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Quale legacy per EXPO Milano?

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Chi pensa che EXPO Milano sia terminato il 31 ottobre si deve ricredere. In realtà, la vera sfida inizia ora: quanto sarà capace la manifestazione milanese di incidere sulle politiche multilaterali volte a garantire la food security globale e sui comportamenti verso l’ambiente e le risorse del pianeta?

IERI – La legacy etica (e non solo) più importante di EXPO è la Carta di Milano. Il documento – consegnato a Ban Ki-Moon il 16 ottobre, giornata internazionale dell’alimentazione – è sostanzialmente la richiesta da parte dei firmatari (persone, istituzioni, aziende) di riconoscere e tutelare il diritto di tutti a nutrirsi con cibo sano ma soprattutto responsabile, fatto di produzioni tendenzialmente locali, impiegate in maniera democratica e solidale. È evidente l’impronta umanitaria che pone in risalto l’equazione cibo=democrazia. Non a caso uno degli ambassador dell’EXPO è stata l’ambientalista indiana Vandana Shiva, che bene ha descritto i conflitti e le diseguaglianze derivanti dall’accesso ai beni indispensabili.
L’Italia sta cercando di mettere in pratica il messaggio. Il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina punta all’aggregazione dei produttori per renderli più forti in fase di contrattazione del prezzo di vendita e per assicurare loro una giusta remunerazione, riuscendo in questo modo ad arrestare lo spopolamento delle campagne e a portare nuova linfa all’agricoltura familiare, vero nucleo della produzione sostenibile in quanto armonizzata con il territorio. Perché ci sembra importante, l’agricoltura familiare?

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Perché oggi il cibo è diventato un affare. Grandi multinazionali determinano le quotazioni di talune commodities e la soddisfazione, o meno, dell’esigenza di mangiare di parte della popolazione mondiale. EXPO ha avuto il merito di attirare l’attenzione del mondo sul delicato tema dei diritti e sull’intreccio tra cibo e finanza. Non è semplice (né immediato) specificare in quale misura possa aver contribuito al dibattito in corso, ma è certo che se oggi se ne parla (poco), fino a ieri dell’argomento non c’era traccia.

OGGI – Politiche di aggregazione e investimenti mirati possono favorire l’esistenza di piccole comunità che gestiscono il territorio producendo in maniera sana, e questa può essere una ricetta macroeconomica attraverso cui muoversi, ma anche driver di sviluppo per le comunità dei Paesi che stanno crescendo. L’imprinting più immediato porta inevitabilmente al biologico e alla gestione integrata del territorio, con la giusta importanza riconosciuta all’acqua e al suo controllo.
Una politica consequenziale è la protezione delle produzioni dai falsi. Il mercato dell’italian sounding, tanto per fare un esempio che ci riguarda da vicino, vale nel mondo ben 60 miliardi di euro, un giro d’affari enorme che minaccia i produttori (perché vengono vendute merci false), i consumatori (che non sanno cosa mangiano e rischiano la salute) e l’ambiente (perché le produzioni illegali non lo rispettano certamente). Un vero attentato alla sostenibilità ambientale ed economica. Il concetto era espresso molto bene all’interno di Palazzo Italia.
A tale argomento si aggancia il fattore “remunerazione”: più una comunità riceverà adeguata ricompensa per la propria produzione, maggiori saranno la cura del territorio e la difesa delle produzioni locali. EXPO ha illustrato il legame tra territorio e relazioni internazionali e ridisegnato il ruolo del cittadino globale, non solo consumatore ma anche decision maker. La speranza è che la nuova coscienza di sé porti il consumatore contemporaneo verso i binari della consapevolezza e della responsabilità. I più giovani hanno ora un esempio, ed una strada, da seguire.

