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L’alleanza tra Egitto e Arabia Saudita alla prova della Siria

Miscela Strategica – Il recente sostegno di Al-Sisi all’intervento russo pro-Assad in Siria manifesta la frustrazione egiziana nella relazione, percepita di sudditanza, con l’Arabia Saudita. Il Cairo e Riyadh vivono un periodo di difficile conciliazione delle loro priorità e cercano alleati alternativi, pur consapevoli della loro indispensabilità strategica

ETNIE E GEOPOLITICA IN SIRIA – La Siria gode di una posizione geografica privilegiata: affacciata sul Mediterraneo e collocata lungo uno dei principali crocevia strategici mondiali, tra Est e Ovest e tra Nord e Sud. Questa centralità ha reso il Paese un crogiolo di etnie. Musulmani sunniti, alawiti, curdi, cristiani ed ebrei, infatti, vi convivono da secoli. Ne sono derivate, tuttavia, forti e confliggenti identità locali, che il Governo ha ripetutamente tentato di unificare, scontrandosi con i limiti geografici del territorio siriano: il deserto divide la zona settentrionale rurale e sciita dei dintorni di Aleppo dalla zona meridionale della capitale Damasco, a maggioranza sunnita ma roccaforte degli alawiti, al potere dagli anni Settanta. L’essenza multiconfessionale, ben esemplificata dal conflitto in corso, ha tradizionalmente spinto i gruppi ad intervenire autonomamente nei teatri regionali per influenzarne le dinamiche e allacciare alleanze utili alla loro supremazia nazionale a scapito delle altre etnie. La Siria è in aperta ostilità con Israele (contenzioso relativo alle alture del Golan), è l’unico grande alleato arabo dell’Iran (legato ad Hezbollah in Libano grazie alla mediazione di Damasco) ed è uno dei rari sostegni di Hamas. Il Paese, dunque, è strategicamente rilevante, proprio perché un qualsiasi cambiamento di regime può ripercuotersi significativamente in tutto il Medio Oriente. In questo contesto si inseriscono gli interessi di Egitto e Arabia Saudita. Spesso in sintonia, Il Cairo e Riyadh si contendono, però, la leadership regionale, l’uno contando sulla sua popolosità e sulla storia millenaria, l’altro facendo leva sulle radici islamiche e sulla florida economia.

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NUMERI
74%: musulmani sunniti in Siria contro il 18% alawita, sul totale di 17,951,639 abitanti
3000: tonnellate di armi pesanti destinate dai sauditi al Free Syrian Army (dal 2014)
2500: foreign fighters sauditi impegnati in Siria, contro i 385 egiziani
$16 miliardi: aiuti e investimenti sauditi ad Al-Sisi (dalla sua elezione)
– $700 milioni: perdita economica gravante sul Cairo per ogni anno del conflitto siriano

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CAIRO E RYIAD, POLITICHE ESTERE A CONFRONTO – La priorità di Re Salman è il contenimento regionale dell’influenza iraniana, contro la quale mira a costruire un’ampia alleanza sunnita. Intensificando l’agenda del predecessore Abdullah, il sovrano ha recentemente incontrato, in Arabia Saudita, gli esponenti di quei partiti mediorientali ritenuti affidabili interlocutori anti-sciiti e solidi attori locali, attraverso i quali promuovere le politiche del Regno in contesti di mutamento. Dimenticando passate ostilità e recenti discordie, il monarca ha accolto la Fratellanza Musulmana (Giordania), i suoi principali sostenitori regionali (Qatar e Turchia), Hamas (Palestina), Ennahda (Tunisia) e Islah (Yemen), rendendo, tra l’altro, pubbliche le proprie simpatie islamiste. Ben diverse sono le preoccupazioni di Al-Sisi: mantenere in vita un Paese economicamente fragile e ribadire il peso strategico di un Egitto stabile in Medio Oriente. La politica estera, evidentemente organizzata intorno alle esigenze di sopravvivenza e restaurazione nazionale, ha due principali scopi: attrarre investitori e partner commerciali, da un lato, e allontanare qualsiasi minaccia ideologica, normalizzando le crisi regionali, dall’altro. Il sostegno saudita a favore dei gruppi islamisti, infatti, è inaccettabile per Il Cairo. Al-Sisi ha efficacemente sradicato la Fratellanza in patria ma teme, sull’onda del discontento popolare verso la Presidenza e lo stallo dello sviluppo, che il loro trionfo in qualche scenario regionale possa alterare gli equilibri interni al Paese.

