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USA: Le critiche del GOP alla politica presidenziale

In 3 sorsi – Dopo l’ottavo e ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama del 12 gennaio, gli spunti per attaccare i democratici non sono mancati al Grand Old Party, i cui candidati si sono sfidati nel primo dibattito del 2016, il penultimo prima del Caucus dell’Iowa. Dalla stretta sulle armi alla gestione della cattura di dieci marinai da parte dell’Iran, vediamo come i repubblicani hanno reagito alla politica presidenziale.

1. IL DIBATTITO – In Carolina del Sud, a Charleston, si è svolto il penultimo dibattito repubblicano prima del caucus dell’Iowa e delle primarie del New Hampshire e il sesto della serie, cui hanno partecipato 7 dei 12 candidati del Gop, ovvero coloro che sono abbastanza avanti nei sondaggi da guadagnarsi il diritto a portare live la propria campagna elettorale. Ormai i repubblicani li conosciamo bene: Trump, Carson, Cruz, Kasich, Bush, Christie e Rubio. Tra questi non figura Rand Paul, per la prima volta nelle posizioni più basse nella classifica delle preferenze dei votanti. Gli argomenti considerati sono stati i grandi temi su cui si sta focalizzando l’intero sistema internazionale, primo fra tutti quello dei profughi. È noto ormai come i repubblicani siano contrari alle politiche di Obama sui rifugiati, in particolare quelli musulmani, definiti un braccio del terrorismo mediorientale utilizzato per portare il terrore oltreoceano. Altro grande tema affrontato è stato il terrorismo, sulla scia degli attacchi in Turchia e in Indonesia. Fra Trump e Cruz, inoltre, si è verificato uno scontro sulla presunta ineleggibilità del senatore del Texas, nato in Canada da madre statunitense. Cruz ha risposto attaccando la correttezza di Trump, dichiarando che la questione – priva di fondamento perché Cruz è a tutti gli effetti un cittadino USA – è stata affrontata solo ora perché Trump ha paura che Ted possa sorpassarlo nei sondaggi. Gli elementi comuni della retorica dei repubblicani, però, sono state le critiche nei confronti di Obama e di tutti i democratici, specialmente alla luce del discorso del Presidente sullo stato dell’Unione e della sua troppo moderata politica estera.

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Fig. 1 – Trump vs. Cruz, la stretta di mano è solo “di facciata”

2. L’IMPERTERRITA POLITICA INTERNA DI OBAMA – Nonostante le critiche e gli attacchi, Obama non si ferma e risponde ai repubblicani utilizzando il suo potere esecutivo per affrontare la questione del possesso e del porto d’armi. Da qualche tempo, ormai, Obama e tutti i democratici criticano la forza delle lobby delle armi, tra cui troviamo la National Rifle Association (NRA), che ricopre un ruolo fondamentale nell’influenza delle politiche. Durante una conferenza stampa, il Presidente si è detto determinato a varare un piano di dieci punti che prevede controlli più severi sui clienti e sui venditori di armi da fuoco, oltre ad aumentare le risorse dell’FBI per sorvegliare meglio il settore, costruendo anche una task force ad hoc. Tutto questo alimentando il dissenso del Gop. Obama ha rassicurato che il secondo emendamento della costituzione, che garantisce il diritto di possesso e porto d’armi da fuoco, non verrà minato, ma la dura risposta dei repubblicani non ha tardato a farsi sentire, specie dal front-runner. Trump, infatti, ha sempre sostenuto la necessità di possedere e portare con sé armi da fuoco e ha ribadito i suoi ideali affermando che, se a Parigi ci fosse stata la libertà di portare le armi, gli attacchi del 13 novembre non avrebbero avuto un così tragico successo. Insomma, secondo il re del mattone newyorkese, i cittadini hanno il diritto di difendersi e la stretta al possesso delle armi non farà altro che minare la sicurezza del Paese. Obama, nonostante le critiche, continua imperterrito. Il 12 gennaio ha avuto luogo l’ottavo e ultimo discorso sullo stato dell’Unione, in cui il Presidente ha posto l’accento sulle vittorie della sua amministrazione democratica: la crisi economica quasi sconfitta, il sistema sanitario reinventato, il riallacciamento di relazioni diplomatiche con Cuba e l’aumento di credibilità del soft power USA nelle crisi internazionali, da quelle in Medioriente a quelle africane (tra cui l’emergenza ebola). Un messaggio, quindi, finalizzato a sfidare i repubblicani e la loro visione negativa sul ruolo degli Stati Uniti nel sistema internazionale e sulla leadership democratica.

