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Un drone nello spazio: l’X-37B

Miscela Strategica – Gli Stati Uniti, con una cooperazione tra l’Aeronautica militare e la NASA, operano un misterioso drone spaziale riutilizzabile senza equipaggio. Le operazioni che compie in orbita sono segrete. Cerchiamo di capire cosa potrebbe fare l’X-37B

SPAZIO RILEVANTE –  L’ambiente spaziale è entrato di diritto tra i domini dei moderni e futuri conflitti assieme ai tradizionali terra, mare e aria e al più recente cyber. Inoltre, li influenza tutti. Le Forza Armate e di sicurezza di numerosi Paesi sono ormai legate a doppio filo alle piattaforme spaziali che forniscono servizi cruciali per il loro funzionamento.  Prime fra tutti le telecomunicazioni che permettono il passaggio di informazioni in verticale (tra la catena di comando) e in orizzontale (comandanti di teatro schierati) oltre che tra alleati. Spesso si pensa ai droni come sostituti dell’intelligence spaziale, ma si trascura il fatto che questi hanno bisogno di satelliti per essere pilotati da remoto. Altri servizi forniti sono immagini ottiche e radar ad alta risoluzione, posizionamento e navigazione, allarme lontano e sorveglianza dei segnali elettronici. Sin dal lancio dello Sputnik-1 sovietico nell’ottobre 1957 si capì l’importanza di possedere sistemi spaziali per scopi militari. Questi si trovano in un ambiente dove non è possibile (e dopo la ratifica del Trattato sull’uso dello spazio anche illegale) reclamare alcun tipo di sovranità. Un regime simile a quello che regola le acque internazionali. Per questo motivo si fa largo uso della tecnologia satellitare e ciò implica che in un futuro il primo colpo di un conflitto su larga scala tra Paesi potrebbe essere “sparato” nello spazio. Le maggiori potenze sono consapevoli di questo e stanno investendo importanti risorse nello Space Situational Awareness (Consapevolezza della situazione spaziale – SSA) per conoscere cosa orbita sopra le loro teste, dove si trova e quali sono le caratteristiche.

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Fig. 1 – Lancio dell’Atlas V con a bordo l’X37-B

SPIARE CHI SPIA DALLO SPAZIO – Per ottenere la SSA è necessario disporre di tecnologie e strumenti in grado di “guardare” l’ambiente oltre l’atmosfera e fornire dati sui sistemi spaziali in orbita.

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[tab_title] Telescopi e radiotelescopi[/tab_title]
[tab_title] Satelliti[/tab_title]
[tab_title] Veicoli senza equipaggio[/tab_title]
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[tab]Telescopi e radiotelescopi sono gli strumenti più comuni della SSA. I primi utilizzano immagini ottiche per identificare gli oggetti in orbita terrestre. I secondi li tracciano servendosi di onde radio (sono radar in sostanza) per tracciare l’orbita degli oggetti oltre che alle dimensioni. I più potenti sono in grado di rilevare anche frammenti di un centimetro di dimensione.[/tab]
[tab]I satelliti possono essere usati per spiare altri satelliti. Una piattaforma dotata di radar e posta su un’orbita medio-alta (MEO o GEO) può tracciare gli oggetti a quote più basse. Sistemi più complessi possono avvicinarsi al satellite obiettivo tramite manovre orbitali e studiarlo da vicino.[/tab]
[tab]Sorvegliare piattaforme spaziali può essere fatto anche tramite veicoli spaziali senza equipaggio. Questi sono più complessi e costosi, ma offrono una maggiore flessibilità d’impiego, soprattutto se sono riutilizzabili.[/tab]
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Fig. 2 – L’X-37B viene preparato per il lancio

X-37B – Il programma X-37 iniziò nel 1999 quando la NASA siglò un contratto con la Boeing per lo sviluppo di un prototipo di veicolo orbitale senza equipaggio. Le caratteristiche aerodinamiche erano simili a quelle dello Space Shuttle e l’obiettivo iniziale era avvicinarsi a satelliti statunitensi in orbita per effettuare riparazioni. Inizialmente il lanciatore previsto era lo Shuttle stesso, ma l’idea fu accantonata perché troppo costosa. Il vettore Delta IV era stato proposto in sostituzione. Nel 2004 il progetto passò sotto le dipendenze della Defense Advanced Research Project Agency (Agenzia per la ricerca su progetti avanzati per la difesa – DARPA), assumendo un carattere prettamente militare essendo inoltre segretato. Lo stesso anno iniziarono i test di volo agganciato a un aereo per verificare struttura e aerodinamica. Il primo test di planata autonoma si svolse nel 2006. Lo stesso anno, l’USAF (United States Air Force – Aeronautica militare degli Stati Uniti) decise di entrare nel progetto sviluppando una nuova versione del veicolo, ribattezzata X-37B. La collaborazione con la NASA e Boeing fu mantenuta. Il requisito di missione era una permanenza in orbita di circa 270 giorni e l’obiettivo ufficiale del programma era sviluppare nuove tecnologie e metodologie d’impiego di veicoli spaziali. Per lanciare l’X-37B fu scelto il vettore Atlas V dell’ULA (United Launch Alliance, consorzio tra Boeing e Lockheed Martin). Come siti di atterraggio furono selezionati la base aerea di Vandemberg come principale e quella di Edwards come secondaria. Furono costruiti due esemplari. Nel 2014 la NASA ha annunciato che le operazioni di lancio e manutenzione dei due veicoli sarebbero avvenute al Kennedy Space Center in Florida. Il primo volo denominato OTV-1 (Orbital Test Vehicle – Veicolo orbitale sperimentale) avvenne nel 2010 con una missione della durata di 224 giorni. I dettagli sono segreti, ma le osservazioni di astronomi convergono su una quota operativa tra i 401 e i 422 chilometri e un’inclinazione orbitale di 40° rispetto all’equatore. La seconda missione, OTV-2, è stata portata a termine dall’X-37B con una permanenza di 468 giorni nello spazio. La OTV-3 si è spinta fino a 674 giorni, mentre la OTV-4 è tutt’ora in atto con all’attivo 539 giorni al 10 novembre.

