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Stati Uniti, il muro con il Messico e l’immigrazione irregolare

L’immigrazione irregolare è una questione particolarmente delicata negli Stati Uniti, e c’è chi propone come soluzione la costruzione di un muro al confine con il Messico

«COSTRUIRĂ’ UN MURO» – Donald J. Trump dice di avere le idee molto chiare su ciò di cui hanno bisogno gli Stati Uniti d’America. Nell’annunciare la propria candidatura alle primarie repubblicane il 16 giugno scorso, il miliardario statunitense ha cercato di raggiungere un pubblico piĂą ampio possibile – il suo discorso è stato diffuso anche attraverso Periscope, l’applicazione di video streaming di Twitter, – al quale offrire delle soluzioni per alcuni “problemi” sia di politica interna che estera. A differenza dell’inconsistente strategia anti-ISIS – Trump si è limitato a dire che «nessuno sarĂ  piĂą duro» di lui nella lotta contro i jihadisti al seguito di Abu Bakr al-Baghdadi –, la proposta per arginare i flussi migratori provenienti dal Sud si è rivelata decisamente piĂą pragmatica: «costruirò un grande muro alla nostra frontiera meridionale e farò in modo che il Messico paghi quel muro», ha spiegato a un pubblico probabilmente incuriosito dal costo di un’opera simile (a febbraio, parlando alla MSNBC, Trump ha detto che per costruirlo potrebbero servire 8 miliardi di dollari). Trump ha offerto una soluzione a chi ritiene gli immigrati un problema: secondo un sondaggio del PEW Research del giugno scorso, il 63% degli elettori repubblicani e il 32% di quelli democratici li considera un peso per il Paese. Pur scatenando l’irritazione del Messico – a Fox News l’ex Presidente messicano Vicente Fox Quesada ha detto che non vuole pagare un «muro del cazzo» – e le critiche di una parte del Partito repubblicano – secondo decine di esperti di politica estera repubblicani, l’idea di costruire un muro al confine con il Messico si «basa su una lettura sbagliata di (e sul disprezzo per) il nostro vicino meridionale» –, Trump potrebbe aver fatto breccia in una porzione consistente dell’elettorato, che percepisce gli immigrati irregolari come una presenza ingombrante e pericolosa.

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Fig. 1 – Donald Trump durante un comizio in Ohio

QUALCHE DATO SULL’IMMIGRAZIONE IRREGOLARE – Tuttavia le statistiche restituiscono una realtĂ  diversa. Secondo le stime del PEW Research, nel 2014 gli immigrati presenti irregolarmente sul suolo statunitense erano 11,3 milioni, la metĂ  dei quali messicani, e rappresentavano il 3,5% della popolazione totale. Per quanto numerosi, gli immigrati irregolari sono diminuiti nel corso degli ultimi anni: nel 2007 erano 12,2 milioni, pari al 4% della popolazione complessiva. Il calo è stato particolarmente significativo tra gli immigrati di origine messicana, passati dai 6,4 milioni del 2009 ai 5,6 milioni del 2014. I dati confutano anche la convinzione che gli immigrati, almeno quelli di prima generazione, siano maggiormente propensi ad avere “guai con la legge”: l’11% dei cittadini statunitensi di sesso maschile senza un diploma di scuola superiore finisce in prigione, mentre la quota scende tra il 2 e il 3% tra i messicani, guatemaltechi e salvadoregni con lo stesso livello di istruzione. Una volta negli States, gli immigrati irregolari cercano un posto dove abitare – il 60% è sparso in soli sei Stati (California, Florida, Illinois, New York, New Jersey e Texas) – e un’opportunitĂ  lavorativa: secondo le statistiche aggiornate al 2012, gli stranieri irregolari (circa 8,1 milioni) rappresentavano il 5,1% della forza lavoro complessiva (somma di occupati e disoccupati).

