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La guerra sino-americana per il primato ipersonico

In 3 sorsiFinora sono quattro i paesi dotati di armi atomiche che stanno investendo in programmi per la realizzazione di un vettore ipersonico: Russia, India, Stati Uniti e Cina. Nella competizione non passa inosservato il testa a testa fra questi ultimi due attori, che potrebbero ottenere il primo modello totalmente funzionante nel prossimo decennio.

1. A CHE PUNTO SIAMO: RICERCA E SPERIMENTAZIONE – Il 22 aprile scorso la Cina ha condotto il settimo test – nell’arco di un anno e mezzo – del vettore DF-ZF. Tracciato da diversi satelliti, il DF-ZF è partito dal centro di lancio di Wuzhai ed ha viaggiato ad una velocità compresa fra 6.400 e 11.200 km/h. La rapidità con cui il programma cinese si sta sviluppando, ha portato gli analisti americani a stimare un possibile perfezionamento del mezzo entro il 2020.
Pochi giorni prima, il 19 Aprile, anche la Russia aveva realizzato un test simile. La sperimentazione russa fa parte del progetto segreto 4202 iniziato (sembra) nel 2009. Il primo lancio è avvenuto nel febbraio 2015. Quello di aprile è stato il secondo test (conosciuto) dello Yu-71 che, montato su un SS-19, è stato lanciato dal centro di Dombarovsky. Tuttavia, non sono stati resi noti la velocità né la distanza coperta.
Al novero dei Paesi interessati a questa nuova tecnologia si aggiunge anche l’India, con il progetto per la costruzione di un Hypersonic Technology Demonstration Vehicle (HSTDV) partito nel 2004 ed affidato alla Defence Research and Development Organisation.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti il discorso è più complesso. Sebbene iniziati prima degli altri, i vari programmi orientati alla costruzione di un vettore ipersonico sembrano aver riscosso minori successi. Secondo i critici, ciò è dovuto alla differenza di dedizione – rispetto, ad esempio, alla Cina – nella sperimentazione. Secondo questi “scontenti”, gli americani avevano un importante vantaggio temporale che non hanno saputo sfruttare.
Negli States, lo sviluppo di veicoli ipersonici rientra nello sforzo nazionale teso ad ottenere una Prompt Global Strike Capability (PGS), ovvero la capacità di colpire qualsiasi parte del globo in circa 60 minuti. La sua teorizzazione risale al periodo immediatamente successivo all’11 settembre, quando il Presidente Bush ritenne che ci fosse bisogno di mezzi estremamente rapidi che permettessero di raggiungere anche le minacce più distanti in tempo molto ridotto. I progetti principali, ancora attivi nell’ambito PGS, sono il Falcon Project; l’Advanced Hypersonic Weapon (AHW) e l’X-51. A fronte di un sostanziale fallimento dei test dei primi due, il programma a stelle e strisce più promettente sembra essere quello dell’X-51 WaveRider, partito nel 2004. Il primo test risale al 2009, quello più recente al 2013. In questo ultimo test, la testata sperimentale costruita dalla Boeing venne lanciata da un razzo Pegasus montato sotto l’ala di un B-52H Stratofortress. L’X-51A venne lanciato da 15000 metri ed accelerò a Mach 4.8 in 26 secondi. A 18.000 metri di altitudine, raggiunse i Mach 5.1. Dopo tre minuti e mezzo di volo esaurì il carburante e, come previsto, precipitò nel Pacifico. Il test raccolse numerosi dati, preziosi per la prosecuzione del programma, costato fino a quel momento circa 300 milioni di dollari e diretto dagli Air Force Research Labs. A oggi si stima che gli Stati Uniti possano riuscire a perfezionare il velivolo entro il 2023.
Lo scorso 1 luglio, Greg Zacharias, scienziato capo dell’aviazione americana, ha rilasciato un’intervista sullo sviluppo del settore ipersonico americano al sito Scout Warrior. “Al momento ci stiamo focalizzando sull’evoluzione della tecnologia, quindi tutti i vari pezzi, i sistemi di guida, di controllo della navigazione, la scienza dei materiali, le munizioni, il trasferimento di calore e questo genere di cose” ha affermato Zacharias. Nella stessa intervista ha anche ipotizzato che gli USA potranno sviluppare droni ipersonici o veicoli ISR (intelligence, surveillance, reconnaissance) con la stessa tecnologia entro gli anni Trenta, portando gli americani a godere di una flotta ipersonica entro gli anni Quaranta.

