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La sicurezza degli europei 2016

Miscela Strategica/Eurocaffè – Gli europei di calcio si aprono all’insegna dell’allerta terrorismo. Quanto è grave? Come si prepara la Francia?

LA FRANCIA E IL TERRORISMO – Il terrorismo non è un fenomeno nuovo in Francia, tantomeno a Parigi. Il Paese ricopre da sempre un ruolo di primo piano in Europa e di conseguenza le decisioni politiche che la Francia persegue sia sul fronte interno che all’estero non passano inosservate. I detrattori di un grande Paese non mancano mai, e non è detto che essi siano pacifici. Questo è particolarmente vero per la Francia, che ha sempre preso parte attiva alla vita della comunità internazionale. Da ciò la Francia ha guadagnato prestigio e ricchezza, ma anche nemici, che l’hanno osteggiata con i mezzi a loro disposizione. Il fenomeno del terrorismo non è quindi una novità assoluta e non è stato prerogativa esclusiva degli islamisti. Dal 1958 ad oggi, sono pochi gli anni in cui la Francia non abbia subito attacchi terroristici di qualche tipo ad opera di almeno una dozzina di organizzazioni diverse: dal Front de Libération Nationale (FLN) algerino ai nazionalisti palestinesi, da Hezbollah al GIA (Groupe Islamique Armé) passando per  gruppi nazionalisti armeni, rivoluzionari comunisti ed agenti segreti iraniani. Comprensibilmente, Parigi è la città più colpita, seguita da Marsiglia e Lione, ma cui si aggiungono anche Tolosa, Tolone, Oignies, Saint-Quentin  Fallaver, Montauban, Plévin, Cagnes sur mer, Avignone, Ambazac. Infatti, alcuni dei reparti che proteggeranno i prossimi europei sono stati fondati negli anni Settanta ed Ottanta proprio per far fronte alle minacce alla sicurezza interna. Molte cose sono cambiate, alcune sono rimaste uguali, nel bene e nel male.
Questa premessa non intende certo minimizzare sulla minaccia terroristica con la quale la Francia deve confrontarsi nelle prossime settimane. Tuttavia, è bene mettere nella giusta prospettiva i fenomeni che stiamo vivendo. La rivoluzione della comunicazione rende questi eventi più scioccanti e vicini che mai, ma non più o meno dannosi che in passato per lo Stato francese.

IL DISPOSITIVO FRANCESE – La minaccia attuale è subdola e imprevedibile, efficace e terribilmente economica da organizzare rispetto ai costosi mezzi dispiegati per combatterla. Ciononostante rimane un imperativo morale mitigare il rischio che gli attentati avvengano e intervenire con prontezza per limitare i danni che possono portare una volta in corso. Pertanto la Francia non ha lesinato sulle misure di sicurezza. Si attendono 2,5 milioni di spettatori per la protezione dei quali il dispositivo predisposto dalla Francia è degno di nota: 75.000 uomini delle forze dell’ordine per rafforzare il dispositivo ordinario, cui si aggiungono i circa 10.000 militari dell’operazione interna Sentinelle e 12.000 agenti di sicurezza privata. Quindi, un ottimo deterrente e la garanzia che nei casi peggiori si possa intervenire in forze ed evitare catastrofi. È ben saputo, tuttavia, che la presenza di uomini in armi sulle strade non è automaticamente sinonimo di impenetrabilità delle difese. Ma per convincere la popolazione civile a non temere le misure sono congrue. In eventuali operazioni anti-terrorismo la parte del leone verrebbe però giocata da forze con preparazione superiore ed expertise specifiche:

