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ISIS a Gaza: un destino peggiore dell’occupazione?

Le mire espansionistiche dello Stato Islamico mettono a dura prova Hamas, che reagisce alla minaccia jihadista alle porte per il controllo della Striscia. Mentre la popolazione palestinese è sempre più vulnerabile a causa delle condizioni devastate in cui si trova ancora Gaza e la posizione di Hamas a rischio, Israele rinforza la sua narrativa anti-terroristica

LA FINE DI SYKES-PICOT? – Mentre il gruppo dello Stato Islamico mantiene la stretta sui territori conquistati di Iraq e Siria, la presenza jihadista registrata nella penisola del Sinai lascia supporre la possibilità che quest’ultima diventi un reale punto di partenza per la conquista della Striscia di Gaza. L’anno scorso ISIS ha dichiarato che il suo dominio colpirà anche i territori palestinesi, coerentemente con l’ambizione di creare un califfato esteso dal Kazakistan alla Spagna che risponda a un’unica autorità. Se la forza della sua avanzata sembra essere diminuita, lo stesso non si può dire della sua popolarità: molti gruppi estremisti della Jihad islamica continuano a dichiarare fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi, attuale leader dell’autoproclamatosi Stato Islamico, come Boko Haram in Nigeria, Jaysh al-Islam nella provincia del Sinai, o il Consiglio della Shura dei Mujahideen (MSC), gruppo attivo nel Sinai egiziano e nella Striscia di Gaza, dichiarato ufficialmente “terrorista” dal Dipartimento di Stato degli USA lo scorso anno.

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Fig. 1 – L’ISIS è presente anche a Gaza?

PRESENZA JIHADISTA FUORI E DENTRO GAZA – La vicinanza della Striscia con la penisola del Sinai, l’abbondanza di armi disponibili e la frustrazione legata ad una situazione di “prigione a cielo aperto” hanno fatto sì che più volte, negli anni, Gaza abbia visto emergere diversi gruppi islamici estremisti, dichiaratamente contro Israele, ma anche contro Hamas, favorevoli invece alla creazione di uno Stato Islamico indipendente. Fino ad oggi, nessuno di questi gruppi ha raggiunto una popolarità e una capacità di coordinamento tali da costituire un’effettiva minaccia al controllo esercitato da Hamas. Sebbene l’ipotesi di un’avanzata jihadista dal confine egiziano resti improbabile, è dall’interno che la minaccia si fa sempre più concreta. Il timore che le cellule sparse dichiaratesi affiliate all’ISIS a Gaza si coordino con i gruppi attivi nella provincia del Sinai non riguarda solo l’Egitto, ma anche Israele, e, naturalmente, Hamas.

LE CONDIZIONI DELLA STRISCIA – I territori di Gaza, che subiscono l’occupazione israeliana dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967, sono, ad oggi, controllati da Hamas, che nel 2006 ha vinto le elezioni parlamentari dell’Autorità palestinese (ANP) e si è scontrato per il suo controllo con Al Fath. Per questo, dal 2007, lo Stato di Israele ha imposto un embargo di terra, acqua e aria sulla Striscia di Gaza, rendendo quasi impossibile non solo lo scambio di merci – sulla base del fatto che Hamas potrebbe utilizzare quei beni per la fabbricazione di armi da usare poi contro Israele – ma persino la ricezione degli aiuti umanitari. Alcune fonti palestinesi e israeliane hanno registrato la crescente presenza di estremisti salafiti a Gaza, che minaccia di dirottare gli esponenti della Jihad islamica palestinese verso l’ISIS. Sono più di 1,8 milioni i palestinesi che vivono all’interno della Striscia, che dopo gli scontri avvenuti tra Israele e Hamas, in particolare del 2014, hanno visto distruggere quasi interamente i propri villaggi e considerano Hamas responsabile della loro ricostruzione. Sebbene Israele abbia allentato il blocco nel corso degli anni, la difficoltà nel reperire aiuti, il declino economico e il taglio dei servizi di base, quali la fornitura di carburante, elettricità, cibo e medicine, continuano ad affliggere pesantemente Gaza.

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Fig. 2 – Il conflitto israelo-palestinese non è ancora terminato

ISIS VS. HAMAS, UNO SCONTRO IDEOLOGICO – Il movimento salafita pro-jihadista ha come obiettivo primario la purificazione del mondo islamico, e solo in seguito la lotta alle società non musulmane. Hamas è visto dai membri dell’ISIS come un gruppo apostata, senza alcuna autorità religiosa. Oltretutto, ai loro occhi l’alleanza con Hezbollah e Iran delegittima ulteriormente la sua posizione. Hamas, per quanto considerato alla stregua dei movimenti estremisti terroristici, opera principalmente come un gruppo nazionalista palestinese, che combatte per difendere la libertà e l’indipendenza di uno Stato Palestinese da Israele, mentre per i salafiti jihadisti dell’ISIS la guerra santa deve avvenire solo sotto legittima leadership, e il mondo islamico, “purificato”, deve rispondere ad un unico califfato islamico e totalitario: affiliazione o distruzione, non ci sono alternative. Nell’ultimo anno Hamas ha subito diversi attentati, molti prontamente rivendicati dall’ISIS. I gruppi jihadisti ad esso fedeli hanno difatti sparato, lanciato razzi, bombe e issato bandiere nere. Non sarebbe la prima volta che un gruppo jihadista rischia di minacciare il potere di Hamas, il cui apparato di sicurezza rimane forte e saldo. La maggior parte degli analisti concorda che la capacità di Hamas di sedare le spinte estremiste non verrà meno proprio adesso, ma il vero problema con cui dovrà fare i conti sono la frustrazione e il senso di impotenza della lotta con Israele che pesano sempre di più sulle spalle dei palestinesi.

