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USA 2016, aspettando South Carolina e Nevada

Caffè Americano  La corsa delle primarie prosegue. E i prossimi appuntamenti elettorali si avvicinano. Il 20 febbraio si terranno i caucus del Nevada per i democratici e le primarie del South Carolina per i repubblicani. Il 23 e il 27 dello stesso mese, rispettivamente i caucus del Nevada per il Gop e le primarie del South Carolina per l’asinello. Si tratta di due momenti particolarmente rilevanti, che precederanno il fondamentale Super Martedì del 1 marzo, quando si voterà in quindici Stati contemporaneamente.

LA SITUAZIONE PER I DEMOCRATICI – Ormai ridottasi a un duello tra Hillary Clinton e Bernie Sanders, la corsa democratica sta producendo da giorni scintille. I due appuntamenti elettorali del Nevada e del South Carolina risultano innanzitutto importanti per un fattore: il decisivo peso che vi rivestono le minoranze etniche (ispanici, per il primo; afroamericani, per il secondo). In tal senso, i due candidati stanno da giorni battagliando per accattivarsi le simpatie di queste frange, tanto più che le incognite restano molte, vista la composizione elettorale radicalmente diversa di Iowa e New Hampshire: due realtà in cui il voto bianco risulta prepotentemente maggioritario. Proprio per questo l’ex first lady starebbe cercando la riscossa tra le minoranze etniche, visto l’attuale predominio di Sanders tra l’elettorato bianco.

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Fig. 1 – A Bernie Sanders riuscirĂ  l’opera di fare lo sgambetto alla Clinton?

Più nel dettaglio, la vera sfida riguarderebbe il South Carolina. Per quanto in termini di immagine il Nevada possa contare qualcosa (come primo test in un voto – quello latino – che a livello nazionale vale ormai circa il 10%), è nel cosiddetto Palmetto State che l’asinello mette in palio un alto numero di delegati (ben 59): ed è qui che l’ex segretario di Stato sta progettando da settimane (ben prima dunque della disfatta in New Hampshire) il proprio comeback.
Al momento i sondaggi la danno effettivamente in testa. E anche ampie quote dell’universo afroamericano hanno dichiarato il proprio sostegno nei suoi confronti (come il Congressional Black Caucus Pac). Ma i dubbi restano. Innanzitutto perché Sanders non sembra intenzionato a mollare nel ricercare consensi in quel bacino (è anche riuscito a ottenere qualche endorsement importante). Ma poi anche nel 2008 gli analisti davano il South Carolina come scontato feudo di Hillary, salvo poi constatare come le cose andarono ben diversamente, con l’improvvisa vittoria di Barack Obama.
Il Palmetto State rappresenta dunque uno snodo fondamentale per la campagna democratica. Hillary non solo deve vincere. Ma deve vincere bene, non potendosi accontentare di un primato risicato come quello ottenuto in Iowa. In caso contrario, avrebbe vita particolarmente difficile. E i malumori in seno al partito democratico crescono, soprattutto tra coloro che non vogliono ritrovarsi rappresentati nella corsa per la Casa Bianca da un candidato socialista.

LA SITUAZIONE PER I REPUBBLICANI – In casa Gop la burrasca è più fitta che mai. E al momento tutti gli sforzi appaiono concentrati sul South Carolina, dove è in atto una guerra micidiale a colpi di accuse venefiche e calunnie tra spot, comizi e interviste. Attualmente i sondaggi danno in testa il miliardario newyorchese, Donald Trump, il quale – sfruttando l’onda lunga della vittoria ottenuta in New Hampshire – spera di conquistare anche questo fondamentale Stato. Eppure le incognite restano. Perché il fulvo magnate qui potrebbe avere un problema elettorale non di poco conto.
Come ha difatti recentemente riportato il Wall Street Journal, la composizione dell’elettorato repubblicano nel Palmetto State risulterebbe costituita per il 37% dai colletti blu evangelici di scarsa istruzione e tendenzialmente aperti alle istanze del social conservatism. Ora,  in New Hampshire Trump ha dimostrato di essere particolarmente forte tra i colletti bianchi senza precisi orientamenti religiosi.  E proprio per questo in South Carolina il suo avversario più pericoloso potrebbe rivelarsi il senatore texano Ted Cruz, che – proponendosi come campione degli evangelici – sta facendo di tutto per screditare Trump ai loro occhi. Effettivamente, la scarsa attenzione mostrata verso temi come aborto e matrimonio omosessuale potrebbe danneggiare la corsa in loco del miliardario. Ma è altrettanto vero che Trump potrebbe comunque recuperare sul versante delle politiche sociali, a partire dal suo cavallo di battaglia: l’immigrazione clandestina.