[box type=”shadow” align=”alignright” class=”” width=””]Durata missioni

  • OTV-1: 22/11/2010 – 03/12/2010
  • OTV-2: 05/03/2011 – 16/06/2012
  • OTV-3: 11/12/2012 – 17/10/2014
  • OTV-4: 20/05/2015 – in corso

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POSSIBILI IMPIEGHI – Le speculazioni sulle operazioni dell’X-37B sono molteplici, come succede sempre con i programmi semi-segreti. Si tornerà a breve su questo termine. In base alle caratteristiche tecniche, il veicolo potrebbe essere in grado di fare classiche attività di ricognizione dallo spazio, con immagini ottiche e/o multi-iperspettrali. Quest’ipotesi è sostenuta dalla quota operativa attorno ai 400 chilometri, ossia nella categoria LEO. Un’altra possibilità invece aderisce di più allo scopo originale del progetto: operare nello spazio per lo spazio. L’X-37B potrebbe compiere attività d’intelligence spaziale, raccogliendo dati radar e/o fotografici di satelliti di potenze avversarie come Russia e Cina oppure, più arditamente, sperimentare tecniche per disabilitare piattaforme orbitanti. L’area cargo del veicolo potrebbe permettere il lancio di satelliti miniaturizzati. Una probabilità più “soft” è il mantenimento della capacità di operare veicoli orbitali riutilizzabili da parte degli Stati Uniti dopo il pensionamento dello Space Shuttle e in attesa di un eventuale futuro successore.

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Fig. 3 – L’X-37B dopo l’atterraggio

QUESTIONI APERTE – Ci siamo più volte occupati dei rischi di una militarizzazione dello spazio e di come questa condizione si stia man mano raggiungendo. L’ambiente spaziale è strategico e nessun Paese con ambizioni di potenza globale può permettersi di rimanere indietro. Il programma X-37B potrebbe essere l’ennesimo “innalzamento dell’asticella” classico della strategia spaziale statunitense. Una piccola sequenza di eventi può spiegare cosa si intende: l’URSS lancia il primo satellite, gli USA ne lanciano uno più avanzato; l’URSS lancia il primo uomo nello spazio, gli USA li sfidano ad andare sulla Luna; l’URSS sperimenta laboratori spaziali semi-permanenti con equipaggio, gli USA lanciano il primo veicolo spaziale quasi riutilizzabile della storia. Si potrebbe continuare, ma quanto scritto dovrebbe bastare a dare un’idea. L’X-37B è la dimostrazione statunitense di essere gli unici a poter operare un drone spaziale con al momento il 100% di successo sia nel lancio sia nel rientro, con la possibilità di riutilizzarlo e con missioni della durata calcolata da mesi ad anni. Il termine semi-segreto usato nel paragrafo precedente, è riferito al fatto che l’USAF pubblicizza sia il lancio sia il rientro del veicolo oltre alla sua esistenza con tanto di fotografie e filmati. Mantiene segreta solo l’attività in orbita. La speculazione su cosa faccia l’X-37B potrebbe rivelarsi alla fine il suo vero scopo.

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Fig. 4 – Tecnici esaminano l’X-37B dopo l’atterraggio

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RISCHI

  • Escalation militare nello spazio
  • Costi non sostenibili nel lungo periodo
  • Scoperta del vero scopo del veicolo

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[box type=”note” align=”” class=”” width=””]

VARIABILI

  • Opportunità dell’uso di droni spaziali
  • Mantenimento dei finanziamenti per versioni più evolute
  • Mantenimento dell’effetto speculazione sull’utilizzo del veicolo
  • Volontà di mantenere la capacità di utilizzo di veicoli spaziali riutilizzabili

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Emiliano Battisti

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

L’X-37B è lungo 8,92 metri con un’apertura alare di 4,55 metri. È alto 2,90 metri con un peso massimo al decollo di 4,99 tonnellate. L’area cargo è grande 2,1 x 1,2 metri e i sistemi sono alimentati da pannelli solari (come per lo Shuttle situati sui pannelli che coprono l’area cargo durante il lancio) e batterie a ioni di litio. La quota operativa è in LEO. [/box]

Foto di copertina di VH-EBM Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License

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Emiliano Battisti
Emiliano Battisti

Consulente per la comunicazione per un’azienda spaziale e Project Officer and Communications per OSDIFE, sono Segretario Generale e Direttore della comunicazione dell’APS Il Caffè Geopolitico e Coordinatore dei desk Nord America e Spazio. Ho pubblicato il libro “Storie Spaziali”.

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