuore industriale del Paese, è stata l’area maggiormente colpita dalla crisi economicaÈ proprio qui che Hillary Clinton ha perso le elezioni. Trump è infatti riuscito ad abbattere il cosiddetto Blue Wall dei democratici, aggiudicandosi alcuni Stati chiave come Wisconsin, Iowa, Ohio e Pennsylvania. Il candidato repubblicano è stato capace di conquistare quella parte di elettorato uscita stremata dalla crisi, grazie anche ad una campagna elettorale incentrata sulle tematiche del lavoro e dell’economia e criticando apertamente i trattati di libero scambio accusati dal Presidente eletto di essere la causa della perdita di milioni di posti di lavoro.

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Fig. 1 – La lunga notte elettorale delle presidenziali americane: nella Rust Belt si va delineando la vittoria di Trump

2. LA SOCIAL-DEMOCRAZIA AMERICANA DI SANDERS – Già durante le primarie del Partito Democratico si poteva comunque intuire che all’interno della Rust Belt, che porta un importante numero di grandi elettori, Hillary Clinton avrebbe potuto avere grosse difficoltà. Qui, il Senatore del Vermont Bernie Sanders aveva ottenuto grandi risultati soprattutto in Michigan, Wisconsin e Indiana. Sanders, al contrario della Clinton, ha infatti posto al centro del suo programma politico il problema delle condizioni sociali della middle-class e dei Blue-collar, gli operai delle fabbriche americane. Da alcuni definito populista, Bernie Sanders ha più volte auspicato una più equa redistribuzione della ricchezza, imponendo una tassazione maggiore per i super-ricchi e mostrandosi ostile verso i grandi poteri di Wall Street. La sua visione di social-democrazia riprende il modello scandinavo ed esalta il ruolo del Governo come creatore di occupazione e di una rete di assistenza sociale per le fasce più deboli della popolazione. Prende inoltre ispirazione dalle politiche intraprese dal Presidente Franklin D. Roosevelt dopo la Grande depressione, che hanno di fatto risollevato la disastrata economia americana degli anni ’30.
Non è quindi un caso che Sanders si autodefinisca socialista, il che rappresenta un caso straordinario in un Paese dove questa parola è sempre stata accostata all’Unione Sovietica. Visto il grande consenso ricevuto, soprattutto tra giovani e operai, in molti hanno ipotizzato che Sanders sarebbe dovuto essere il rivale di Trump al posto della Clinton. La frangia di sostenitori del Senatore del Vermont è ora però pronta ad assumere maggiore voce in capitolo all’interno del Partito.

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Fig. 2 – Bernie Sanders in Iowa durante le primarie del Partito Democratico

3. L’ASCESA DI SANDERS E WARREN – Dopo le elezioni, il Partito Democratico ha dovuto prendere atto della crescente popolarità di Sanders e della Senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, divenuta famosa per le sue battaglie contro le lobby di Wall Street, e che durante le primarie ha appoggiato il Senatore del Vermont. Il 16 novembre scorso, Charles E. Schumer, leader della minoranza democratica al Senato, ha nominato Sanders – che rimane comunque un indipendente – e la Warren, membri del leadership team al Senato. È quindi evidente l’intenzione di parte del Partito Democratico di ritrovare i voti di quella parte della base che durante le ultime elezioni si sono astenuti o hanno votato Trump.

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Fig. 3 – La Senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren parla durante un comizio a Washington

Molti liberal all’interno del Partito pensano tuttavia che i democratici debbano abbandonare l’obbiettivo di accaparrare voti tra gli operai delle fabbriche del Nord-Est poiché gli sforzi dei democratici dovrebbero essere piuttosto indirizzati verso la Sun Belt, ovvero gli Stati del Sud-Ovest, e verso gli immigrati latino-americani che, secondo le stime, sorpasseranno presto la popolazione bianca protestante – e generalmente repubblicana – di quelle zone. Per la prima volta dal secondo dopoguerra, sia all’interno del Partito Repubblicano, sia all’interno del Partito Democratico, i liberali, che hanno assunto la leadership dei due grandi Partiti americani, rischiano quindi di perdere la propria influenza. Questa tendenza potrebbe acuirsi anche in futuro visto il successo che Bernie Sanders ha riscosso soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione americana. Se nei prossimi anni il Senatore del Vermont e la collega Elizabeth Warren riusciranno ad imporsi, il Partito Democratico americano potrebbe virare verso posizioni social-democratiche tipiche della sinistra storica europea. È interessante notare tuttavia come il modello liberale sembri stia perdendo consensi sia a destra che a sinistra, segnando così la fine di un’epoca, forse anche per colpa degli effetti negativi generati da una globalizzazione sfrenata.

Daniele Speciale

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
La Rust Belt parte dallo Stato di New York e attraversa Pennsylvania, Michigan, Ohio, West Virginia e Indiana, per finire in Illinois, Iowa e Wisconsin. In quest’area hanno sede i grandi stabilimenti dell’industria automobilistica e le industrie del carbone e del ferro. Qui il voto degli operai delle grandi fabbriche diventa decisivo per aggiudicarsi questi Stati. Da sempre definita come la roccaforte dei democratici tanto da essere chiamata Blue Wall, in contrapposizione con il Red Wall repubblicano nel Mid-West, alle ultime elezioni la regione ha votato inaspettatamente per Trump, che è riuscito ad aggiudicarsi diverse contee storicamente democratiche, soprattutto nei sobborghi industriali delle grandi città.  [/box]

 

Foto di copertina di aj.hanson1 Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Daniele Speciale
Daniele Speciale

Sono nato a Ivrea, in provincia di Torino, nel 1988. Da sempre appassionato di storia, sono poi rimasto affascinato dalle tematiche riguardanti la geopolitica. Ho deciso così di intraprendere una carriera universitaria basata sulle Relazioni internazionali, conseguendo dapprima la laurea triennale in Scienze politiche e Relazioni internazionali all’Università della Valle d’Aosta e, successivamente, la magistrale in Scienze internazionali all’Università di Torino. Durante la stesura della mia tesi magistrale incentrata sull’egemonia americana e sul multipolarismo emergente, ho potuto apprezzare e studiare in modo approfondito i grandi autori della disciplina delle Relazioni internazionali. Mi appassiona scrivere di politica internazionale ed è proprio grazie a questa mia passione che ho potuto incontrare il Caffè.

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