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Repubblicani: la rivolta dell’establishment contro Trump

Caffè Americano – In occasione dell’undicesimo dibattito del GOP è ormai evidente come l’intero establishment repubblicano si stia ribellando contro Trump e stia cercando in tutti i modi di ostacolare la sua corsa presidenziale. Un tentativo che, alla luce della parziale rimonta di Cruz, sembra riuscire a dare qualche frutto. 

IL PARTITO CONTRO TRUMP – Non molti avrebbero pensato che Trump sarebbe arrivato fino a questo punto. E invece eccolo qui, in testa alle primarie del “GOP”, unito contro il tycoon. L’establishment repubblicano, infatti, si è dichiarato pronto a opporsi con qualsiasi mezzo alla corsa del magnate newyorkese verso la Casa Bianca. GiĂ  da qualche tempo, uno dei piĂą agguerriti critici di Trump è stato Mitt Romney, candidato alla presidenza USA nel 2012. Dopo aver accusato Trump di non essere in regola con il fisco, ha continuato: «Trump è un imbroglione. Se lo eleggiamo Presidente, mettiamo a rischio la sicurezza del Paese». In un discorso nello Utah, Romney ha attaccato Trump andando sul personale e criticando quasi ogni ambito della sua vita e carriera: dal suo carattere all’andamento dei suoi affari, alle sue idee sulla politica estera, alle sue proposte per quanto riguarda il problema immigrazione. Il suo intervento alla University of Utah, a Salt Lake City, è stato interpretato come una prova generale per la sua candidatura nel caso in cui Trump diventasse davvero inarrestabile. Tra i partecipanti alla fazione anti Trump troviamo anche i neocon e molti esperti di politica estera, i quali, con una lettera di condanna, hanno rilevato la poca esperienza del magnate nelle relazioni internazionali e la pericolositĂ  dei suoi piani futuri. Tra loro c’erano anche l’ex ministro degli Interni Michael Chertoff e l’ex consigliere della Casa Bianca su terrorismo e sicurezza Frances Townsend, entrambi in carica durante l’amministrazione G.W. Bush. Tra i repubblicani che partecipano alla lotta interna contro Trump si trovano anche Max Boot (autore e storico militare), il quale ha sostenuto che voterĂ  per Hillary se Trump vincerĂ  le primarie, e Bill Kristol (giornalista e analista politico). Anche John McCain, ex candidato alla presidenza, si è unito al coro, prevedendo un futuro nero per l’economia nel caso in cui nello Studio Ovale si trovasse il magnate. Nel frattempo, in Florida, si stanno mobilitando imprenditori, manager e semplici cittadini per scagliare un’offensiva pubblicitaria e aiutare l’establishment repubblicano nell’opposizione a Trump.

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Fig. 1 – BasterĂ  ai Repubblicani “riesumare” Mitt Romney per bloccare la marcia di Trump?

IL DIBATTITO – La prova della rivolta del GOP contro Trump l’abbiamo avuta durante il dibattito a Detroit, trasmesso dalla Fox il 3 marzo. Sul palco la strategia per affondare Trump è continuata. Cruz ha accusato il magnate di aver finanziato la campagna elettorale della Clinton in occasione delle elezioni del 2008, di non essere abbastanza conservatore (in passato Trump aveva sostenuto il diritto di scelta della donna sull’aborto) e ha tirato in ballo il New York Times. Secondo indiscrezioni, il magnate avrebbe detto alla testata giornalistica, durante un’intervista privata, che non intende portare a termine i piani da lui annunciati per contrastare l’immigrazione irregolare. Nonostante il rifiuto delle accuse, Trump non ha manifestato nessuna intenzione di rendere pubblica la registrazione dell’intervista. Rubio invece ha attaccato Trump sulla politica estera, dicendo che il suo approccio è troppo superficiale. Inoltre, il senatore della Florida, ha manifestato la paura di consegnare il partito di grandi presidenti come Lincoln e Reagan un non conservatore come il tycoon. Trump è stato attaccato anche per la produzione all’estero di una sua linea di abbigliamento e per il suo modo di fare politica, giudicato scorretto e troppo aggressivo.

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Fig. 2 – L’ultimo dibattito televisivo dei repubblicani, lo scorso 3 marzo

IL CICLONE TRUMP – Come al solito, Trump non si dĂ  per vinto e non perde occasione per riproporre il “Trump Show”. Si parte giĂ  nei primi minuti del dibattito, con il saluto alla giornalista Megyn Kelly, la moderatrice con cui Trump ebbe qualche screzio ad agosto e per la quale non si presentò a uno dei passati dibattiti. Durante lo scontro televisivo, Trump ha presentato ancora una volta i suoi cavalli di battaglia, tra cui la necessitĂ  di reinserire il waterboarding come metodo da applicare contro i presunti terroristi e di rafforzare l’alleanza con la Russia. Nonostante l’aggressivitĂ  del dibattito, lo scontro è stato privo di discorsi concreti e di vera retorica politica. Invisibile Kasich, ancora una volta rimasto dietro le quinte e sempre piĂą vicino al ritiro dalla corsa presidenziale. Il focus è stato l’alleanza dei repubblicani contro Trump, una mossa paradossale, dato che, alla fine del dibattito, i tre avversari del magnate hanno affermato che, se Trump vincesse, sosterrebbero la sua candidatura. La rivolta dell’establishment repubblicano mostrata durante il dibattito è la dimostrazione del timore che Trump incute. Le primarie del 15 marzo saranno la svolta decisiva: si voterĂ  in Illinois, Florida, Missouri, Ohio e North Carolina.

Giulia Mizzon

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Cliccando su questo link potete trovare la lettera di denuncia dei repubblicani contro Trump. [/box]

Foto: mopaw

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Giulia Mizzon
Giulia Mizzon

Nata a Imperia nel 1992, laurea magistrale in Politiche Europee e Internazionali all’UniversitĂ  Cattolica di Milano. Affascinata dalle dinamiche della politica internazionale, frequento un Master in International Relations all’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali. Confesso di essere un’amante degli States, sempre presenti nei miei programmi futuri, e una lettrice accanita di qualsiasi cosa mi capiti sottomano.

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