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Fig. 1 – La crisi siriana acuisce i problemi di sicurezza del giĂ  fragile Egitto. Nell’immagine, una colonna id militari in Sinai

STRATEGIE NEI CONTESTI REGIONALI – Le divergenze tra Egitto e Arabia Saudita, intensificatesi con la reggenza di Salman, sembravano parzialmente ricucite con la Dichiarazione del Cairo di fine luglio. I due Paesi avevano, allora, riaffermato la reciproca volontà di impegnarsi a favore della sicurezza e della stabilità mediorientale, riferendosi l’uno alla minaccia terrorista e l’altro al risveglio iraniano. Le esigenze nazionali, tuttavia, fanno emerge interessi contrastanti, poiché entrambi sono alle prese con dei vicini (Yemen e Libia) che minacciano la sicurezza nazionale. Mentre al-Sisi ha dispiegato circa 800 uomini per soccorrere i sauditi, questi optano per una soluzione politica in Nord Africa, non accontentando le richieste egiziane. Il banco di prova più interessante è la Siria, scenario nel quale i due Paesi giocano una partita decisiva. Il Cairo vuole normalizzare la situazione e riprendere i proficui scambi commerciali con il Levante. Per farlo, è disposto ad accettare la presenza di Assad, almeno durante la transizione, e ad appoggiare i bombardamenti russi contro i ribelli.
Ne deriverebbero l’agognata ripresa economica, il rilancio del ruolo regionale dell’Egitto e l’aumento della popolarità di Al-Sisi. Al contrario, Riyadh, la cui incisività è stata ridimensionata dall’intervento diretto di Mosca, non ha alcuna fretta, né alcuna strategia concreta, per risolvere l’instabilità siriana, se non continuare a rifornire di armi pesanti i principali gruppi ribelli (Jaish al-Fatah, Free Syrian Army e Southern Front). Gli imperativi degli Al-Saud restano due: destituire Assad, precondizione per qualsiasi accordo, e insediare un potere sunnita. Fini ultimi sarebbero, evidentemente, marginalizzare l’influenza sciita-iraniana e trionfare come guida politica e religiosa. Arabia Saudita ed Egitto, dunque, si dividono soprattutto sulla questione siriana.

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Fig. 2 – Il Presidente egiziano Al-Sisi e l’omologo russo Putin durante un incontro presso il Cremlino, 2015

ALTERNATIVE IN VISTA? – Al-Sisi, moderno Nasser, mira a far valere il potenziale peso economico, militare e culturale dell’Egitto sfruttando la crisi siriana per intraprendere politiche indipendenti rispetto ai suoi finanziatori del Golfo. La percezione di sudditanza verso Riyadh trova sfogo nei quotidiani vicini alla Presidenza, che criticano apertamente la nuova strategia di Salman e riportano dichiarazioni favorevoli all’importazione del petrolio iraniano, una volta cessate le sanzioni. Nella stessa direzione vanno gli incontri con la Russia, in merito alla cooperazione bellica, energetica e agroalimentare e all’inclusione dell’Egitto in una zona di libero scambio con l’Unione doganale euroasiatica. Il Cremlino, ancora gravato dall’embargo occidentale, cerca uno stabile interlocutore mediorientale col quale allacciare una duratura alleanza, d’altra parte, Il Cairo vuole rilanciare il proprio prestigio e lo fa “svendendosi” al miglior finanziatore.
Sebbene Mosca sia una concreta alternativa a Riyadh, ci sono alcuni elementi di perplessità: i vasti interessi russi, la pretesa di sostituire (e non integrare) gli aiuti statunitensi, l’estraneità alla complessità della politica mediorientale e l’intervento in Siria (che a lungo andare ricorderà la resistenza afghana) presagiscono una mera cooperazione economica con limitati vincoli politici. Gli Al-Saud, intanto, valutano le conseguenze dell’eventuale allontanamento egiziano: marginalizzazione dell’influenza in Nord Africa, perdita di un Paese militarmente significativo, indebolimento delle posizioni in Yemen e aumento delle probabilità di sconfitta a favore degli sciiti Houthi, ampliamento della sfera iraniana e minacce ai confini. Riyadh, incassate le critiche, dovrebbe allentare le pretese verso Al-Sisi, accontentandolo nelle sue primarie esigenze di sicurezza e concedendogli maggiore autonomia. Le discordie sulla questione siriana appaiono temporanee e, a meno che Il Cairo non partecipi attivamente alla restaurazione di Assad, non si disimpegni in Yemen, non collabori con Teheran e non cambi radicalmente visione strategica, le relazioni con i sauditi continueranno a lungo.

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Fig.3 – Elicottero d’attacco russo in azione in Siria. L’intervento russo ha cambiato alcune carte in tavola

PARAMETRI PER IL FUTURO – L’andamento dei rapporti fra Arabia Saudita ed Egitto dipende da alcuni elementi.

