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Israele-Siria-Turchia: quale scenario dopo il fallito golpe?

Miscela Strategica – Il fallito colpo di stato in Turchia dello scorso 15 luglio porta a delle riflessioni sul futuro degli equilibri in Medio Oriente. Se per quanto riguarda il riavvicinamento tra Turchia e Israele non si temono sconvolgimenti, una nebbia fitta continua ad avvolgere il futuro del conflitto siriano.

ISRAELE A FAVORE DI ERDOGAN (FORSE) – Secondo Emmanuel Nashon, portavoce del Ministero dell’Interno israeliano, Gerusalemme ha fornito il proprio sostegno al Presidente turco Recep Tayyip Erdogan dopo il fallito colpo di stato dello scorso 15 luglio. La sua dichiarazione – analogamente a quella di altri leader occidentali – è arrivata dopo ben 15 ore di silenzio. Un intervallo che ha dato adito a speculazioni sull’effettività di tale sostegno a Erdogan da parte del Governo, dell’esercito e dell’intelligence israeliana. Il funzionario di Governo, in particolare, si è appellato al rispetto del «processo democratico» in Turchia e ha fatto riferimento al percorso di riconciliazione in essere tra i due Paesi. Israele e Turchia, infatti, avevano firmato lo scorso 28 giugno un accordo per normalizzare i loro rapporti, che si erano deteriorati a partire dal 2010 dopo l’incidente della Mavi Marmara. Il futuro del patto non sembra essere in bilico nonostante il tentato putsch. Ilnur Cevik, uno dei principali consiglieri di Erdogan, ha dichiarato alla tv israeliana Channel 2 che il golpe al massimo potrà accelerare il processo di riappacificazione. Non è nell’interesse di nessuno giungere a una nuova rottura. Nonostante il fatto che Erdogan resti una figura controversa in Israele a causa della sua politica molto islamista e del suo ambiguo legame con Hamas.

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LA COLLABORAZIONE IN SIRIA – Interessante e centrale dal punto di vista strategico è la questione della Siria. Il confine tra Turchia e Siria è in questo momento uno dei piĂą delicati del quadro geopolitico mondiale. Attraverso esso passano i milioni di rifugiati – la Turchia da sola ne accoglie circa 3 milioni, pari al 45% del totale – in fuga dalla guerra civile verso l’Europa, ma anche i foreign fighters che, facendo il percorso inverso, vanno a ingrossare le fila dello Stato Islamico. L’annunciata e spietata opera di repressione e ristrutturazione dell’esercito iniziata da Erdogan a seguito del tentato putsch ha coinvolto anche la seconda e la terza armata schierate a presidio della frontiera, provocando tensioni e iniziale spaesamento con gli alleati Nato. Anche Israele condivide un bollente tratto di confine con Damasco nella regione delle Alture del Golan. E’ probabile che Israele e Turchia instaurino una coordinazione di intelligence e forze armate. Pur non amandosi, una collaborazione – che includa anche accordi economici per rifornimenti militari – risulterebbe proficua per la sicurezza di entrambi.

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LE MOSSE DI ERDOGAN – Il Sultano è da mesi impegnato a ridisegnare i rapporti di forza con gli altri attori della regione. Il Presidente turco sta provando a mischiare le carte dopo aver raccolto, con l’escalation di attentati degli ultimi mesi, i frutti dell’ambigua politica permissiva con il jihad portata avanti negli ultimi anni in funzione anti-Assad e anti-curda. Un progetto in cui si inserisce anche il riavvicinamento tentato con la Russia, e suggellato in qualche modo dai ripetuti contatti avuti con Putin durante e dopo i momenti concitati del golpe. Riavvicinamento cui invece si contrappone l’acuirsi delle tensioni con l’Occidente, accusato di aver sostenuto i putschisti, e in particolare con gli Stati Uniti, che addirittura secondo il rais turco avrebbero finanziato il colpo di Stato attraverso la CIA. A seguito del golpe diversi analisti pronosticano un allentamento dell’impegno turco in Siria, con il Presidente al momento maggiormente concentrato sui propri affari interni. Indice di questi fattori sarebbe l’accerchiamento ormai pressoché totale della città di Aleppo – la più grande della Siria prima del confine con la Turchia – da parte delle truppe lealiste di Assad, spalleggiate dei russi. Uno scenario che Ankara, nonostante la sua ambigua politica, aveva sempre scongiurato.