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[tab_title] GIGN e RAID[/tab_title]
[tab_title] BRI e BI[/tab_title]
[tab_title] BAC e PSIG[/tab_title]
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[tab] Le operazioni speciali anti-terrorismo vengono ripartite tra il GIGN (Groupe d’Intervention de la Gendarmerie Nationale) della Gendarmeria e il RAID (Recherche, Assistance, Intervention, Dissuasion) della polizia, secondo pertinenza territoriale. Il GIGN ha una consistenza di circa 200 operativi e si occupa degli interventi in ambienti extra-urbani ed aeroporti, il RAID ha organici doppi ed è specializzato negli interventi in ambiente urbano e nelle stazioni autobus e ferroviarie. I due reparti sono dislocati a Satory e Bièvres. Queste due unità hanno recentemente assorbito i 7 GIPN (Groupes d’Intervention de la Police Nationale) che operano da Mayotte, Montpellier, Nancy, Nantes, Reims, Toulouse, Tours. In questo modo almeno un nucleo di forze speciali dedicate dovrebbe poter intervenire in  tempo breve in qualunque punto della Francia. I GIPN hanno una lunga storia come unità SWAT (Special Weapons and Tactics) che risale agli anni Settanta. L’accorpamento fa parte del processo di riduzione delle duplicazioni delle competenze. Rimangono autononomi soltanto i 3 GIPN schierati nei territori d’oltremare (Noumea, Pointe-à-Pitre e Réunion).
Chiaramente, in caso di necessità ancora maggiori, si potrà fare affidamento sulle forze speciali delle forze armate.[/tab]
[tab] Le BRI (Brigade de Recherche et d’Intervention) e la BI (Brigade d’Intervention) si incaricano invece dell’intervento rapido. Esistono 16 BRI sul territorio francese, ciascuna con un numero variabile di operativi, 45-70. Quella di Parigi è in corso di ampliamento per arrivare alla consistenza di 120 effettivi. La BI opera invece esclusivamente a Parigi per le necessità particolari della città e dispone di una cinquantina di effettivi. Le BRI e le BI hanno maturato una lunga esperienza nella lotta alla criminalità organizzata, in particolare nel contrasto alle gang armate e nelle operazioni complesse contro organizzazioni articolate. L’equipaggiamento di cui dispongono rende queste unità di grande utilità per il contrasto ad un eventuale attacco terroristico in corso. Infatti, queste unità dispongono di mezzi blindati ed equipaggiamento più pesante delle normali pattuglie della polizia ed addestramento superiore nel contrasto di gruppi pesantemente armati. Possono pertanto arginare un attacco terroristico, mettere in sicurezza l’area operazioni in attesa dell’intervento di GIGN o RAID oppure affiancarle in operazioni che richiedono numeri più consistenti del nucleo forze speciali (ad es. : swarming).[/tab]
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Le BAC (Brigade Anti-Criminalité) e i PSIG (Pelotons de Surveillance et d’Intervention de la Gendarmerie) sono unità pensate per il contrasto alla criminalità ordinaria. I loro operativi svolgono missioni di pattugliamento, sorveglianza e raccolta informazioni (a volte in borghese) ma prendono parte alle operazioni complesse se necessario. Nell’impiego ordinario possono operare anche come normali pattuglie, ma nella funzione anti-terrorismo completano il dispositivo di sorveglianza con gli uomini sul terreno e provvedono la cosiddetta HUMINT (HUMan INTelligence) al dispositivo di prevenzione e reazione. E’ loro compito attivare la catena di comando per l’intervento rapido e speciale, facilitando per quanto possibile l’intervento della BRI di competenza e/o delle forze speciali. Furono proprio le pattuglie della BAC 75N di Parigi ad intervenire per prime durante i fatti del Bataclan. Nonostante non fossero le unità più adatte, senza di loro il bilancio del 13 novembre sarebbe stato più pesante. Fu proprio un ispettore della BAC 75N ad uccidere uno dei terroristi del Bataclan.

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LA PREVENZIONE − Se si arriva all’impiego delle forze predisposte, vuol dire che qualcosa non ha funzionato a monte, specialmente nell’intelligence. Da una parte, anche il miglior lavoro di informazione e prevenzione svolto non immunizza del tutto  dal rischio di attacchi, soprattutto per la natura e le caratteristiche di quelli jihadisti. Dall’altra, i servizi di intelligenze non hanno mancato di evidenziare la propria inadeguatezza al contrasto efficace della minaccia. Insomma, la minaccia resta imprevedibile ma spesso non è stato fatto quanto nelle possibilità. Per quanto riguarda la Francia, ci sono due ordini di criticità: le cricche degli apparati nazionali e le inadeguatezze strutturali che accomunano tutti i servizi d’intelligence in Europa.
Sul piano nazionale si riscontrano due problemi principali. Il primo, evidenziato dopo i fatti di Parigi, è il sistema di schedatura del FPR (Fichier des Personnes Recherchées), il principale strumento di catalogazione dei soggetti degni di nota da parte delle forze di sicurezza (persone scomparse, criminali, persone non gradite, terroristi, evasi, ecc.). Il registro, attivo dal 1969, conterebbe oggi 400.000 voci, di cui circa 11.000 sarebbero popolate da persone sotto osservazione per possibili connessioni con ambienti jihadisti (vi sono sospettati, foreign fighters, imam radicalizzati, ecc.). Eppure l’UCLAT (Unité de Coordination de la Lutte Anti-Terroriste) fatica ad identificare i soggetti più pericolosi o a mettere insieme le informazioni perché l’attribuzione delle varie categorie è datata e non più adeguata a provvedere una mappa accurata degli individui che rappresentano una minaccia per il Paese. Dal momento che il sistema di classificazione è usato anche a livello internazionale, riformarlo non è semplice né veloce, perché va ridiscussa la nomenclatura e le peculiarità di ciascuna categoria sia in Francia che tra i Paesi alleati, compreso il tempo di permanenza di un soggetto in una o nell’altra a seconda della sua attività. Il secondo problema si aggiunge al primo e lo aggrava. Si tratta della competizione tra la DGSI (Direction Générale de la Sécurité Interieure) e la DGSE (Direction Générale de la Sécurité Extérieure) sul tema terrorismo che porta le due DG a parlarsi meno di quello che dovrebbero. Informazioni e indagini che dovrebbero essere complementari diventano parallele e concorrenti e vanno ad alimentare ambizioni particolari o richieste di fondi a scapito del servizio concorrente. Si creano così delle zone d’ombra nelle quali, spesso per caso fortuito, le cellule terroristiche riescono a passare inosservate. Dopo il 13 novembre 2015 questi problemi sono stati eviscerati e la Francia sta lavorando per risolverli, ma in pochi mesi non si possono fare miracoli. Sicuramente la doccia fredda del Bataclan ha dato una scossa ai dirigenti, tuttavia questa cricca è difficile da riparare, vedremo nel corso degli europei come le DG si comporteranno.
Il problema dell’inadeguatezza strutturale dei servizi d’intelligence odierni ad essere efficaci riguarda invece la cultura interna ed i metodi. Come abbiamo già evidenziato parlando degli attentati di Bruxelles, i servizi di intelligence fanno ampio affidamento sulla raccolta di big data e comunicazioni con mezzi molto sofisticati e costosi. La quantità enorme di informazione di cui si dispone rispetto al passato è sembrata per anni una manna dal cielo. Invece, si è dimenticato che l’accumulo di dati ha senso solo se processato da analisti che ne ricavano la cosiddetta “informazione utile”, che è quella che serve ad indicare, nella massa di dati, in che direzione guardare. Gli alti ufficiali di DGSI e DGSE hanno ammesso che negli ultimi anni hanno speso risorse ingenti per nuovi mezzi informatici ed elettronici ed hanno assunto un gran numero di tecnici ed ingegneri piuttosto che operatori e analisti. Come risultato, i terroristi che hanno colpito l’Europa in questi mesi erano “conosciuti” ai database ma non agli investigatori, perché i dati in sé sono poco utili se non contestualizzati. Paradossalmente, pagare il classico informatore che però ha piena percezione del proprio ambiente di riferimento sarebbe costato infinitamente meno e avrebbe aumentato le possibilità di successo. Sia i belgi che i francesi hanno accusato la mancanza di una percezione diretta che non sia legata esclusivamente ad ammassi di dati da spulciare. Un po’ di lavoro sul campo in più e un processo di analisi delle informazioni che dia direzioni più chiare da seguire aiuterebbe a ridurre il rischio di fallimenti. In questi mesi, il Governo francese ha iniziato un cambio di direzione in tal senso e sta cercando di correre ai ripari con serietà. Tuttavia, il nuovo personale è in piena fase di formazione e le nuove metodologie allo studio. Pertanto, la prontezza di Parigi per gli europei, dal punto di vista della prevenzione, non è molto superiore a quella di novembre. Ciò che cambia è la coscienza di quali siano i gap da colmare e quindi la pianificazione ex ante di misure che compensino le lacune evidenziate con la grande reattività del sistema di sicurezza al fine di mitigare per quanto possibile il rischio.