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Fig. 1 – L’X43A della NASA

CLASSIFICAZIONE E FUNZIONAMENTO DI UN VETTORE IPERSONICO – La classificazione delle velocità in Mach è suddivisa in regimi: Subsonico, Transonico, Supersonico, Ipersonico, Altamente Ipersonico e Velocità di Rientro. La velocità di riferimento, Mach 1, corrisponde alla velocità del suono. Per comprendere la portata di un veicolo ipersonico, in rapporto con gli altri regimi, si possono confrontare le sue prestazioni con altri apparecchi più noti. I mezzi subsonici viaggiano a velocità inferiore a 0,8 Mach e sono quelli per noi più familiari, come gli aerei di linea, che raggiungono gli 800-900 km/h. In ambito militare, fanno parte del regime subsonico alcuni missili moderni come i cruise Tomahawk. Esistono, poi, missili cruise supersonici. Il più veloce è, attualmente, il BrahMos che supera i Mach 2. Per vettore ipersonico si intende un mezzo capace di viaggiare a velocità compresa fra Mach 5 e Mach 10 (6.126 – 12.251 km/h).
Un articolo del The Diplomat riporta il rapporto fra velocità e distanza coperta, per meglio comprendere cosa significhino queste cifre in concreto: «In uno scenario in cui un missile viaggiasse per 1000 km per raggiungere il suo obiettivo, un sistema subsonico (ad 800 km/h) impiegherebbe 75 minuti, mentre un sistema supersonico (2.8 M) impiegherebbe 17 minuti e 38 secondi ed uno ipersonico (a Mach 6) solo 9 minuti e 30 secondi».
Insomma, il tempo di volo da New York a Los Angeles potrebbe passare dalle attuali 5 ore a soli 30 minuti. Secondo Greg Zacharias, il vettore su cui stanno lavorando gli americani potrà volare ad un miglio al secondo.
I mezzi ipersonici finora testati, oltre a fornire importanti vantaggi in termini di velocità, rappresentano un’innovazione anche in termini di traiettoria.
Le testate vengono montate su missili balistici e lanciate ad un’altitudine suborbitale. La testata poi si sgancia dal missile e, grazie ad un sistema di controllo (Reaction Control System – RCS), rientra nell’atmosfera. Successivamente il veicolo, anziché continuare la caduta verso il basso, effettua una manovra di “pull-up” cabrando ed iniziando a planare a velocità ipersonica. L’architettura delle future armi ipersoniche fa sì che esse possano essere definite “armi ad energia cinetica”: per distruggere gli obiettivi, infatti, esse non usano esplosivi ma  contano sulla forza e velocità dell’impatto. Queste caratteristiche permettono, inoltre, di penetrare anche bersagli corazzati. In sintesi, per dirla con Greg Zacharias: “hanno una grande energia cinetica che permette di passare attraverso obiettivi rinforzati. È un trade-off: si sacrifica parte dello spazio di carico delle munizioni per ottenere maggiore energia cinetica. È una semplice questione di velocità e gittata”.
Infine, questi mezzi sono particolarmente agili e volano a una quota troppo bassa per essere individuati dagli intercettori satellitari.

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Fig. 2 – Il volo dell’X43A della NASA