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GLI INTERESSI DI GERUSALEMME – Israele, ufficialmente, nel conflitto siriano ricopre un ruolo di spettatore interessato. Non partecipa attivamente alle iniziative della coalizione anti-Isis né al supporto dei ribelli moderati anti-Assad. L’interesse territoriale sulle Alture del Golan – formalmente territorio siriano ma occupate da Gerusalemme dal 1967 – è però vitale per la sicurezza del Paese. La posizione strategica della regione, a cavallo tra Israele, Libano e Siria, rende il Golan cruciale per la difesa dello Stato Ebraico da Hezbollah, l’organizzazione paramilitare sciita libanese che fa capo all’omonimo «partito di Dio» e che costituisce per Gerusalemme una minaccia costante sin dalla sua fondazione nel 1982. Israele ha rafforzato la propria presenza militare e il proprio sistema di difesa missilistico nella regione, con l’obiettivo non troppo celato di annettere definitivamente il territorio una volta terminato il conflitto. Da registrare il fatto che la scorsa settimana un drone partito dalla Siria – di probabile fabbricazione russa, sulla cui appartenenza l’Idf (Israel Defense Forces) sta indagando – è riuscito a schivare ben due missili del sofisticato sistema di difesa Patriot, posto a protezione dall’area.

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IL PRESIDIO DELLE FRONTIERE – Sulla base della difesa dei rispettivi confini si potrebbe innestare una collaborazione tra le due nazioni. In particolare, Israele guarderebbe con favore al dialogo con la Turchia qualora dovesse concretizzarsi il riavvicinamento tra Ankara e Mosca. Una riappacificazione totale tra le due, infatti, darebbe linfa vitale alla coalizione sciita a sostegno del rais Bashar al-Assad, di cui proprio le milizie di Hezbollah costituiscono un fiore all’occhiello. Già ad Aleppo si sta vedendo un parziale riscontro di ciò. L’analisi di Assafir, un quotidiano libanese vicino al «partito di Dio», dà credito alle speculazioni su un cambiamento di schieramento da parte della Turchia di Erdogan, motivato dalla titubanza statunitense e dall’appoggio che gli USA continuano a dare ai Curdi siriani dell’Ypg, che la Turchia (e gli Stati Uniti stessi) considera un’organizzazione terroristica. Hezbollah più forte, con cui le tensioni non si sono mai sopite dopo la guerra del 2006, spaventa Israele, che avvierebbe volentieri una cooperazione con Ankara per contenere il rafforzamento della milizia sciita.

APERTURA RUSSIA-TURCHIA E IL RUOLO DI ISRAELE – Putin e Erdogan si sono incontrati al Cremlino lo scorso 9 agosto, in quello che è stato il primo viaggio del Sultano dopo il fallimento del golpe. Oltre ad aver sancito il disgelo ufficiale dei rapporti tra le due nazioni, il meeting può essere considerato il preludio, se non di una vera e propria alleanza, di un’inedita, e sino a qualche mese fa impensabile, collaborazione tra Russia e Turchia. Questo nonostante le dichiarazioni rilasciate da Assad lo scorso 21 luglio all’agenzia stampa cubana Prensa Latina, con cui il rais siriano faceva intendere che i rapporti tra lui e Erodgan non avrebbero subito sostanziali mutamenti. La Turchia resta però anche Paese membro della Nato, con una posizione strategica fondamentale per l’Occidente. La difesa del poroso confine con la Siria, inoltre, non potrà comunque prescindere da una collaborazione coi tradizionali alleati, anche se in questo senso gli strumenti di ricatto a disposizione del Presidente turco – dai rifugiati, alle armi nucleari Nato custodite a Incirlik – sono diversi. In tutto questo, Israele resta alla finestra cercando di proteggere la propria sicurezza dalla minaccia di Hezbollah, che più in generale è parte dell’universo sciita che fa capo all’Iran. Per lo Stato Ebraico, potrebbe anche profilarsi un ruolo di mediatore tra la Turchia e Occidente.

Giulio Monga

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Tra Siria e Turchia si innesta anche la questione curda. I Curdi, pragmaticamente, durante il colpo di Stato non hanno dato sostegno a nessuna delle due fazioni. A seguito dello stesso i vertici dell’Hdp – partito di sinistra filo-curdo, vera rivelazione delle elezioni del giugno 2015 in Turchia – hanno espresso condanna ai golpisti, ma per bocca del vice presidente Hisyar Ozsoy hanno denunciato la reazione di Erdogan come un vero e proprio «golpe civile», chiedendo un dialogo con la loro minoranza. Anche dal Pkk non ci sono state significative prese di posizione. Il Movimento ha emesso un comunicato ufficiale in cui ha statuito che la democrazia non sta né dalla parte dei militari golpisti né da quella del «fascista» Erdogan. Sorprendente il fatto che il leader dei Curdi Iraqeni, Masoud Barzani, si sia convintamente e pubblicamente esposto a sostegno di Erdogan.[/box]

Foto di copertina di maxim303 Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License

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Giulio Monga
Giulio Monga

Classe ’93. Studente di giurisprudenza con passione per il diritto internazionale e i diritti umani. Giornalista in erba che cerca di farsi strada da alcuni anni con collaborazioni frenetiche. Appassionato da sempre di geopolitica – Stati Uniti e Medio Oriente su tutti -, uno dei pochi a leggere il Corriere partendo dalla pagina degli Esteri. Sogno un futuro in questi campi. Interesse per la politica e a volte perfino per chi la fa. Amore per la musica e per il Milan.

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