DOMANI – Se EXPO ha portato in superficie le problematiche più stringenti del nostro mondo, ha avuto anche il merito di suggerire un nuovo modello produttivo per il domani.
C’è bisogno dell’attenzione del pubblico e degli strumenti del privato, di gestione e di territorio. Di scienza e di tradizione, di esperienza e di capitali. E dobbiamo “aggiustare” l’albero delle priorità, passando dal consumo alla produzione senza dimenticare l’inclusione. EXPO metafora del mondo che si divide ma che cerca la giusta via, dunque.

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È auspicabile che l’impostazione venga conservata anche in campo commerciale, specialmente in vista della conclusione del negoziato con gli Stati Uniti per la Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), un accordo di libero scambio di proporzioni storiche che, se sarà basato su regole in grado di difendere la sostenibilità dei prodotti agroalimentari, potrà assicurare elevati standard produttivi e qualitativi in tutto il mondo.
La produzione alimentare del dopo-EXPO dovrà dunque camminare sulle strade dell’inclusione sociale, garantire parità di trattamento alle donne, favorire il ricambio generazionale e l’accesso dei giovani alla produzione di cibo. Dovrà sforzarsi di lottare contro la dipendenza da idrocarburi (un piccolo passo in avanti è stato recentemente raggiunto al CoP21 di Parigi) e mettere un freno alla pratica del land grabbing, di cui l’Africa soprattutto è oggetto.

Tabella 1: La denutrizione, un’urgenza globale

Persone denutrite al mondo 795 milioni
Denutrizione in Africa Sub-sahariana 23% della popolazione
Denutrizione infantile 45% delle morti (3.1 milioni all’anno) infantili è dovuta ad essa

Lanciando lo sguardo un po’ più in là nel tempo, sarà inoltre importante misurare l’impatto che EXPO potrà avere sulle politiche multilaterali per la riduzione della denutrizione e della malnutrizione a livello globale. È emblematico il fatto che l’obiettivo n.2 dei Sustainable Development Goals (SDGs), gli obiettivi di sviluppo sostenibile approvati dalle Nazioni Unite lo scorso settembre, è proprio quello di cancellare la fame nel mondo e di garantire la sicurezza alimentare a tutti entro il 2030. Per fare ciò serviranno ingenti investimenti pubblici e privati nel settore agricolo, per consentire alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo di produrre cibo in maniera più efficiente, e anche promuovere comportamenti più virtuosi lungo tutta la catena della produzione alimentare. A questo proposito, ridurre gli sprechi sia dal lato della produzione che del consumo sarà fondamentale. La lezione di EXPO non dovrà essere archiviata, ma messa in pratica sin d’ora, se vogliamo davvero portare a zero gli 800 milioni di persone che ancora non vedono riconosciuto il proprio diritto al cibo.

Andrea Martire
Davide Tentori

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Durante il 2015 il Caffè Geopolitico vi ha proposto una serie di articoli sule tematiche della food security che vi hanno accompagnato per tutta la durata di EXPO Milano. Vi riproponiamo qui lo speciale e, se non lo avete ancora fatto, vi invitiamo a leggere il nostro libro “Le Provocazioni di Expo – La salute del pianeta nelle mani del consumatore”, la cui attualità non è “scaduta” il 31 ottobre con la chiusura dei battenti della manifestazione milanese. [/box]

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Foto di copertina di Andrea Martire

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Andrea Martire
Andrea Martire

Appassionato di America Latina, background in scienze politiche ed economia. Studio le connessioni tra politica e sociale. Per lavoro mi occupo di politiche agrarie e accesso al cibo, di acqua e diritti, di made in Italy e relazioni sindacali. Ho trovato riparo presso Il Caffè Geopolitico, luogo virtuoso che non si accontenta di esistere; vuole eccellere. Ho accettato la sfida e le dedico tutta l’energia che posso, coordinando un gruppo di lavoro che vuole aiutare ad emergere la “cultura degli esteri”. Da cui non possiamo escludere il macro-tema Ambiente, inteso come espressione del godimento dei diritti del singolo e driver delle politiche internazionali, basti pensare all’accesso al cibo o al water-grabbing.

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