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Il cortile di casa?

Per quasi due secoli, gli Stati Uniti hanno considerato l’America Latina in questo modo. Il Presidente Obama ha promesso un cambiamento nelle relazioni: vediamo quali sono i risultati dopo un anno alla Casa Bianca

DA MONROE A BARACK – Era il 1823 quando l’allora Presidente degli Stati Uniti, James Monroe, formulò la “dottrina” che rimase poi famosa con il suo stesso cognome. “L’America agli Americani”, affermò il Presidente, avvertendo le potenze europee ad astenersi da qualsiasi ingerenza nelle questioni emisferiche. L’impianto della dottrina, che era sostanzialmente difensivo, mutò nel 1904 quando, con il cosiddetto “corollario Roosevelt” (dal nome del Presidente Theodore, che portò gli USA in guerra con la Spagna per il controllo di Cuba), Washington rivendicò una sorta di “diritto di intervento” nelle questioni interne dei Paesi latinoamericani. Da allora, in pratica, l’America Latina è diventata il “cortile di casa” degli Stati Uniti, che spesso – soprattutto durante la Guerra Fredda per scongiurare la diffusione di regimi filosovietici nel continente – è intervenuta attraverso la CIA per sostenere regimi “amici” ma in molti casi per nulla democratici. Per questo motivo, oggi nelle popolazioni latinoamericane sono diffusi il risentimento e l’antipatia per lo “zio Sam”, e alcuni Stati hanno adottato ormai da alcuni anni un orientamento decisamente antiamericano. L’esempio più eclatante, ovviamente, è il Venezuela di Chávez, che non perde occasione per insultare gli odiati “yanquis”; ma l’elenco potrebbe continuare con i regimi di sinistra che sono proliferati nell’ultimo decennio, dalla Bolivia all’Ecuador al Nicaragua. E Obama che fa? Le speranze riposte in lui erano molto forti. L’attuale Presidente – e premio Nobel per la Pace – aveva affermato in campagna elettorale di voler rilanciare i rapporti con l’America Latina sulla base di parità e collegialità. Lo stesso fu ripetuto in occasione del Vertice delle Americhe che ha avuto luogo a Trinidad e Tobago in primavera. Ora, ad un anno dall’assunzione dei poteri, quale può essere il bilancio della politica estera dell’amministrazione Obama nei confronti del continente americano? 

RIMANDATO – Se a giudicare fosse un collegio docenti, probabilmente questo sarebbe il giudizio che riceverebbe il leader Democratico. Nonostante le buone intenzioni e l’abbraccio “storico” con Chávez, in realtà l’attenzione dedicata da Obama all’America Latina è stata pressoché nulla. A parziale giustificazione del Presidente, è innegabile che Afghanistan e Iraq siano i “grattacapi” principali della Casa Bianca in questo momento, e continueranno ad esserlo ancora per diversi anni. Le forze diplomatiche, militari ed economiche destinate per il Medio Oriente mettono giocoforza in secondo piano le altre linee di politica estera. L’America Latina, dunque, non rientra attualmente tra le priorità di Washington. Obama si è esposto pochissime volte in prima persona e ha preferito delegare interamente al Segretario di Stato Hillary Clinton la “patata bollente” dell’Honduras. In questo caso, di dimensioni ridotte ma rilevante in quanto “spettro” dell’atteggiamento degli USA, l’amministrazione ha seguito dapprima la via della prudenza e del dialogo, quindi ha imposto un accordo che non è servito a garantire il ritorno pro tempore al potere del presidente deposto Zelaya, ma che ha contribuito solo ad aumentare la divisione nella regione e ha portato la maggioranza degli Stati latinoamericani a sconfessare l’esito delle elezioni che si sono tenute due settimane fa in Honduras. Non esattamente un successo diplomatico, quindi. Tanto più che Lula ha pubblicamente manifestato il proprio disappunto, facendo un passo indietro nelle amichevoli relazioni con il Brasile che si erano sviluppate negli ultimi anni soprattutto per quanto riguarda la cooperazione nel settore della Difesa. Sembra un paradosso, ma attualmente Washington e Brasilia sono più lontane rispetto all’era Bush.

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SPERANZA VALENZUELA? – Entra ora in gioco una nuova figura, quella di Arturo Valenzuela, nuovo Sottosegretario di Stato con delega alle relazioni con l’America Latina. Cileno di nascita, accademico al prestigioso Center for Latin American Studies dell’università di Georgetown, Valenzuela ha preso recentemente il posto di Thomas Shannon, nominato ambasciatore in Brasile. In una recente conferenza stampa, il nuovo delegato ha affrontato le principali questioni sul tappeto. Innanzitutto, la spinosa questione dei rapporti tesi tra Colombia e Venezuela: l’installazione delle sette basi militari statunitensi al fine di combattere il narcotraffico in terra colombiana non è andata giù a Chávez, che a ripetizione minaccia di dichiarare guerra a Bogotà (quando in realtà ha problemi ben più seri all’interno del Paese). Valenzuela ha promesso di ricercare il dialogo al fine di ammorbidire le relazioni con Caracas (anche se da settembre quest’ultima ha rotto i contatti diplomatici con Washington). Viene poi Cuba, nei confronti della quale il delegato ha affermato che si continuerà a cercare un avvicinamento “graduale”. Obama aveva fatto in primavera un piccolo passo avanti riducendo le restrizioni per l’invio di rimesse da parte degli emigranti, ma le parole di Valenzuela sembrano testimoniare l’assenza di volontà di prendere un impegno concreto per la soluzione di questa annosa questione. È stato confermato l’impegno di portare avanti con il Messico l’iniziativa “Mérida” contro il narcotraffico, mentre è stato rivolto un appello alla Spagna, ultimo presidente di turno dell’Unione Europea, affinchè si possano studiare strategie comuni per gestire i rapporti con la regione.Un po’poco? Forse. Il pericolo per gli Stati Uniti è che il cambio di rotta dalla “dottrina Monroe” al disinteresse per l’America Latina provochi un divario ancora maggiore di quello esistente, in particolar modo con i Paesi a sud del Canale di Panama, le cui economie sono meno integrate con quella statunitense. La cooperazione con attori sempre più importanti come il Brasile dovrebbe essere invece una priorità dell’amministrazione Obama, per creare spazi comuni di sviluppo e di sicurezza.  

Davide Tentori 12 dicembre 2009 redazione@ilcaffegeopolitico.it

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’UniversitĂ  “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualitĂ  di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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