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Yemen: considerazioni strategiche

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – La crisi in Yemen ha visto l’impegno diretto dell’Arabia Saudita alla testa di una coalizione internazionale composta da Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kuwait, Marocco, Qatar, Senegal e Sudan. Come ha operato quest’inedita coalizione?

UN PAESE (RI)DIVISO – Ad appena un ventennio dalla riunificazione, nel 2011, lo Yemen è nuovamente in tumulto. La Primavera araba ha avuto sviluppi violenti e, nonostante un tentativo di conciliazione nazionale, le differenze storiche tra i diversi gruppi etnici e di potere sono riemerse, sancendo una nuova fase virulenta. I ribelli Houthi, affiliati alla setta sciita degli Zaiditi, hanno contestato il presidente Hadi e la sua legittimità. Al di là delle poche concessioni seguite alla Primavera araba, il Governo di Hadi non è riuscito sanare il Paese, in sostanza rimasto attagliato al vecchio sistema di clientele che lo divide tra attori multipli. Le ingerenze saudite non hanno aiutato, creando ulteriori disparità e risentimenti. Nel 2014 la situazione tesa e difficilmente gestibile è sfociata in vera e propria guerra civile. Hadi è stato cacciato ma è ancora in gioco, in quanto gli Houthi, sebbene in grado di far cadere il Governo, non hanno la possibilità materiale di raggiungere il sud del Paese. La loro roccaforte rimane la provincia di Saada, il resto del Paese rimane territorio conteso sia con l’esercito regolare Yemenita che con altre forze (ad esempio i separatisti del sud e  Al-Qaeda nella Penisola Araba). Gli Houthi non mirano quindi alla conquista del Paese ma ad uno status di autonomia, tanto spinta quanto riusciranno ad imporsi come forza politica. La situazione è stata aggravata dalle ingerenze internazionali, soprattutto da quelle saudita (a favore di Hadi) e iraniana (a favore degli Houthi). L’Arabia Saudita, in particolare, è intervenuta militarmente con operazioni molto dure.

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Fig.1 – Forze regolari fedeli al presidente Hadi presidiano l’aeroporto internazionale di Aden

L’IMPEGNO SAUDITA – La crisi yemenita è considerata dall’Arabia Saudita una minaccia diretta alla sicurezza nazionale. Riad ha subito optato per la linea dura e vuole ribadire la propria volontĂ  di difendere lo spazio che considera vitale, la penisola araba. La lettura della crisi in chiave anti-iraniana ha permesso all’Arabia Saudita di sfruttarla come leva per raccogliere una coalizione di alleati, ma anche per rafforzare il proprio ruolo di leadership nel Golfo. L’azione saudita si è svolta in due tempi:

  1. dal 26 marzo al 21 aprile l’operazione Decisive Storm ha ricacciato gli Houthi nella loro roccaforte di Saada. PrioritĂ  della coalizione è stata privare gli Houthi di armi pesanti e missili balistici dei quali erano entrati in possesso, nonchĂ© indebolire le loro forze per privarle della possibilitĂ  di mantenere l’iniziativa. L’operazione ha incluso un blocco navale al largo di Aden, la ripresa della cittĂ , e un’offensiva su tre direttrici che ha chiuso a tenaglia le milizie Houthi, forzandole a ritirarsi verso nord. Al termine delle operazioni la situazione rimane precaria, ma le forze governative hanno nuovamente il vantaggio. Nel frattempo, il Paese non conosce reale pacificazione ed è sempre piĂą diviso tra quattro fazioni principali e una lunga serie di sotto-gruppi latori di interessi locali.
  2. dal 21 aprile ad oggi l’operazione Restoring Hope, tesa a consolidare la posizione di Hadi e ricominciare gli sforzi diplomatici per pacificare lo Yemen. Le operazioni aeree, terrestri e navali proseguono, ma a ritmo minore, mentre si lavora – ad oggi con scarsi risultati – alla tessitura di un accordo politico tra le parti.

Imponente il dispositivo saudita, che ha potuto contare su circa 150000 uomini, un centinaio di aeromobili e il supporto della marina militare per il blocco navale. A questi si sono aggiunti oltre 10000 uomini supportati da ulteriori 90 aeromobili di vario tipo e 4 unitĂ  navali egiziane. Il risultato militare conseguito è buono, ma la coalizione accusa pesanti lacune nel passare dall’uso della forza ai processi di peace-building e state-building.

