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Trump e l’Arabia Saudita

Caffè Americano  Nuovo attacco di Donald Trump contro Barack Obama. Questa volta, la ragione del contendere appare particolarmente spinosa, con ricadute internazionali di un certo rilievo, visto che ad essere chiamata direttamente in causa è l’Arabia Saudita.

SCONTRO DIRETTO – Il Congresso statunitense ha recentemente approvato un provvedimento legislativo che permetterebbe ai parenti delle vittime degli attentati alle Torri Gemelle di citare in giudizio l’Arabia Saudita presso corti statunitensi. La questione, mesi fa, era pesantemente entrata anche nella campagna elettorale per le presidenziali. E i principali candidati allora in lizza si erano generalmente detti a favore del provvedimento. In particolare, Donald Trump aveva sostenuto di appoggiarlo, non facendo mistero di non amare particolarmente la monarchia saudita, visto che all’inizio di quest’anno aveva lasciato intendere fosse corresponsabile degli attacchi terroristici dell’11 settembre.
Ciononostante Obama ha deciso di porre il veto presidenziale sul provvedimento. Si tratta di una mossa discutibile, che affonda le proprie radici in considerazioni geopolitiche di vasta portata. In particolare, l’amministrazione Obama non ha mai intrattenuto rapporti eccessivamente cordiali con l’Arabia Saudita, la quale ha sempre considerato inaccettabile l’apertura dell’attuale presidente americano verso l’Iran, suo storico avversario sciita. E’ quindi probabile che, con questa scelta, l’amministrazione democratica non voglia deteriorare ulteriormente i rapporti con quello che – tra luci e ombre – è sempre stato un Paese vicino agli Stati Uniti. Non solo: la 9/11 lawsuit bill potrebbe mettere a rischio l’immunità dei diplomatici statunitensi all’estero. Si aprirebbe, infatti, alla possibilità che molti altri Stati decidano di rispondere con legislazioni simili per poter così giudicare nei propri tribunali i cittadini statunitensi. Obama ha anche dichiarato che la bill non porterebbe nessun valore aggiunto né agli sforzi per implementare la sicurezza nazionale né alle azioni di lotta al terrorismo. Anzi, toglierebbe il monopolio della risposta non solo agli esperti di sicurezza e politica estera, ma anche al presidente, a favore delle corti nazionali e di privati. L’inquilino della Casa Bianca ha poi aggiunto che questa legislazione andrebbe a mettere in crisi la cooperazione in materia di lotta al terrorismo con gli alleati Usa, in un momento in cui serve unione e non frammentazione.

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Fig. 1 – A 15 anni di distanza dall’attentato alle Torri  Gemelle, fa discutere la proposta di lawsuit bill

Tuttavia Trump non ha preso bene la cosa e venerdì scorso è andato all’attacco. “Il veto del presidente Obama sul Justice Against Sponsors of Terrorism Act (JASTA) è vergognoso e sarà ricordato come uno dei punti più bassi della sua presidenza”, ha tuonato il miliardario in un comunicato. “Questo provvedimento è stato approvato anonimamente da entrambe le camere e avrebbe concesso alle famiglie di circa tremila persone uccise dai terroristi islamici l’11 settembre 2001, l’opportunità di ottenere giustizia presso una corte americana”. Trump ha aggiunto che, in caso di vittoria presidenziale, abolirà certamente il veto.

LA CONFUSIONE DI TRUMP – La dura posizione portata avanti dal miliardario sulla questione si spiega in base a vari ordini di ragione. In generale, questa prospettiva si inserisce nel quadro isolazionista da lui ripetutamente avanzato con l’obiettivo di un abbandono graduale degli alleati storici. PiĂą nel dettaglio, tuttavia, non può non sfuggire come questa visione tragga alimento dal contrasto nei confronti dell’islamismo e dalla diffidenza nutrita dal magnate verso il mondo musulmano tutto. In tal senso, gli scontri con la monarchia saudita vengono ad essere parte di un disegno piĂą ampio: di quella strategia law and order, cioè, che il magnate propone, puntando particolarmente sui temi della sicurezza e dell’identitĂ  culturale americana.

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Fig. 2 – Trump si e’ mostrato aggressivo verso l’Arabia Saudita

Ciononostante, i paradossi non mancano. Ed emergono soprattutto sul fronte della politica estera. Lunedì scorso, Trump ha incontrato a New York il presidente egiziano Al Sisi, verso cui ha pronunciato parole di elogio, definendolo un baluardo nella lotta al terrorismo. Il miliardario ha inoltre aggiunto che – in caso di vittoria a novembre – l’America sarà tra i primi amici dell’Egitto. Ora, l’incontro e l’encomio hanno prevedibilmente innescato un po’ di polemiche, data la simpatia più volte mostrata da Trump verso politici non esattamente in linea con gli standard democratici.
Tuttavia, piĂą in profonditĂ , la questione è un’altra. E ben piĂą problematica. Eh sì, perchĂ© l’Egitto di Al Sisi non risulta particolarmente in disaccordo con l’Arabia Saudita: sono sostanzialmente uniti nel conflitto in Yemen contro gli sciiti, fanno affari tra loro e addirittura lo scorso aprile Il Cairo ha svenduto ai sauditi ben due isole, tra le proteste del popolo egiziano. Di fronte a tutto ciò, distinguere tra il laicismo di Al Sisi e il wahhabismo dei Saud lascia un po’ il tempo che trova. E soprattutto Trump non sembra al momento avere le idee esattamente chiare su come muoversi sul fronte internazionale per contrastare la minaccia islamista. Da una parte, sembra rincorrere l’isolazionismo, dall’altra sembra voler rispolverare contraddittoriamente pezzi della Dottrina Bush (secondo cui, bisognava promuovere un’alleanza con i paesi sunniti moderati contro le frange estremiste e sciite). E la confusione aumenta se si ricorda come, lo scorso gennaio, il magnate arrivò a dire che, da presidente, avrebbe sostenuto l’Arabia Saudita ma in cambio di un ritorno economico. A tutto questo si va ad aggiungere la posizione di Trump sull’accordo con l’Iran: non si capisce ancora dove il magnate voglia andare a parare quando parla di “rinegoziazione” e non di “abolizione” (come fanno invece molti esponenti del Partito Repubblicano).
Trump, insomma, dovrebbe essere più preciso e lineare, anziché barcamenarsi tra posizioni estemporanee e incoerenti. Dovrebbe innanzitutto chiarire inequivocabilmente la sua prospettiva sul mondo musulmano, per stabilire poi una linea d’azione conseguente. Perché non è detto che il terrorismo si possa combattere soltanto rafforzando le frontiere.

Stefano Graziosi

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Un chicco in piĂą

Anche Hillary Clinton, politicamente piĂą vicina all’Arabia Saudita, si è detta contraria al veto di Obama

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Foto di copertina di Gage Skidmore Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License

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Stefano Graziosi
Stefano Graziosi

Nato a Roma nel 1990, mi sono laureato in Filosofia politica con una tesi sul pensiero di Leo Strauss. Collaboro con varie testate, occupandomi prevalentemente di politica americana. In particolare, studio le articolazioni ideologiche in seno al Partito Repubblicano statunitense.

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