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L’Era dei Muri

In 3 sorsi – La Gran Bretagna finanzierà la costruzione di un muro a Calais nella speranza di dissuadere i sempre più frequenti tentativi di recarsi nel Regno Unito da parte dei residenti del campo ormai denominato “The Jungle”.

1. LA CORSA AL MURO – Il 9 novembre del 1989 le immagini dei berlinesi che, mattone dopo mattone, abbattevano il muro che aveva diviso la loro città per quasi tre decenni fecero il giro del mondo, e oggi l’evento viene ricordato nei libri di storia. La distruzione di quella barriera di cemento non ha solo rappresentato la fine della Guerra Fredda, ma è divenuta un simbolo di inclusione e di integrazione, portando, in definitiva, ad una unificazione, non solo a livello geopolitico, ma anche di coscienza collettiva: è nata l’idea di un’Europa unita.
Dopo più di venticinque anni, questo simbolo, e gli ideali che lo sostenevano, sembrano essere stati del tutto dimenticati, perlomeno da una buona parte della sfera politica occidentale. Lo sa bene il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump, che ha fatto del fantomatico muro tra Messico e Stati Uniti il suo cavallo di battaglia. Tutti noi, in un modo o nell’altro, abbiamo sentito parlare del “great wall” che dovrebbe sorgere lungo tutto il confine USA-Messico che, a detta dello stesso Trump, dovrebbe porre fine all’afflusso di immigrati messicani non regolari.
L’idea di costruire questo muro è stata più volte criticata e screditata non solo dagli oppositori politici, ma da molte organizzazioni umanitarie ed internazionali, che intravedono in questo progetto solo un aumento dei rischi per coloro che, comunque, tenteranno di attraversare il confine, nonché un costo cospicuo e alquanto inutile per i contribuenti statunitensi.
L’epidemia dei muri sembra, però, essere contagiosa. Anche l’Europa sembra aver ceduto al fascino del “risolvi tuoi problemi con un muro”. Nel mese di settembre, infatti, il Regno Unito ha annunciato che, per risolvere la sempre più drammatica situazione a Calais – dove dal 2015 si trovano migliaia di profughi che vogliono raggiungere le coste britanniche per presentare la propria richiesta di asilo – verrà innalzato un muro lungo i tratti autostradali che conducono al porto della città francese. Questo, a detta di Goodwill – ministro dell’Immigrazione britannico – per garantire la sicurezza degli autotrasportatori, i cui mezzi sono sempre più spesso presi d’assalto da alcuni occupanti del campo di Calais, in un disperato tentativo di recarsi oltremanica.
A quanto sembra, i Paesi occidentali propenderebbero per la tesi che la miglior politica migratoria al momento consista nell’innalzare muri: del resto “occhio non vede, cuore non duole”.

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Fig. 1 – Parte del campo di Calais. Meno del 20% degli abitanti del campo alloggiano nelle strutture edificate dalle autorità francesi, 1 dicembre 2015

2. LA GENESI DI CALAIS – La proposta di innalzare un muro alto quattro metri lungo il tratto stradale percorso ogni giorno da centinaia di autotrasportatori è arrivata nel momento in cui la situazione del campo profughi, ormai conosciuto con il nome “the Jungle” (la Giungla), aveva toccato livelli drammatici. Diverse associazioni umanitarie, che forniscono vari tipi di assistenza nel campo, lamentano da parecchio tempo la penuria di risorse – dal cibo alle coperte – e la mancanza di supporto da parte delle autorità locali. Le scarsissime condizioni igienico-sanitarie, unite ai lenti processi per la presa in carico delle richieste di asilo e di ricongiungimento familiare, non hanno fatto altro che accrescere la frustrazione e la disperazione degli abitanti del campo. Da qui l’aumentare dei tentativi di “abbordare”, spesso a qualsiasi costo, gli automezzi diretti oltremanica, con la speranza di raggiungere il Regno Unito per richiedere lì lo status di rifugiato. Il tutto con risultati drammatici. Oltre agli ingenti danni per gli autotrasportatori, si contano decine di morti e feriti tra coloro i quali hanno tentato di attraversare la Manica.

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Fig. 2 – Protesta degli autotrasportatori per le precarie condizione di sicurezza lungo il tratto autostradale che costeggia il campo profughi di Calais, 5 settembre 2016

