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Tim Kaine: il vice di Hillary Clinton

Caffè Americano Venerdì Hillary Clinton ha scelto ufficialmente il proprio running mate: si tratta del senatore Tim Kaine. E adesso il ticket democratico guarda alla convention che inizierà lunedì a Philadelphia

CHI È TIM KAINE – Governatore della Virginia dal 2006 al 2010, ha ricoperto ruoli di peso all’interno del partito democratico. Nel corso delle primarie del 2008, si schierò a sostegno di Barack Obama: elemento che portò a voci su una sua possibile candidatura alla vicepresidenza, rivelatesi poi un nulla di fatto. Nel 2012 è approdato al Senato, da dove ha portato avanti energicamente svariate battaglie sulle più disparate questioni. Si tratta in sostanza di un centrista, non eccessivamente distante dalle tradizionali posizioni clintoniane: noto falco in politica estera (soprattutto nell’area siriana), risulta anche tendenzialmente favorevole ai trattati internazionali di libero scambio. Cattolico praticante, si dice personalmente contrario all’aborto, ma al contempo propenso a non mescolare la fede religiosa con problematiche attinenti alla sfera pubblica. Un profilo moderato dunque, che non è esattamente chiaro quanto possa aiutare l’ex first lady nell’accattivarsi le simpatie di una sinistra ad oggi particolarmente riottosa nei suoi confronti.

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Fig. 1 – Tim Kaine comporrà il ticket democratico con la Clinton

PRO E CONTRO – Perché alla fine è proprio questo il problema. La grande spina nel fianco che ha perseguitato Hillary nel corso di questa campagna elettorale sono state le frange radicali, non propriamente benevole verso una candidata giudicata troppo di destra. Anche per questo, l’ex segretario di Stato si è trovata più di una volta a dover effettuare clamorose giravolte programmatiche (soprattutto sulle questioni sociali), nella speranza di arginare l’efficace concorrenza del rivale socialista Bernie Sanders. In forza di ciò, molti analisti ritenevano che – una volta battuto Sanders – Hillary avrebbe optato per un running mate rappresentante dell’area radicale: in particolare, i nomi più papabili sembravano essere quelli della senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, e del senatore dell’Ohio, Sherrod Brown. Entrambi avrebbero difatti potuto coprirla a sinistra: Warren, parlando al mondo di Occupy Wall Street, garantendo inoltre la novità di un ticket interamente al femminile; Brown, sfruttando la propria popolarità tra le classi lavoratrici della Rust Belt. Un altro nome che circolava era infine quello del ministro di origini messicane, Julian Castro, che avrebbe potuto parlare alle minoranze etniche (soprattutto agli ispanici).

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Fig. 2 – Si preannuncia una campagna difficile per Hillary

La scelta di Kaine manifesta di contro un atteggiamento cauto, centrista, in perfetta linea con la tradizione storica clintoniana. Quanti speravano che stavolta Hillary potesse dare effettivamente una decisa sterzata a sinistra alla sua campagna, sono rimasti evidentemente delusi, per la scelta di una figura che – anziché Bernie Sanders – ricorda molto più quella di John Kerry. Con ogni probabilità, le ragioni di fondo di questa opzione potrebbero essere due. Innanzitutto la volontà da parte di Hillary di affiancarsi ad un politico tutto sommato molto vicino alle proprie istanze programmatiche. In secondo luogo, potrebbe trattarsi anche della tradizionale strategia secondo cui è all’elettorato centrista che bisogna guardare per vincere a novembre. Una strategia che generalmente si è rivelata vincente. Ma che non è detto tuttavia possa funzionare anche in questo 2016. Un 2016 che ha visto l’emergere di un corposo elettorato dalle tendenze isolazioniste ed economicamente protezioniste: un elettorato che in buona parte considera i trattati di libero scambio come la principale causa della crisi che sta investendo gli Stati Uniti, soprattutto in alcune aree come il Nord Est. Scegliendo Kaine, Hillary rischia così di precludersi un bacino elettorale notevole (gli arrabbiati anti-sistema) che diventano così esclusiva riserva di caccia del candidato repubblicano, Donald Trump. Un Trump che – nel discorso conclusivo alla convention di Cleveland – ha non a caso ribadito la propria opposizione al libero scambio internazionale, aggiungendo netta contrarietà per un eccessivo coinvolgimento statunitense nelle dinamiche della politica estera. Alla luce di tutto questo, è francamente difficile al momento capire come Kaine possa aiutare Clinton ad allargare una base elettorale che fa sempre più fatica ad estendersi. E non è chiaro se sarà chiudendo così platealmente la porta in faccia alla sinistra che Hillary potrà sperare di conquistare lo Studio Ovale a novembre.

SCENARI FUTURI – E adesso si attende la convention democratica di Philadelphia. Qui non bisognerà soltanto tenere d’occhio la presentazione del programma di governo (la cosiddetta Platform), ma anche capire le reazioni di quelle frange radicali che da sempre avversano la candidatura di Clinton. Il futuro è incerto. E forse Bernie Sanders ed Elizabeth Warren potrebbero avere ancora qualcosa da dire.

Stefano Graziosi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Dal 25 al 28 luglio si terrà la convention democratica a Philadelphia. [/box]

Foto di copertina di USNavalInstitute pubblicata con licenza Attribution-NonCommercial-ShareAlike License

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Stefano Graziosi
Stefano Graziosi

Nato a Roma nel 1990, mi sono laureato in Filosofia politica con una tesi sul pensiero di Leo Strauss. Collaboro con varie testate, occupandomi prevalentemente di politica americana. In particolare, studio le articolazioni ideologiche in seno al Partito Repubblicano statunitense.

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