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Albania-Serbia: vince la civiltà

In 3 sorsi – Un anno dopo gli scontri del 2014, si gioca il ritorno di Albania-Serbia. Quella che può sembrare una “semplice” partita di calcio, è però un’espressione della complessa relazione tra i due Paesi più importanti dei Balcani. Per ciò che riguarda il calcio giocato, almeno stavolta, ha vinto la civiltà

1. LA PARTITAChi si aspettava qualcosa oltre a una partita di calcio sarà rimasto sicuramente deluso. All’andata, nell’ottobre 2014, era successo di tutto, con il famoso drone che trasportava la bandiera della Grande Albania. Quella provocazione fece esplodere l’ira di uno stadio già ad alta tensione, con gli hooligan serbi scesi in campo per farsi giustizia. La UEFA, imbarazzata, ha impiegato molti mesi prima di accettare il verdetto dell’arbitrato di Losanna e confermare i 3 punti a tavolino all’Albania. Il ritorno, con le misure di sicurezza da massima allerta da parte di Tirana, è stato solo una partita di calcio. In campo ha vinto il fair play da parte dei giocatori e sugli spalti un magnifico tifo pacifico dei sostenitori albanesi. Per la cronaca, la Serbia ha vinto segnando 2 goal nel secondo tempo durante il recupero, al termine di una partita in sostanziale equilibrio.

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Fig. 1 – Un’immagine dell’incontro tra Edi Rama e Aleksandar Vučić nel novembre 2014

2. LA POLITICA – Un mese dopo il match del 2014, a Belgrado si giocò un altro incontro, ancora più importante. Il premier albanese, Edi Rama, si recò in Serbia per una visita storica a distanza di 67 anni dall’ultima volta di un capo di Stato albanese. Nell’occasione precedente era stato il dittatore Enver Hoxha a recarsi nell’allora Jugoslavia del maresciallo Tito. Non sono mancati momenti di tensione tra i due leader durante la conferenza stampa: da un lato le dichiarazioni di Rama sul dovere serbo di riconoscere ormai come un dato di fatto il Kosovo quale Stato sovrano e realtà regionale, dall’altro un Vučić stizzito in maniera fin troppo evidente ed emotiva. I giorni seguenti hanno visto una campagna mediatica contro Vučić e Rama da parte dei media serbi, mettendo in secondo piano l’oggetto della visita: il tentativo di ripristinare un dialogo diretto tra i due Paesi più importanti dei Balcani. Sicuramente Rama poteva soprassedere sul discorso Kosovo a Belgrado, però con quella mossa raccolse il consenso non solo a Tirana, ma soprattutto a Pristina, come leader di tutti gli albanesi nella regione. Vučić aveva sperato fino in fondo che Rama non toccasse il tema, come da protocollo, ma una volta entrati nell’argomento il Primo ministro serbo non è riuscito a dominare la propria insoddisfazione di fronte a un’opinione pubblica che difficilmente lo avrebbe perdonato. Questi atteggiamenti hanno oscurato tre accordi molto importanti dal punto di vista economico: collaborazione in materia doganale, scambi culturali per i giovani e, più in generale, per i cittadini dei due Paesi.

3. TRA ALBANIA E SERBIA C’È L’UE – Nell’agosto del 2014 è partito il Processo di Berlino, una serie di conferenze annuali con l’obiettivo di integrare i Balcani nell’UE. Questo tipo di incontri non ha solo l’obiettivo di far parlare i leader balcanici tra loro, ma anche – e soprattutto – di aprire un dialogo su energia e grandi opere infrastrutturali nella regione. Qui l’Albania e la Serbia hanno il ruolo specifico di creare un sistema regionale di distribuzione dell’energia, connettendo altri Paesi europei come la Grecia, la Romania e l’Ungheria. Si parla inoltre di infrastrutture come l’Autostrada azzurra (Adriatico-Ionica), che dovrebbe collegarsi con un’altra grande autostrada che parte da Niš in Serbia, passa da Pristina in Kosovo e arriva nel porto di Durazzo in Albania. Queste grandi opere dovrebbero aumentare anche il flusso commerciale internazionale nella regione. Ovviamente il Processo di Berlino viene guidato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, facendo capire chiaramente ai leader dei Balcani che senza infrastrutture non potrà mai esserci un’integrazione economica della regione nell’UE. L’iniziativa di Merkel, però, sicuramente ha anche un obiettivo geopolitico un po’ più rilevante: mantenere Russia e Cina lontane dai Balcani.

Juljan Papaproko

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Foto: bdindo56

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Juljan Papaproko

Juljan Papaproko è nato a Tirana. Laureato in Scienze Politiche a Torino con una tesi sulla Guerra del Kosovo. Collabora con diverse testate giornalistiche in Italia e in Albania. Il suo centro di interesse è l’Europa e i Balcani, binomio difficile ma affascinante. Diverse esperienze di vita a Torino, Firenze, Parigi, Bruxelles e Berlino. Condivide con il Caffè la stessa passione per la geopolitica.

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