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Hillary Clinton non piace alle donne?

A mancare è solo la matematica: Hillary Clinton sarà la candidata del partito democratico alle elezioni presidenziali USA del prossimo novembre. E potrebbe essere la prima donna della storia a guidare la Casa Bianca. Il voto femminile, però, non è un asset consolidato nel suo capitale elettorale. Perché Hillary Clinton non scalda il cuore delle donne americane, soprattutto le più giovani?

UN VOTO DIFFICILE DA CONQUISTARE: QUELLO FEMMINILE – La vittoria in quattro dei cinque Stati in cui si è svolta l’ultima tornata di primarie lo scorso 26 aprile e, una settimana prima, il trionfo a New York hanno attribuito a Hillary Clinton un margine di vantaggio decisivo sullo sfidante, Bernie Sanders. Uno dei dati che destano maggiore attenzione nella vittoria newyorchese di Clinton è la riconquista del voto femminile: secondo gli exit poll raccolti da Edison Research per il New York Times il 63% delle donne ha infatti votato per l’ex Segretario di Stato, contro il 37% che ha optato per Sanders. Nel corso delle primarie, però, non è andata sempre così.
Esemplificativi, a tal proposito, sono i risultati delle consultazioni in New Hampshire, che Sanders si è aggiudicato con il 60% dei voti. Qui il settantaquattrenne senatore del Vermont ha raccolto il 55% delle preferenze femminili e l’83% di quelle al di sotto dei 30 anni. Stessi numeri in Iowa, dove Sanders ha incassato i consensi dell’84% delle più giovani.
Questa tendenza si è rivelata una costante nella corsa alla nomination democratica, segno che, evidentemente, le liberal americane nate dopo il 1980 preferiscono la radicale promessa di cambiamento sociale proposta da Sanders al razionale, pro-establishment pragmatismo clintoniano. Unica eccezione: il voto delle afroamericane, che a tutte le età e in maniera piuttosto omogenea all’interno del Paese continuano a manifestare il proprio consenso per i Clinton dai tempi della presidenza di Bill.

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Fig. 1 – La convention democratica in New Hampshire nel settembre 2015

SCONTRO GENERAZIONALE – Un primo aspetto da considerare è che, per motivi anagrafici, la generazione delle millennial considera acquisiti molti diritti che negli scorsi decenni sono stati vissuti da nonne e madri prima come obiettivi di lotta, e poi come traguardi conquistati. Tra le giovani, insomma, sembrerebbe mancare il senso di urgenza a serrare i ranghi per raggiungere un nuovo obiettivo di genere. Preferiscono, per il momento, concentrarsi sul candidato che propone soluzioni per quelli che sembrano i problemi più imminenti.
Questa posizione non sembra essere invece condivisa da molte femministe della vecchia guardia, come Gloria Steinem, che ha insinuato che le giovani che supportano Bernie Sanders lo facciano solo per poter incontrare i coetanei maschi ai raduni. A rincarare la dose è stata poco dopo l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, che durante un comizio per Hillary Clinton ha dichiarato (e presto smentito) che «c’è un posto speciale all’inferno per le donne che non si supportano a vicenda». Non a caso, sempre guardando agli exit-poll del New Hampshire, Clinton risulta in vantaggio di 9 punti percentuali su Sanders tra le donne over 65.
Tra le femministe americane, in altre parole, pare essersi aperta una specie di faglia generazionale. Man mano che la società ha fatto passi avanti in materia di gender equality, il focus si è spostato dal concetto di genere a quello di privilegio. Oggi le giovani liberal statunitensi sentono di vivere in un mondo “post-gender nel quale vale la pena battersi per quelle nicchie di emarginazione che sono rappresentate dai poveri, dagli afroamericani, dalla comunità LGBT. O affinché lo Stato garantisca supporto alle madri single o ai giovani che non possono permettersi di pagare le tasse universitarie. Un recente studio del Pew Research Center ha rilevato come la generazione dei millennial – tra i dieci trend demografici che stanno cambiando il Paese, – risulti la più istruita di sempre e, quindi, quella che maggiormente risente del peso delle tasse universitarie.
Le giovani democratiche vogliono quindi votare il candidato che si propone di risolvere questi problemi. Anche se la maggior parte non vede l’ora di portare una donna alla Casa Bianca, al tempo stesso considerano offensivo il fatto che si possa pensare che siano spinte a votare per un candidato solo perché appartiene al loro stesso sesso. Nulla di male, quindi, se per l’attuale tornata elettorale il candidato giusto è un uomo settantaquattrenne. Aspetteranno il 2020 o il 2024 per una donna.
Il fatto, anzi, che Clinton appartenga all’establishment politico di Washington, nonché all’élite privilegiata dei bianchi benestanti, rappresenta per queste giovani liberal un fattore di freno decisivo dal concederle il proprio voto. Molte, inoltre, la vedono come una donna che ha guadagnato potere grazie alla carriera politica del marito.
D’altra parte è vero che, dai risultati delle primarie tenutesi sin qui, Clinton sembra comunque piacere più alle donne che agli uomini, sia nei casi di vittoria, sia in quelli di sconfitta. Nello stesso New Hampshire, per esempio, il voto femminile è stato maggiore rispetto a quello maschile di dodici punti percentuali. Segno, questo, che il problema dell’ex First Lady con l’elettorato americano, ben più generale e preoccupante delle prospettive delle millennial, riguarda il gradimento e l’affidabilità.