[toggle title=”Alleati alternativi e credibili” state=”close”]
Gli equilibri nazionali, in determinati periodi storici, impongono nuovi accordi con attori locali divenuti strategicamente rilevanti in virtù di particolari contingenze. L’Egitto, ad esempio, vive un momento di stasi economica e guarda alla Siria come vecchio partner commerciale, dunque, appoggia l’intervento russo (trascurandone le implicazioni politiche) ritenendolo produttivo per i suoi interessi. L’Arabia Saudita, da parte sua, si avvicina alla Fratellanza Musulmana col solo scopo di formare una coalizione sunnita in chiave anti-iraniana. In entrambi i casi, né Mosca né i Fratelli sembrano alternative durature, dal momento che esistono inconciliabili divergenze ideologiche. Il Cairo e Riyadh hanno un reciproco bisogno dell’altro, almeno finché non comparirà un alleato col quale individueranno una convergenza strategica di lungo periodo. [/toggle]
[toggle title=”Cooperazione militare, autonomia politica e fiducia reciproca” state=”close”]
In questa fase di restaurazione, l’Egitto avverte l’esigenza di dimostrare il proprio peso regionale, facendo leva sull’imponenza dell’apparato militare e sull’acutezza delle proprie strategie. Al-Sisi, infatti, vuole stabilire un’agenda politica autonoma, che sleghi il Paese dalle imposizioni saudite e gli permetta di scegliere lo schieramento da sostenere. Il Cairo, però, può bilanciare tale indipendenza facendo leva sulla grandezza del proprio esercito e coinvolgere i sauditi, con vasti interessi da difendere, in un’intensa cooperazione militare. Qualora continuassero le intromissioni nella sovranità del Cairo, verrebbe meno la fiducia reciproca e l’alleanza diventerebbe un rapporto di sottomissione, inaccettabile per un Egitto che aspiri alla supremazia regionale. [/toggle]
[toggle title=”Reciproco sostegno sulle prioritĂ  nazionali.” state=”close”]
Ogni leader deve individuare le priorità nazionali e realizzarle ottenendo ampi benefici e minimi costi. In particolari circostanze, due alleati possono temporaneamente trovarsi a perseguire interessi inconciliabili e, in quei casi, è essenziale il rafforzamento del sostegno reciproco laddove, invece, la strategia è condivisa oppure uno dei due è in particolare difficoltà. In Siria, ad esempio, Egitto e Arabia Saudita hanno visione contrastante che deriva dai loro interessi nazionali vitali. Questo non vieta, però, che possano collaborare su altri fronti: come nello Yemen, Il Cairo coadiuva i sauditi a difendere la loro sicurezza nazionale (e si assicura l’apertura dello Stretto di Bab el-Mandeb), Riyadh potrebbe spalleggiare l’Egitto in Libia, dove è in gioco la sicurezza dei confini nordafricani, al contrario, opta per una soluzione politica senza particolare urgenza, trovandosi lontano dagli interessi vitali del Golfo. Qualora l’eccessivo disinteresse per il partner diventasse parte della stessa politica di cooperazione, allora la stessa alleanza non avrebbe più senso di esistere. [/toggle]

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Fig.4 – Conferenza stampa del generale saudita  Ahmed Asiri sulle operazioni in Siria

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RISCHI
L’eventuale rottura dell’alleanza avrebbe le seguenti implicazioni:
Per l’Egitto:
1) Perdita del principale finanziatore (il Golfo);
2) Peggioramento dell’economia e dello sviluppo locali;
3) Scarsa incisivitĂ  nello scacchiere mediorientale;
4) Discordie all’interno della Lega Araba e sfaldamento della coesione sunnita.
Per l’Arabia Saudita:
1) Perdita di un alleato militarmente significativo;
2) MarginalitĂ  in Nord Africa;
3) DifficoltĂ  operative in Yemen;
4) Accrescimento della sfera d’influenza iraniana;
5) Minacce alla sicurezza dei confini.

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VARIABILI
L’andamento delle relazioni tra i due Paesi dipende principalmente da:
1) Esistenza, per entrambi, di un credibile alleato alternativo;
2) Realizzazione concreta dei piani annunciati dall’Egitto (es. commercio con l’Iran, accettazione di Assad);
3) Strategie comuni a sostegno delle rispettive esigenze nazionali;
4) Maggiore autonomia al Cairo in politica estera;
5) StabilitĂ  dei poteri centrali.

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Foto: alolipy

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Sveva Sanguinazzi
Sveva Sanguinazzi

Sono nata nel 1989 a Fiorenzuola d’Arda (Piacenza) ed ho conseguito la laurea specialistica con lode in Relazioni Internazionali presso l’UniversitĂ  di Bologna, scrivendo una tesi sul rapporto tra Arabia Saudita e terrorismo islamico (marzo 2014). Dopo un breve soggiorno Erasmus a Copenhagen, attualmente (ottobre 2014 – giugno 2015) vivo a Tunisi, dove seguo un corso di perfezionamento della lingua araba. Una volta tornata in Italia mi piacerebbe iniziare un dottorato o un periodo di ricerca presso societĂ  private. Affascinata dai Paesi del Golfo (e piĂą in generale da tutta la regione MENA), mi interesso di tutto ciò che riguarda il terrorismo, dell’influenza che la religione esercita sulla politica e di tribalismo.

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