UNA POPOLAZIONE VULNERABILE – Lo scontento dei palestinesi legato alle condizioni terribili in cui si trova Gaza dopo la guerra condotta da Hamas, e quello nei confronti dell’ANP, lasciano aperto uno spiraglio per le mire jihadiste. I giovani palestinesi, figli di una generazione che ha subito la sconfitta del ’67 e l’occupazione, a sua volta erede della generazione che subì la nakbah nel ’48, sono nati nella speranza degli Accordi di Oslo, e hanno visto questa speranza indebolirsi e poi spegnersi del tutto. Se la propaganda dell’ISIS riuscisse a presentarsi come reale alterativa, e incanalare le frustrazioni accumulate, la possibile creazione di un movimento giovanile estremista non è da escludersi. Ma se anche l’Islam moderato e l’operato di Hamas riuscissero a contenere questa eventualità, non è detto che lo Stato Islamico non possa comunque portare il caos nella Striscia: l’ulteriore devastazione del territorio e della popolazione sono minacce che potrebbero rendere necessaria una radicalizzazione militante di Hamas. Oltretutto, portare il Governo a una rottura per convincere la popolazione ad unirsi all’ISIS è ormai una strategia consolidata.

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Fig. 3 – Manifestazione di forza militare da parte di sostenitori di Hamas

E ISRAELE? – La probabilità che lo Stato Islamico dichiari guerra ad Hamas è dunque maggiore di quanto non lo sia uno scontro aperto tra ISIS e Israele. Se Hamas dovesse crollare, non sarebbe l’Autorità Palestinese a riacquistare il controllo su Gaza, ma gli esponenti del califfato islamico. Per la prima volta sembrerebbe che gli interessi del movimento paramilitare convergano con quelli israeliani: il Governo Netanyahu non ha infatti ostacolato le operazioni di Hamas per contrastare la presenza dello Stato Islamico, perché non converrebbe a nessuno se la Striscia di Gaza diventasse un nuovo fronte di combattimento nell’avanzata del terrore. Se però l’ISIS assumesse il controllo, è molto probabile che Israele reagirebbe con i bombardamenti. Il rischio più immediato resta comunque quello che Israele sfrutti l’avanzata salafita per rinforzare la narrativa che giustifica l’occupazione e si oppone duramente al terrorismo internazionale. Netanyahu si è sentito libero di equiparare pubblicamente Hamas all’ISIS, e mentre ancora non si trova coinvolto in uno scontro diretto con gli esponenti del califfato, tenta di allacciare i rapporti con i suoi vicini mediorientali sfruttando lo scompiglio causato dall’avanzata jihadista. Gran parte della frustrazione dei giovani di Gaza è legata alla morsa di Israele: se si aprisse uno spiraglio per la pace, e il dialogo, il pericolo della radicalizzazione sarebbe forse scongiurato, ma non sembrano questi gli obiettivi del governo Netanyahu. Quel che è certo è che se l’ISIS riuscisse ad avere presa su Gaza, a pagarne il prezzo sarebbero, ancora una volta, i palestinesi.

Giorgia Brucato

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

HAMAS: di chi si tratta?

Hamas è un’organizzazione politico-religiosa islamica (sunnita) paramilitare palestinese. Nata nel 1987, ha come obiettivo l’indipendenza dello Stato di Palestina, che andrebbe a sostituire quello israeliano. È difatti dichiaratamente contrario all’esistenza di Israele e viene annoverato tra le organizzazioni terroristiche.
Governa la Striscia di Gaza dal 2007, in seguito allo scontro con Al Fath, partito storicamente a capo dell’Autorità Nazionale Palestinese e di maggioranza in Cisgiordania, dovuto alla vittoria di Hamas delle elezioni parlamentari palestinesi nel 2006. Israele ha reagito a questa presa di potere imponendo su Gaza un embargo, che ancora oggi blocca la libertà della popolazione e lo sviluppo. Hamas si è conquistato la fiducia della popolazione della Striscia combattendo in prima linea contro l’occupazione israeliana e fornendo assistenza alla popolazione colpita.
Storicamente, Hamas ha ricevuto il sostegno di Hezbollah, altro gruppo paramilitare politico-religioso (sciita) attivo in Libano, nato come movimento di resistenza all’invasione israeliana e trasformato in partito politico.
Nel luglio del 2014 Israele ha invaso Gaza per distruggere i tunnel sul confine costruiti da Hamas per i suoi attacchi. Dopo alcuni giorni di scontri, che hanno lasciato Gaza distrutta, Israele ha ritirato le truppe, ed è stato concordato un cessate il fuoco a tempo indefinito. In molti dei villaggi rimasti coinvolti dai combattimenti non è stata ricostruita ancora una casa, e la maggioranza degli abitanti ha dichiarato di voler fuggire dalla Striscia. [/box]

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Giorgia Brucato
Giorgia Brucato
Laureata in Scienze Strategiche e Laureanda in Cooperazione, Sviluppo e Innovazione nell’Economia Globale all’Università di Torino, da sempre mi affascinano il conflitto e le sue dinamiche. Non smetto mai di farmi domande, e se un tempo credevo di diventare una scienziata in senso stretto, crescendo mi sono accorta che, per me, sarebbero state le scienze sociali e quelle internazionali la vera sfida. Il mio focus è l’Infanzia, e la mia tesi di laurea propone un’analisi critica del paradigma della “partecipazione” nei Development Studies, attraverso un caso-studio sui bambini palestinesi.

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