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Fig. 2 – Il Presidente Obama durante il suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione

3. LA GESTIONE DELLA POLITICA ESTERA – Il 12 gennaio dieci marinai USA sono stati sequestrati dalle forze iraniane. La temporanea crisi con Teheran ha, per un attimo, fatto trattenere il respiro a tutta la comunità internazionale. Reduci da un accordo storico, Stati Uniti e Iran sono tornati a sfidarsi, anche se brevemente e senza gravi conseguenze. L’episodio è stato subito connesso agli avvenimenti del 26 dicembre, giorno in cui l’Iran è stato accusato di aver sparato dei missili contro la portaerei USA Truman e altri due convogli nello Stretto di Hormuz. L’Iran ha negato il suo coinvolgimento, dicendo che le accuse fanno parte della “guerra psicologica occidentale”. Gli Stati Uniti, però, hanno rilasciato un video in cui è provato il lancio dei missili troppo vicini alle forze della coalizione contro l’Isis che transitavano nello Stretto, confermando che si tratterebbe di un’esercitazione delle forze iraniane, la Guardia Rivoluzionaria, annunciata solo 23 minuti prima dell’inizio. Un attacco pericoloso e provocatorio, in un Choke Point in cui c’è poco spazio di manovra, attraverso il quale passa quasi un terzo degli approvvigionamenti petroliferi mondiali, il cui controllo porterebbe un vantaggio strategico ed economico a qualunque Paese. La risposta di Obama è stata una stretta sulle sanzioni contro le compagnie e gli individui che collaborano al programma missilistico balistico iraniano, ma non c’è stata nessuna escalation delle tensioni. Non si sono avute gravi conseguenze nemmeno dopo la vicenda dei dieci marinai USA che a causa di un guasto del loro convoglio hanno sconfinato nelle acque territoriali iraniane, sono stati catturati, ma rilasciati due giorni dopo. L’approccio diplomatico di Obama e Kerry rispetto alla gestione delle crisi temporanee appena citate è stato criticato con forza dai repubblicani, i quali avrebbero posto in essere una risposta più robusta e determinata. Cruz ha affermato, infatti, che se fosse stato per lui, gli Stati Uniti avrebbero reagito con la forza nei confronti dell’Iran e ha criticato Obama per non aver menzionato la vicenda dei marinai statunitensi nel discorso sullo stato dell’Unione, mentre Christie ha dichiarato che gli avversari degli States «devono conoscere qual è il limite della pazienza degli americani. La politica estera repubblicana, quindi, si conferma ancora una volta conservatrice, ostile e poco diplomatica, completamente opposta a quella democratica.

Giulia Mizzon

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Fondata nel 1871, la National Rifle Association è un’organizzazione che rappresenta i detentori di armi da fuoco degli Stati Uniti. Viene definita come la più antica organizzazione per la difesa dei diritti civili dei cittadini statunitensi, dato che il porto d’arma è un diritto garantito dal secondo emendamento della Costituzione. La NRF è una lobby molto potente che spesso finanzia le campagne politiche. [/box]

Foto: NASA HQ PHOTO

Foto: Gage Skidmore

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Giulia Mizzon
Giulia Mizzon

Nata a Imperia nel 1992, laurea magistrale in Politiche Europee e Internazionali all’Università Cattolica di Milano. Affascinata dalle dinamiche della politica internazionale, frequento un Master in International Relations all’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali. Confesso di essere un’amante degli States, sempre presenti nei miei programmi futuri, e una lettrice accanita di qualsiasi cosa mi capiti sottomano.

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