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La polveriera Kirkuk

La città irachena è un nodo dove si intrecciano tensioni di ogni tipo: etniche, religiose, economiche. Le autorità riusciranno a scioglierlo prima delle elezioni presidenziali di gennaio?

LO SCENARIO IRACHENO – Un film di Kristian Fraga, montato con le immagini riprese da Mike Scotti, tenente dei marine durante l’invasione americana in Iraq nel 2003, ha riportato il conflitto iracheno all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Secondo le stime del ministero degli interni e della difesa iracheno nel mese di ottobre è raddoppiato il numero delle vittime rispetto a settembre; la notizia fa riflettere considerando che le elezioni politiche sono agli sgoccioli. Infatti a gennaio sono in programma le prossime elezioni, che andranno a definire quale sarà il nuovo presidente e i partiti, che avranno il compito di guidare il paese fuori dall’attuale crisi. Ma uno dei maggior ostacoli sembra essere quello relativo al governatorato di Kirkuk, la cui sorte non è ancora definita e che potrebbe compromettere la data delle elezioni, previste entro il 31 gennaio. La causa principale è la legge elettorale, o meglio gli emendamenti necessari per il nuovo corso politico iracheno che si trova in una sostanziale fase di stallo.Già nelle passate elezioni provinciali, tenutesi a gennaio scorso, il nodo di Kirkuk sembrava poter rallentare il normale processo elettorale per le provinciali, a causa della sua componente multietnica e multiconfessionale che ha impedito al parlamento di trovare una soluzione concreta, ed ha costretto al rinvio delle provinciali tutta la provincia di Ta’amim, che ha Kirkuk come capoluogo. Ebbene, a distanza di quasi un anno la situazione di Kirkuk non è ancora stata risolta e nemmeno il lavoro di Staffan de Mistura, incaricato dell’ONU in Iraq, è riuscito a trovare una soluzione di compromesso tra le parti in gioco. L’ultima fumata nera si è avuta ad ottobre, durante un incontro preparativo sugli emendamenti per la nuova legge elettorale, che per la cronaca dovrà precedere di almeno 90 giorni la data delle elezioni.

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QUALI ATTORI SI CONTENDONO KIRKUK? – Il governatorato di Kirkuk dal 2003 è interessato da una politica di “de-arabizzazione” che ha come obiettivo quello di ristabilire gli equilibri etnici e confessionali prima della politica repressiva di Saddam Hussein degli anni ’80, quando furono deportati – secondo le stime dell’ONU – circa centomila curdi dalle provincie del nord Iraq. Il governo regionale curdo (KRG) rivendica con forza l’appartenenza della provincia di Ta’amim, affermando la propria autorità non solo tramite il controllo delle amministrazioni locali ma anche attraverso l’impiego sistematico dei peshmerga lungo i confini (l’esercito regolare della regione autonoma del Kurdistan iracheno). Dall’altra parte c’è la componente araba che rivendica il proprio diritto di concorrere alla pari con la controparte curda per le prossime elezioni. La minoranza araba ha una storia relativamente breve nella composizione etnica di Kirkuk, essendo stata “inserita” per la maggior parte durante il periodo della cosiddetta campagna al Anfal, che costrinse alla deportazione di migliaia di curdi dalle provincie del nord verso le zone meridionali nei pressi di Bassora; e in questo periodo perciò che si concentra il massimo fenomeno migratorio arabo nella provincia di Kirkuk. Un altro gruppo etnico presente nella zona è quello turcomanno, da sempre nella regione ed appoggiato direttamente dalla Turchia, che rivendica una posizione alla pari con le altre componenti politiche per una ridistribuzione più equa delle ricchezze derivate. Le ricchezze infatti potrebbero essere ingenti. Si parla di un giacimento petrolifero ancora abbastanza grande da attirare le attenzioni di parecchi attori internazionali. Il capo delegato curdo presso l’Unione Europea, Burhan Jaf, ha affermato come l’articolo 140 della Costituzione sia un punto cardine per risanare un’area, nello specifico quella di Kirkuk, dalla campagna di arabizzazione condotta dal regime baathista. Secondo questa lettura dell’articolo, i curdi avrebbero una sorta di “diritto al ritorno” a prescindere dalle decisioni prese in materia dal governo di Baghdad. LA COMPONENTE RELIGIOSA – Il fattore religioso è un altro argomento da approfondire, risultando alla pari di quello etnico, per quanto riguarda il livello di violenze e persecuzioni compiute contro le minoranze confessionali della zona. Il Vescovo di Kirkuk, Mons. Louis Sako, ha affermato su AsiaNews come dal 1600 la storia dei cristiani iracheni di Kirkuk sia contraddistinta da violenze e resistenza alle forze esterne tramite il martirio dei fedeli. La regione di Kirkuk ha una delle più antiche comunità cristiane di tutta la storia della Chiesa. Ma oggi rappresenta un obiettivo da controllare per coloro che vogliono mettere le mani sulla provincia. Inoltre anche la componente mussulmana ha non pochi problemi nel gestire la parte della guerriglia sunnita dei famigerati “movimenti del risveglio” al-Sawa, che dopo una breve parentesi di tregua con il governo di al Maliki, pagata a suon di dollari dall’esercito americano, hanno ripreso attività intimidatorie nelle zone a nord di Baghdad, nel quartiere al-Adhamiya. 

QUALE FUTURO PER KIRKUK – Il problema principale risulta essere quello relativo agli elenchi elettorali, nello specifico la scelta dovrebbe cadere su due possibili opzioni: utilizzare l’elenco del 2004, proposta appoggiata dalla componente araba e turcomanna; il gruppo dei parlamentari curdi e la stessa UNAMI, agenzia ONU di assistenza all’Iraq, supportano invece l’utilizzo di nuovi elenchi aggiornati al 2009. La disputa nasce dal fatto che nel 2004 la presenza curda nella provincia non era così forte come adesso, per via del ritorno di molte famiglie dalle regioni meridionali. Il “ritorno a casa” negli ultimi anni ha creato una nuova maggioranza etnica ed ha complicato il già fragile equilibrio. Se non si dovesse trovare una soluzione a breve, il caso Kirkuk rischierà di degenerare, spingendo il governo regionale curdo a prendere una posizione molto dura, che potrebbe includere una formale richiesta secessionista, nei confronti del governo iracheno. 

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