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Fig. 2 – Ted Cruz sta contendendo a Donald Trump la nomination repubblicana

Tra i candidati dell’establishment è scontro per accreditarsi quali leader dei moderati. Attualmente conduce Marco Rubio al 14,3%: discreto risultato, per quanto bisognerà vedere se sarà in grado di tramutarlo concretamente in voti. Pesa ancora sul suo capo la pessima performance del dibattito di Manchester (in New Hampshire) due settimane fa. E non è semplice risalire la china dopo una catastrofe del genere (tanto che qualche analista malevolo paragona già Rubio a Rick Perry, che nel 2012, da grande favorito, fu costretto a ritirarsi in seguito di una clamorosa gaffe televisiva).
Secondo, sorprendentemente, John Kasich. Sfruttando l’onda lunga del buon risultato nel Granite State, il governatore dell’Ohio mira a registrare un buon risultato in South Carolina. Ma non sarà facile: Kasich è storicamente un centrista, considerato un maverick dalle frange più destrorse del partito. E non è detto che uno Stato conservatore come questo possa decidere di premiarlo.

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Fig. 3 – John Kasich potrebbe recuperare terreno

Poi abbiamo Jeb Bush. Inchiodato attualmente ai bassifondi della classifica sondaggistica (appena sopra all’ormai evanescente ex neurochirurgo Ben Carson), l’ex governatore della Florida ostenta comunque ottimismo. E’ vero, in New Hampshire non ha sfondato, limitandosi a sopravvivere. Ma è altrettanto indubbio come nel Palmetto State la dinastia Bush possa contare su un network e un’organizzazione formidabili. Senza poi contare come storicamente risulti quasi un feudo di famiglia, avendovi vinto George Herbert nel 1988 e George Walker nel 2000.
E proprio quest’ultimo prenderà parte a un evento elettorale di Jeb lunedì sera. L’intento è chiaro: accreditarsi come unico candidato credibile dell’establishment per togliere la terra sotto ai piedi ai suoi diretti rivali: Kasich e Rubio. E – vista anche la potenza di fuoco del suo Super PAC, Right to Rise – non è escluso che Jeb possa riservare qualche sorpresa il 20 febbraio. Perché è vero che – come detto – il 37% degli elettori repubblicani locali è evangelico e ultraconservatore, quindi tendente verso candidati come Trump e Cruz. Ma bisogna anche considerare che il sistema elettorale adottato nel Palmetto State sia quello delle primarie aperte: un sistema dunque potenzialmente in grado di attrarre voti trasversali e moderati.
Proprio come per Hillary, il South Carolina è un test fondamentale per Bush: l’obiettivo minimo è quello di arginare definitivamente Rubio. E, laddove ciò non accadesse, la sua corsa rischierebbe seriamente di compromettersi.

Stefano Graziosi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Il primo marzo si terrà il Super Martedì, la giornata in cui si voterà contemporaneamente in quindici Stati. [/box]

Foto: Gage Skidmore

 

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Stefano Graziosi
Stefano Graziosi

Nato a Roma nel 1990, mi sono laureato in Filosofia politica con una tesi sul pensiero di Leo Strauss. Collaboro con varie testate, occupandomi prevalentemente di politica americana. In particolare, studio le articolazioni ideologiche in seno al Partito Repubblicano statunitense.

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