Lo scorso settembre quasi un centinaio di mezzi ha bloccato il traffico verso l’Eurotunnel in segno di protesta, lamentando le precarie condizioni di sicurezza causate dai continui tentativi da parte di alcuni degli occupanti del campo di salire sui veicoli. I manifestanti hanno chiesto non solo maggiori misure di sicurezza, ma lo smantellamento della “Giungla” stessa.
In questo clima di crescente tensione, la carta giocata dal Governo May è stata quella di impiegare 1,9 milioni di sterline ­– facenti parte del pacchetto di 17 milioni per le “misure di sicurezza” stanziati dal Governo britannico in accordo con la Francia – per la costruzione del muro. Questa soluzione, criticata sia da diverse ONG che dagli stessi autotrasportatori, sembra essere lontana da risolvere il problema, poiché, come la storia ci insegna, i muri rendono solo più pericolosi i tentativi di oltrepassare i confini che delimitano.
La domanda che forse sarebbe più opportuno porsi è, tuttavia, come si è arrivati a questa drammatica situazione? Bisogna tornare indietro all’aprile 2015, quando le autorità francesi concentrarono, pressappoco nell’area dove oggi sorge il campo, vari gruppi di migranti e profughi che si erano accampati lungo il litorale vicino a Calais, nella speranza di poter raggiungere le coste britanniche. La situazione è andata aggravandosi nel marzo scorso, quando – sempre le autorità francesi – decisero di demolire la zona meridionale del campo. Con questa misura si sperava di spostare gli abitanti del campo in centri di accoglienza organizzati e gestiti dalle autorità francesi. Tuttavia il risultato ottenuto è stato quello di sovraffollare il campo – per via della riduzione delle sue dimensioni – diminuendo allo stesso tempo la disponibilità di servizi igienici e di acqua potabile, peggiorando così le già precarie condizioni igienico-sanitarie.
L’estate 2016 ha visto l’esponenziale aumento dei residenti del campo, che oggi sono arrivati, secondo alcune stime, a quota 10.000. Un dato sconcertante riguarda l’altissima presenza di minori – quasi 1000 – molti dei quali non accompagnati. Proprio i bambini sono gli individui più vulnerabili in questa situazione, e la lentezza con cui le autorità, sia francesi che britanniche, stanno agendo lascia spazio a sparizioni e casi di violenza purtroppo frequenti.
Quella che è venuta a delinearsi è una situazione complessa e drammatica, per la cui soluzione un muro alto quattro metri sembra non essere esattamente la risposta più efficace.

3. LA RETORICA DEL MURO – Se un muro sembra non essere una soluzione sufficiente per l’emergenza di Calais, viene da chiedersi come mai la Francia e il Regno Unito abbiano comunque optato per la sua edificazione. La scelta britannica sembrerebbe in linea con le affermazioni del Governo May, il quale propende per la gestione “offshore” dell’emergenza umanitaria dei richiedenti asilo. Difatti, investire denaro affinché altri Paesi si occupino della gestione degli immigrati in modo da limitare l’afflusso diretto di questi ultimi sulle coste britanniche, sembra essere la soluzione preferita da Downing Street al momento.
Per quanto riguarda la Francia, la decisione di innalzare il suddetto muro sembra essere più vicina ad una misura di Hollande per tamponare temporaneamente la grave situazione. La cattiva gestione del campo di Calais è diventato motivo di imbarazzo del suo governo, nonché facile appiglio delle opposizioni per criticare la politica migratoria del Presidente. È importante ricordare che le elezioni francesi sono alle porte – si terranno la primavera prossima – e che ormai si respira un clima da campagna elettorale. Tutti i candidati si affrettano a garantire lo smantellamento del campo in tempi brevi, come aveva fatto lo stesso Hollande nelle scorse settimane. Proprio in questi giorni, in effetti, la decisione è diventata esecutiva, e i migranti hanno iniziato a essere smistati in centri di accoglienza francesi. Se coloro che sognavano di rimanere in Francia hanno accolto favorevolmente lo smantellamento, accettando volontariamente di essere trasferiti, i migranti che speravano di arrivare in Gran Bretagna sono rimasti delusi, e si stanno opponendo al trasferimento. Se questi dovessero rimanere nell’area, potrebbero sorgere dei nuovi, piccoli campi.

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Fig. 3 – Il presidente francese Hollande annuncia lo smantellamento del campo di Calais durante la sua visita alla gendarmerie di Calais, 26 settembre 2016

Un muro, quindi, che sembrerebbe essere una “pezza per rattoppare” la ormai disastrosa situazione di Calais.
Intanto, però, una nuova barriera sta venendo innalzata. In un’Europa che sembra sempre più allontanarsi dall’idea di unione e di condivisione, e dove le nuove ondate nazionaliste stanno raggiungendo un sempre maggior numero di cittadini, forse avremmo bisogno di ricordare a cosa hanno portato i muri nella storia. Come sottolineato da Andrew Solomon, la storia ha dimostrato che buone recinzioni non “fanno buoni vicini”, ma piuttosto creano veri nemici.

Valentina Nerino

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Per delineare un quadro più completo delle relazioni anglo-francesi in materia di immigrazione e per comprendere al meglio il motivo per cui così tanti richiedenti asilo sono rimasti “bloccati” in Francia, è importante tener conto del Trattato di Touquet del 2003. Il trattato prevede che le autorità di Regno Unito e Francia siano autorizzate a condurre controlli legati all’immigrazione nei reciproci territori. Per questa ragione a Calais si trovano le autorità britanniche per l’immigrazione (e a Dover quelle francesi), che impediscono ai migranti di raggiungere le coste inglesi. Per un’analisi dettagliata del trattato, consultare il seguente link.[/box]

Foto di copertina di malachybrowne Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Valentina Nerino

Nata a Torino nell’afoso agosto del ’92, sono diventata molto presto una “cittadina del mondo”. Tra varie esperienze accademiche e non, mi sono ritrovata in Sud Africa, Australia e Stati Uniti. Mi sono laureata in Economia e Commericio ad indirizzo internazionale nel 2014 e al momento mi trovo in Inghilterra per concludere la specialistica in Political Sociology alla London School of Economics and Political Science. Da sempre appassionata di politica e relazioni internazionali, nell’ultimo anno mi sono specializzata nell’analisi delle politiche europee in materia di migrazione e diritto di asilo

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