IMPLICAZIONI E PROSPETTIVE – Come accennato, sembra che il confronto fra Cina e Stati Uniti sia abbastanza serrato. Nei mesi scorsi alcuni articoli hanno confrontato i programmi dei due Paesi utilizzando il metro della tecnologia informatica, sostenendo che la (presunta) arretratezza dei sistemi informatici cinesi avrebbe favorito gli americani, all’avanguardia nel settore.
Alcuni analisti statunitensi, tuttavia, avevano comunque espresso preoccupazione per la presunta accelerazione cinese, timorosi di un imminente sorpasso nel campo ipersonico a preludere la perdita definitiva della superiorità strategica statunitense. A placare gli animi, è arrivata l’intervista dello scienziato americano, che ha illustrato il programma a stelle e strisce in modo decisamente positivo.
I vettori ipersonici rappresentano un avanzamento fondamentale perché rimettono in discussione l’efficacia dei sistemi antimissile, su cui sono state versate ingenti risorse umane ed economiche, soprattutto negli Stati Uniti. La questione diventa particolarmente spinosa se si tiene conto che tali mezzi potranno sganciare sia armi convenzionali che atomiche.
Gli attuali sistemi di difesa missilistica sono tarati su tempi e velocità dei missili al momento disponibili e potrebbero non garantire la protezione contro sistemi, due (o più) volte più veloci di quelli ora in uso. La vulnerabilità delle difese missilistiche schierate finora dipende, quindi, da due aspetti: la velocità dei mezzi, che diminuisce il tempo utile alla loro rilevazione da parte degli attuali intercettori; e la bassa altitudine a cui volano, che complica la loro individuazione da parte dei sistemi satellitari. Se a ciò si combina l’abilità di penetrare obiettivi rinforzati, l’agilità e la manovrabilità dei velivoli ipersonici si comprende come gli sforzi utopici finora profusi per “isolare” il proprio territorio, rendendolo un santuario immune alle minacce dal cielo, potrebbero presto essere ulteriormente vanificati.
Il direttore dell’Agenzia di Difesa Missilistica del Pentagono James Syring, in udienza al Senato lo scorso 13 aprile, non ha celato la preoccupazione relativa alla minaccia ipersonica ed ha annunciato un possibile miglioramento del sistema THAAD. Nel bilancio per l’anno 2017 non sono stati stanziati fondi direttamente volti allo sviluppo di sistemi di protezione da armi simili, ma Syring ha annunciato che l’attuale budget prevede un progetto da 23 milioni di dollari per la costruzione di intercettori laser per missili ipersonici. Il test del laser, però, è al momento fissato per il 2021, l’anno successivo al presunto ottenimento del vettore da parte cinese.
Il costante timore di uno squilibrio nello sviluppo di tali mezzi potrebbe, nel lungo periodo, generare una situazione simile a quella degli anni Sessanta, in cui gli Stati Uniti accelerarono freneticamente la corsa agli armamenti per eguagliare le capacità russe, ritenute superiori.
Oltre a portare ad un aumento degli investimenti nel settore della difesa missilistica per tentare di proteggersi dalla nuova minaccia, le testate ipersoniche potranno anche indurre gli stati ad iniziare una nuova corsa agli armamenti. Infatti, se un solo attore internazionale riuscisse a giungere al primato nello sviluppo di tali sistemi in anticipo rispetto agli altri, potrebbe pensare (erroneamente) di avere un enorme vantaggio in termini di first strike capability, mettendo in discussione la “pace” nucleare. Ottenere la difesa assoluta del proprio territorio è un obiettivo irrealizzabile, che spesso ha condotto a sperperare fondi. Sviluppare nuove armi che possano penetrare le difese nemiche è sempre più semplice che creare lo “scudo” perfetto.
Lo sviluppo di una dotazione ipersonica rappresenta un’evoluzione fondamentale per la guerra del futuro. Si spera che questo dovrà tendere verso l’equilibrio, per mantenere lo status quo strategico e stabilire una forma di “deterrenza” anche all’uso di questi dispositivi.

Valentina Bellafante 

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

In pochi anni, Stati Uniti e Cina sono passati da rapporti quasi inesistenti ad una strettissima interdipendenza. Questa relazione è sempre più complessa, e la sfida nel settore ipersonico non fa altro che confermare questa ormai affermata tendenza. Per approfondire la storia delle relazioni fra questi due Paesi si possono leggere:
“Debating China: the US-China relationship in ten conversation” di Nina Hachigian, Oxford Press University (2014) “Tangled Titans: The Unisted States and China” di David Shambaugh, Rowman & Littlefield Publishers (2012). [/box]

 

Foto: NASA on The Commons

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Valentina Bellafante
Valentina Bellafante

Sono nata a Roma nel giugno 1990. Nel marzo 2015 ho conseguito la laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma Tre e successivamente ho frequentato un Master in Relazioni Internazionali e Protezione dei Diritti Umani.
Nel 2015 ho lavorato come analista presso due think tank romani ed ho svolto un tirocinio nell’Ufficio per il disarmo, la non proliferazione ed il controllo degli armamenti del Ministero degli Affari Esteri e della Coperazione Internazionale.
Durante la mia carriera accademica e professionale mi sono specializzata nell’analisi delle politiche e delle strategie connesse alle armi di distruzioni di massa, specialmente a quelle nucleari. Nello stesso ambito mi interesso di questioni missilistiche e dei trattati internazionali su disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti.
Inoltre, mi occupo di protezione dei diritti umani, con particolare riferimento alle ricadute delle leggi anti-terrorismo sulla tutela delle libertà fondamentali ed ai casi di tortura.
Dal giugno 2016 sono Disarmament Fellow presso il Los Alamos Study Group ad Albuquerque, New Mexico (USA).
Ex cantante, avida lettrice, appassionata di viaggi e cruciverba.

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