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Hillary Clinton conquista la nomination

Caffè Americano – L’ultimo Super Martedì delle primarie americane si è concluso. Questi i risultati. Il candidato in pectore del partito repubblicano, Donald Trump, ormai senza piĂą rivali, vince in tutti gli Stati. Per i democratici, Bernie Sanders conquista Montana e North Dakota. Hillary Clinton vince invece in South Dakota, New Mexico e New Jersey. In California lo spoglio è ancora in corso ma si preannuncia una netta affermazione dell’ex first lady.

HILLARY VINCE LA NOMINATION –  Con questa serie di vittorie, Hillary Clinton blinda matematicamente la nomination democratica. Già ieri l’Associated Press aveva annunciato il raggiungimento del quorum di delegati necessari per l’ex first lady, sebbene si trattasse di una dichiarazione non propriamente esatta, visto che conteggiava anche i superdelegati (i quali possono teoricamente cambiare schieramento sino alla convention). Dopo i risultati di stanotte, Hillary non è più battibile in termini matematici. L’ex segretario di Stato ha celebrato l’evento, ricordando di essere la prima donna a correre per la Casa Bianca in rappresentanza di uno dei partiti maggiori. In particolare, con l’affermazione abbastanza netta in California, Hillary dovrebbe ormai essersi messa al sicuro da ogni possibile sgambetto da parte di quelle aree dell’establishment democratico che ipotizzavano di silurarla, in quanto candidata debole, e sostituirla con qualche altro big come ad esempio Joe Biden o John Kerry. E l’incognita a questo punto torna ad essere Bernie Sanders.

IL DESTINO DI BERNIE – Nonostante, come detto, la matematica dei delegati gli sia ormai definitivamente sfavorevole, non è esattamente chiaro che cosa adesso abbia intenzione di fare il senatore del Vermont. Tanto più che i segnali che manda sembrano tutti lasciare a intendere una sua lotta a oltranza. Parrebbe infatti che Sanders sia intenzionato a portare le sue (cospicue) truppe alla convention di Philadelphia a luglio, non volendone sapere al momento di arrendersi e fare un passo indietro. Anche per questo circola una certa agitazione tra lo staff dei Clinton e sembrerebbe che lo stesso Barack Obama stia scendendo in campo per cercare di dissuadere il candidato socialista dal proseguire la sua corsa. I due dovrebbero incontrarsi a breve e il presidente starebbe cercando di incanalare il movimento sandersiano nelle file del partito democratico.

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Fig. 1 – Sanders si è ormai calato nella parte del “die hard”

Il punto è che tuttavia non è chiaro quale sarà la strategia di Bernie, nel caso decidesse veramente di non mollare. Che senso potrebbe avere infatti presentarsi battagliero a Philadelphia senza i delegati necessari? In realtà un senso potrebbe esserci. Con tutta probabilità, il senatore del Vermont teme che una sua eventuale uscita di scena possa ridurre al silenzio il popoloso elettorato che lo ha seguito in questi lunghi mesi. Soprattutto alla luce del fatto che – notoriamente – in sede di general election i candidati (di qualunque partito) si rivolgono maggiormente agli elettori centristi. In tal senso, Sanders non ha intenzione di dilapidare l’ingente patrimonio elettorale rastrellato da febbraio. Un patrimonio elettorale molto fidelizzato che in buona parte potrebbe astenersi in sede di elezioni novembrine nel caso Bernie non corresse. A questo punto, le ragioni di una sua battaglia a Philadelphia potrebbero essere molteplici. Innanzitutto, come obiettivo minimo, non potrebbe che esserci quello di intervenire incisivamente nella stesura del programma elettorale (la cosiddetta Platform). Una pretesa cui – tuttavia – Hillary potrebbe non cedere, forte di un sostegno maggiore da parte dei delegati. Più difficile che Sanders cerchi incarichi di governo: e non tanto per idealismo quanto perché, pragmaticamente, è fatto noto come il suo elettorato risulti smaccatamente anti-clintoniano. Ragion per cui, qualora il senatore accettasse un qualche contentino dalla sua acerrima rivale, finirebbe bersaglio di non poche polemiche. E siamo quindi al punto nodale della questione. Proprio in forza della partecipazione “in armi” alla convention, non è assolutamente escludibile che il fine di Sanders sia in realtà quello di una scissione che lo porti a correre da indipendente. L’establishment democratico lo sa e anche il presidente Obama non ignora certo questo pericolo. Tanto più che Sanders godrebbe non solo – come visto – di un elettorato fedele ma anche dell’alto tasso di sfavore che i sondaggi attribuiscono oggi tanto a Hillary quanto a Trump. E se oggettivamente un nuovo partito a sinistra non avrebbe grandi possibilità di arrivare alla Casa Bianca, è altrettanto indubbio che potrebbe rivelarsi elettoralmente letale per una Clinton la cui massima debolezza è sempre stata quella di non riuscire a federare i voti dei radicali con quelli dei moderati.

E TRUMP? – Senza più rivali, il candidato in pectore del partito repubblicano vince in tutti gli Stati in cui si votava, superando quasi ovunque il 70% delle preferenze. Blindata da tempo la nomination, il fulvo magnate non sembra avere neppure eccessivi problemi con la fronda dei repubblicani ribelli: da settimane i suoi dichiarati nemici (soprattutto il giornalista neocon Bill Kristol) annunciano la creazione di un terzo partito a destra ma al momento questa velleità non sembra aver prodotto granché. Nei giorni scorsi, era uscito il nome dell’avvocato conservatore David French, come nuovo candidato anti-Trump alla Casa Bianca: ipotesi durata pochissimo, visto che nel giro di qualche giorno lo stesso French ha annunciato non sarebbe sceso in campo.

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Fig. 2 – Trump sempre piĂą lanciato verso la nomination

Il problema maggiore sembra per Trump venire al momento semmai dall’interno del suo stesso partito. Nonostante la maggioranza del GOP appaia oggi assai meno riottosa verso di lui rispetto a un mese fa, è altrettanto indubbio che vi siano due campanelli d’allarme. Da una parte, chi continua a remargli contro dall’interno. Dall’altra, gli imbarazzi e i malumori che serpeggiano a causa delle sue sparate (tanto che lo Speaker della Camera, Paul Ryan, ha dovuto biasimarlo pubblicamente, nonostante il suo endorsement). Con la vittoria di Hillary a sinistra, il miliardario newyorchese deve adesso tenere il partito compatto, soprattutto in vista della convention di Cleveland, evitando quanto più possibile eventuali sgambetti ma anche di prestare il fianco a critiche di sorta. Il tutto mentre si attende il nome del suo running mate: fondamentale, per cercare di tenere unito un partito, evidentemente scosso da troppe fibrillazioni.

Stefano Graziosi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

La prima convention sarà quella repubblicana a Cleveland (Ohio) tra il 18 e il 21 luglio. [/box]

Foto: SEIU International

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Stefano Graziosi
Stefano Graziosi

Nato a Roma nel 1990, mi sono laureato in Filosofia politica con una tesi sul pensiero di Leo Strauss. Collaboro con varie testate, occupandomi prevalentemente di politica americana. In particolare, studio le articolazioni ideologiche in seno al Partito Repubblicano statunitense.

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