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Fig. 2 – Hillary Clinton al Women in the World Summit di New York del 2015

UN NUOVO ATTORE ELETTORALE: LE SINGLE – L’analisi della composizione dell’elettorato di Hillary Clinton consente di mettere in luce un cambiamento cruciale che sta avvenendo all’interno della società USA: dal 2009 la percentuale di donne sposate è scesa al di sotto del 50%. Ora le single rappresentano più di un quarto dell’intero elettorato. Questa dinamica – che ha influito sull’esito delle elezioni del 2012, quando il 67% delle nubili ha sostenuto la candidatura di Barack Obama – finirà inevitabilmente per pesare anche sui risultati del 2016. Le single tendono infatti a collocarsi su posizioni politiche più assistenzialistiche perché, sia come madri, sia come lavoratrici, sono tutti i giorni alle prese con problemi come l’accesso all’assistenza sanitaria e agli asili nido, il congedo parentale retribuito, l’abbassamento delle tasse universitarie o l’ineguaglianza salariale. E vivendo al di fuori dell’istituzione su cui sono imperniati i sistemi sociali, ossia il matrimonio, le nubili si rivolgono proprio allo Stato, e dunque al Governo, per pretendere delle risposte.

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Fig. 3 – Hillary Clinton e Bernie Sanders durante il dibattito di New York

VERSO IL DUELLO PER LA CASA BIANCA: DONNE AL CENTRO DELL’ARENA POLITICA – Uno dei cardini del programma elettorale di Hillary Clinton è proprio la lotta per l’affermazione dei diritti delle donne e delle pari opportunità. Tra le battaglie promesse dall’ex First Lady figurano infatti la parità salariale, il congedo parentale retribuito e l’accesso agli asili.
Alla vigilia del voto a New York Hillary Clinton ha fatto appello al voto femminile, invocando la libertà di scelta su questioni come l’aborto o la procreazione. E ha dichiarato che le “questioni femminili” coincidono perfettamente con i temi principali di queste elezioni.
Ora che le primarie stanno lentamente volgendo al termine, la vera domanda da porsi è: nel caso, sempre più probabile, in cui Hillary Clinton sia la candidata democratica nel testa a testa presidenziale di novembre, come voteranno le millennial che fino a questo momento hanno sostenuto Sanders? La risposta più plausibile è che, come il senatore del Vermont accetterà di remare insieme all’aspirante futura amministrazione Clinton cercando di deviarne leggermente la rotta verso sinistra, così faranno anche i suoi sostenitori. A maggior ragione se il candidato repubblicano dovesse essere Donald Trump, che con le sue note uscite sessiste non ha nemmeno provato a riscaldare i cuori delle elettrici.
All’indomani della vittoria nell’ultima tornata di primarie, Trump ha addirittura accusato Hillary Clinton di «giocare la carta delle donne» e di non avere altre armi nel fodero. «E la cosa più sorprendente, – ha rincarato – è che non piace nemmeno alle donne». Per tutta risposta Clinton ha ribattuto che «se lottare per la salute delle donne, per il congedo parentale e l’uguaglianza dei salari significa ‘giocare la carta delle donne’, bene, consideratemi pure inclusa». La corsa alla Casa Bianca, insomma, si preannuncia rovente.

Federica Casarsa

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Hillary Clinton ha tutte le carte in regola per presentarsi come un’icona femminista. È non soltanto la prima donna nella storia ad avvicinarsi così tanto alla carica più potente della Terra: è stata anche la prima First Lady ad avere un ufficio nella West Wing. Clinton ha fatto della lotta per i diritti delle donne uno dei perni della propria carriera politica, dal lavoro al Children’s Defense Fund mentre frequentava Yale, al discorso alla Quarta conferenza mondiale sulle donne di Pechino del 1995, in cui da First Lady ha affermato che i diritti delle donne sono diritti umani. E l’impegno non è venuto meno durante il mandato come Segretario di Stato, quando ha istituito la carica di ambasciatore straordinario per le questioni femminili globali, ricoperta per prima da Melanne Verveer. [/box]

Foto: UN Women Gallery

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Federica Casarsa
Federica Casarsa

Mi sono laureata in Politiche Europee e Internazionali all’Università Cattolica di Milano con una tesi sulla guerra civile siriana. Dopo un master in Informazione Multimediale e Giornalismo Economico presso la Business School de “Il Sole 24 Ore” ho maturato alcune esperienze nel settore della comunicazione economico-finanziaria. Tra i miei interessi il Medio Oriente, la politica Usa e la cultura britannica.

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