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Bernie Sanders continua a combattere

Caffè Americano – La tornata elettorale del 17 maggio si è conclusa. Questi i risultati. Per i repubblicani, Donald Trump, ormai senza piĂą avversari, vince in Oregon con il 67% delle preferenze. Ben piĂą confusa la situazione tra i democratici. Bernie Sanders vince in Oregon con il 54,5% contro una Hillary Clinton ferma al 45%. In Kentucky, l’ex first lady è in vantaggio con il 46,8%, tallonata da Sanders al 46,3%: uno scarto esiguo che impedisce al momento l’attribuzione dello Stato (too close to call).

BERNIE VA AVANTI – Allarme rosso per Hillary Clinton. Mentre il partito repubblicano, pur tra mille difficoltà, sembra riuscito a trovare il proprio candidato nella figura di Donald Trump, l’ex first lady arranca faticosamente e appare sempre più azzoppata dal rivale Bernie Sanders. E il problema non è tanto di natura numerica: grazie al cospicuo appoggio dei superdelegati (che non sono conquistati sul campo ma essenzialmente dipendenti dalle scelte  dell’establishment partitico), Hillary si trova ancora in una condizione di vantaggio: un vantaggio in ultima analisi difficilmente contrastabile, anche in forza del fatto che il partito democratico utilizzi sempre un metodo di attribuzione proporzionale, tendente quindi a ripartire i delegati in modo generalmente equo, fatto salvo il caso di trionfi schiaccianti che assai raramente quest’anno si sono verificati.
No: il problema di Hillary è tutto politico e chiama direttamente in causa la sua incapacità di compattare un partito che teoricamente avrebbe dovuto seguirla quasi a occhi chiusi, vista la sua notorietà e il suo potere economico. Qualcosa che – come durante le primarie del 2008 – non si è verificato. Dopo la sua vittoria a New York il 19 aprile scorso, sembrava che la strada per l’ex segretario di Stato fosse tutta in discesa. Così non è stato. E gli stessi risultati di stanotte lo dimostrano. Non solo (e non tanto) la pur importante vittoria di Sanders in Oregon, quanto – semmai – la situazione in Kentucky: una situazione che fotografa efficacemente l’attuale confusione regnante in seno al partito dell’asinello e che potrebbe presentare delle ripercussioni nocive nella corsa per la Casa Bianca.

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Fig. 1 – “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”: il famoso detto sembra valere anche per Hillary

SCENARI DEMOCRATICI – Se Bernie Sanders continuerà a vincere nei prossimi appuntamenti elettorali, non è escluso possa ottenere un buon risultato a giugno in California. In quel caso, potrebbero aprirsi degli scenari abbastanza inquietanti per l’ex first lady. Innanzitutto, se è difficile che il senatore del Vermont sarà in grado di raggiungere e superare Hillary in termini di delegati, non è escludibile possa comunque impedirle di conquistare il quorum necessario per ottenere la nomination: un’ipotesi che aprirebbe alla possibilità di una brokered convention e che potrebbe rivelarsi fatale a una ex first lady mai amata e alla fin fine abbastanza invisa anche a parte del suo stesso establishment. Soprattutto dopo gli ultimi sondaggi, sempre più mal di pancia circolano all’interno dell’asinello: sono molti coloro che vedono in Hillary una candidata debole che – forse – sarebbe meglio rimpiazzare. Una seconda possibilità è quella che eventuali nuove vittorie di Bernie Sanders (soprattutto qualora il senatore vincesse in California), possano spingere i superdelegati ad appoggiarlo. In questo caso, la situazione potrebbe capovolgersi, esattamente come accadde con Barack Obama nel 2008: si tratta comunque di una ipotesi improbabile, vista la figura eretica di Sanders all’interno dell’asinello.
Un terzo scenario è che il socialista decida di arrendersi, accettando di fare campagna per la sua attuale rivale: un’altra ipotesi inverosimile, vista la carica anti-clintoniana del suo messaggio e il fatto stesso che il suo elettorato non abbia mai digerito l’ex first lady. Infine, la quarta opzione: Sanders potrebbe correre da indipendente. Si tratta più di una semplice ipotesi, dal momento che l’elettorato del senatore risulta molto ideologizzato e tendenzialmente restio ad appoggiare altri candidati (una recente rilevazione ha mostrato come – in caso di sua assenza dalla corsa novembrina – due terzi dei suoi elettori si asterrebbero mentre un terzo potrebbe addirittura votare un anti-sistema come Trump). Qualora ciò accadesse,  Hillary Clinton si vedrebbe precluso l’accesso alla sinistra del partito e si troverebbe necessitata a puntare esclusivamente sul voto moderato. Ma una simile ipotesi poggia sulla premessa che solo l’ex first lady possa presentarsi come candidata centrista: premessa tutta da dimostrare. In primo luogo, perché non si capisce ancora come voglia impostare Trump la sua strategia elettorale per novembre. In secondo luogo, perché a destra potrebbe spuntare un nuovo partito tendente al centro.

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Fig. 2 – Bernie ha in serbo qualche bell’asso nella manica..

TRUMP E I REPUBBLICANI – Blindata ormai matematicamente la nomination, il candidato repubblicano in pectore si trova a dover fare i conti con un partito spaccato che deve urgentemente coagulare attorno a sĂ© entro la convention di luglio. Diversi esponenti dell’establishment (come Rudy Giuliani, Dick Cheney, Chris Christie e Newt Gingrich) lo appoggiano apertamente e stanno cercando di ricucire gli strappa interni al GOP. Altri, come la famiglia Bush, non vogliono saperne di sostenere il magnate. Altri ancora, come Mitt Romney, accarezzano addirittura l’idea di creare un terzo partito a destra, che incarni i “veri” valori repubblicani contro il populismo dilagante. Trump lo sa e per questo si sta muovendo su due linee complementari. Innanzitutto sta cercando di ottenere l’endorsement dello Speaker della Camera, Paul Ryan: si tratterebbe infatti di un riconoscimento istituzionale di alto livello che depotenzierebbe notevolmente gli intenti ribelli di Romney. Dall’altra parte, occhi puntati su chi Trump sceglierĂ  come candidato alla vicepresidenza: la scelta del proprio running mate dirĂ  molto sul tipo di strategia che il miliardario adotterĂ  per la campagna elettorale di novembre. E sulla sua effettiva capacitĂ  di compattare un partito al momento piĂą diviso che mai.

Stefano Graziosi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Il 7 giugno si terranno le fondamentali primarie della California. [/box]

Foto: origamidon

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Stefano Graziosi
Stefano Graziosi

Nato a Roma nel 1990, mi sono laureato in Filosofia politica con una tesi sul pensiero di Leo Strauss. Collaboro con varie testate, occupandomi prevalentemente di politica americana. In particolare, studio le articolazioni ideologiche in seno al Partito Repubblicano statunitense.

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