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Fig. 2 – Un uomo tenta di scalare la barriera al confine tra Messico e Stati Uniti nei pressi di Tijuana

IL DAPA E IL DACA – Quella relativa all’immigrazione irregolare è una questione con cui deve confrontarsi qualunque inquilino della Casa Bianca. Dopo aver fallito il tentativo di introdurre una riforma bipartisan, il Presidente Barack Obama ha cercato una soluzione nel 2012 attraverso il DACA, il Deferred Action for Childhood Arrivals destinato agli immigrati irregolari giunti negli Stati Uniti insieme ai genitori prima di compiere 16 anni, e nel 2014 con la promulgazione di un ordine esecutivo come il DAPA – ovvero il Deferred Action for Parents of Americans and Lawful Permanent Residents, – destinato ai genitori di bambini nati sul suolo americano e quindi cittadini americani che, pur essendo entrati nel Paese in modo irregolare, non avessero pendenze con la giustizia a partire dal 2010. Il DAPA avrebbe interessato fino a oltre 3 milioni e 600mila immigrati irregolari, offrendo loro l’opportunitĂ  di presentare una domanda per un lavoro regolare e per conseguire la patente di guida. Uno studio del Migration Policy Institute e dell’Urban Institute stima che il DAPA avrebbe permesso agli immigrati coinvolti di aumentare il proprio reddito familiare del 10% e avrebbe consentito al 6% delle famiglie coinvolte dal provvedimento di uscire dalla povertĂ .
Tuttavia il DAPA ha avuto vita breve, almeno per il momento: nell’arco di un paio di settimane, dopo il ricorso presentato da una coalizione di 26 Stati capeggiati dal Texas, secondo cui soltanto il Congresso può prendere decisioni su una materia così delicata, una corte federale ha provveduto a sospenderlo. A gennaio la Corte suprema ha annunciato che esaminerĂ  la sospensione del provvedimento, emettendo una sentenza entro la fine di giugno.

IMMIGRATI, COSA NE PENSANO GLI AMERICANI? – La domanda “cosa ne pensano i cittadini statunitensi dell’immigrazione irregolare?” ha trovato una risposta in un sondaggio del PEW Research del giugno scorso. Ebbene, la stragrande maggioranza degli americani (il 72%) sostiene che agli immigrati che vivono negli Stati Uniti privi di documenti dovrebbe essere consentito di restare legalmente rispettando alcuni requisiti. Le cose, però, prendono una piega leggermente diversa a seconda dell’appartenenza politica. Tra i repubblicani la quota di chi si dice disposto a concedere agli immigrati irregolari la possibilitĂ  di restare negli States scende al 56%, mentre sale all’80% tra i democratici.

Mirko Spadoni

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Nel 2013 il Senato votò il testo di una riforma bipartisan sull’immigrazione. La sconfitta di Mitt Romney alle presidenziali del 2012 convinse il Partito repubblicano (GOP) dell’importanza degli elettori di origine ispanica sia presente (la vittoria dei democratici fu possibile principalmente grazie al voto degli ispanici) che futura (la comunitĂ  ispanica cresce demograficamente a ritmi sostenuti). Ma la riforma non è mai stata approvata dalla Camera. Il motivo? Il GOP cambiò nuovamente idea sull’immigrazione dopo l’inattesa sconfitta di Eric Cantor, il leader della maggioranza repubblicana alla Camera, battuto alle primarie per le elezioni di medio termine da uno sfidante sconosciuto ai piĂą, che lo aveva criticato duramente per le sue posizioni sull’immigrazione, giudicate troppo “morbide”.[/box]

Foto: jonathan mcintosh

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Mirko Spadoni
Mirko Spadoni

Romano, classe ’88, ha abbandonato i suoi sogni di gloria molto presto: sarebbe voluto diventare presidente di una squadra di calcio. E così, dopo aver conseguito una laurea in Comunicazione, ha deciso di limitarsi a raccontarne le gesta (dei presidenti e dei loro stipendiati, s’intende). Compreso che il pallone – e la Lazio – non sono tutto nella vita, si è dedicato anche ad altro: alla politica e all’economia per un quotidiano online di un istituto di ricerca, per poi innamorarsi definitivamente della geopolitica. Una passione che coltiva con buona pace della letteratura e dei colori biancocelesti.

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