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Fig.2 – Truppe saudite nella provincia del Jizan, al confine con lo Yemen

LA BATTAGLIA DELLE AMBASCIATE  In seguito alla recrudescenza delle tensioni regionali tra Arabia Saudita e Iran, lo Yemen è divenuto ancor piĂą campo di battaglia indiretto tra i due contendenti. Singolari gli ultimi avvenimenti: l’Arabia Saudita ha bombardato edifici adiacenti l’ambasciata iraniana in Yemen, e forse anche alcuni edifici dell’ambasciata, accusando l’Iran di utilizzarli come quartier generale per gli Houti. I guerriglieri Houti si sarebbero inoltre avvalsi di altri edifici diplomatici abbandonati per attaccare le forze governative, tentando di far leva sull’extraterritorialitĂ  di quest’ultimi. Per contro, l’Iran sembra non aver difeso a dovere (come previsto dal diritto internazionale consuetudinario) l’ambasciata saudita a Teheran in seguito alle proteste scoppiate dopo l’esecuzione di Nimr al-Nimr. Ancora una volta, il conflitto regionale di cui lo Yemen è tassello assume caratteristiche sui generis e tattiche al limite della legittimitĂ  internazionale.
Inoltre, il confronto tra Paesi in cui il rispetto dei diritti umani non viene garantito a sufficienza porta a conflitti senza quartiere e a tattiche singolari non sempre rispettose dello Stato di diritto. Nel caso yemenita le responsabilità più pesanti in tal senso sono saudite. Riad effettua le proprie operazioni militari con scarsi accorgimenti per la popolazione civile, che si trova spesso sulla linea del fronte senza tutela alcuna. In questo modo il conflitto yemenita, che già aggrava la situazione di povertà e indigenza del Paese, è anche un teatro particolarmente cruento.

Marco Giulio Barone

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Da Yemen, la fine non è in vista, di Veronica Murzio (7 settembre 2015)

«Gli Houthi controllano il terreno. E se stai combattendo tra i civili, disseminando ovunque i tuoi checkpoint, allora sei responsabile delle vittime». Con queste parole il generale Saudita Ahmed Assiri scaricava l’intera responsabilità delle morti civili sulle spalle dei ribelli Houthi. Se un altro generale, ad esempio israeliano o occidentale, avesse liquidato la questione con questa frase, le ripercussioni a livello mediatico sarebbero state enormi.
In Yemen, secondo i rapporti di Amnesty International e Human Right Watch, l’uccisione dei civili è deliberata. Distruzioni di ospedali, moschee e scuole sono state giustificate dal fatto che “era risaputo “ che i ribelli usassero quegli edifici come depositi d’armi. La devastazione di luoghi ben lontani dalla linea del fronte come Sa’ada, roccaforte degli Houthi nel profondo nord del Paese, dichiarata “obiettivo militare” in maggio, ha più un sapore punitivo che strategico.
L’uso di armi particolarmente nocive e non selettive come le bombe a grappolo o gli ordigni al fosforo e al cloro usate a Sana’a, Saada e Haja, ha portato alla denuncia degli attacchi da parte di numerose ONG. Ma l’Arabia Saudita non ha firmato né la Convenzione ONU che bandisce le cluster bombs, nĂ© quella che bandisce l’utilizzo di armi chimiche ,ed è pertanto difficile limitarne l’utilizzo. Inoltre, il mancato intervento del Consiglio di Sicurezza non aiuta di certo a garantire una buona condotta. L’uccisione indiscriminata di civili al di fuori della linea del fronte, come successo a Mokha (65 persone di cui 10 bambini) e Taiz (21 persone) non ha prodotto alcun tipo di proteste.
In parte la differenza di attenzione ricevuta da queste stragi rispetto, per fare un parallelo, a quelle di Gaza nel 2014, può essere spiegata da una parte con la decisione dei maggiori media arabi di accettare la vulgata saudita della vicenda, per scelta o per pressioni politiche, e dall’altra con la voluta cecitĂ  occidentale. Quest’ultima è dovuta, a livello governativo, dalla corresponsabilitĂ  di alcuni Paesi (Stati Uniti e Gran Bretagna in primis) che hanno venduto e continuano a distribuire armi ai sauditi dietro assicurazione – da parte saudita – che non sarebbero state usate in Yemen. A livello di opinione pubblica la guerra è sentita come lontana rispetto alla Libia e alla Siria e lascia molti indifferenti. Questa poca lungimiranza, però, potrebbe diventare un boomerang: ad esempio, la guerra in corso avrĂ  come primo risultato una nuova ondata migratoria verso il Nord del mondo.

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Fig.3 – I bombardamenti della coalizione a guida saudita sono stati duri e spesso sommari

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Il Caffè Geopolitico si è occupato approfonditamente di Yemen nel 2015 dedicandogli uno speciale: Hot Spot: crisi in Yemen.

Vi consigliamo inoltre, sulle nostre pagine:

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Foto: RA.AZ

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Marco Giulio Barone
Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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