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NOI, I PRIMI ANTICORPI − Molte le inadeguatezze che, unite all’oggettiva imprevedibilità della minaccia, hanno favorito (ma non causato, sia chiaro!) gli attentati in Europa in questi mesi. Tuttavia, la società civile ha fallito nel rappresentare l’ultimo anello di difesa contro il terrorismo. Non ha quindi diritto di puntare il dito verso coloro che rappresentano gli anelli più esterni della difesa dalle minacce interne ed esterne. Una provocazione: il bilancio del Bataclan è stato così drammatico perché, in effetti, i 1.500 spettatori si sono trovati in schiacciante inferiorità numerica, circondati da tre guerrieri, mentre tra loro non ce n’era nessuno. Nessuno chiede una società in armi,  né contesta la più che motivata paura di chi si trova in una situazione così grave, beninteso. Però bisogna avere il coraggio di leggere anche questo elemento. In 70 anni di pace la nostra società si è adagiata sugli allori, pensando che fosse scontata e non un valore da difendere. Al contrario, spesso vituperando l’operato di coloro − servizi, diplomatici, forze armate, ecc. − che con il loro lavoro quotidiano permettono una tale spensieratezza sul tema della guerra, di qualunque natura essa sia. Di conseguenza, la nostra società attuale è inerme e impaurita, troppo occupata a combattere battaglie in punta di lingua o di blog per rendersi conto che ogni tanto ciascuno è chiamato al suo piccolo contributo reale per un bene collettivo superiore. Ecco che si diventa estremamente deboli, vulnerabili, spaventati, si chiede sicurezza ad improbabili agitatori di piazza ma non si riconosce che la propria paura viene dalla debolezza di chi si preoccupa solo del proprio orticello e non di che mondo lascerà ai propri figli. Insegneremo loro la paura, il terrore, l’impotenza oppure spiegheremo loro che la loro libertà va guadagnata con scelte difficili e, se non bastasse, con il proprio sacrificio? Da questo punto di vista, speriamo che tutto vada bene e che quanto predisposto dalla Francia sia sufficiente a garantire il sereno svolgimento degli europei. Perché, se qualcosa andasse storto, la società civile è più impaurita e meno preparata di sei mesi fa, al contrario delle forze di sicurezza, a rappresentare l’ultimo anello di difesa.

Marco Giulio Barone

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

Per chi volesse approfondire, suggeriamo questa interessante prospettiva che Rosa Brooks propone su Foreign Policy: The Threat Is Already Inside – And nine thruths about terrorism that nobody wants to hear

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Foto: Lyon says Hello

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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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