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Risiko 2013

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Come spesso succede, anche il 2012 è stato un anno caratterizzato da conflitti: scontri tra fazioni all’interno di uno stesso paese, stati nazionali contro nemici non nazionali (come gruppi terroristici o milizie) e nuove crisi geopolitiche e strategiche in giro per il mondo. Cosa ci riserverĂ  al riguardo il 2013? Difficile dirlo, ma sicuramente possiamo osservare 10 aree di crisi da tenere sott’occhio

 

1) MAR CINESE MERIDIONALE

 

In Vietnam e Filippine nel 2012 si parlava di guerra imminente con la Cina per il controllo delle Isole Spratley, ricche di risorse naturali. Non è il caso di allarmarsi troppo: nonostante le tensioni diplomatiche e l’invio di navi cinesi per dimostrare la propria presenza, è improbabile che si arrivi a un conflitto nell’area, almeno non nel 2013. E’ però importante osservare il gioco di alleanze all’interno delle organizzazioni internazionali locali (ASEAN) per capire come cambino i rapporti di forza. Gli USA stanno spostando la loro attenzione al Pacifico proprio per controllare le mosse cinesi, ma quanto si immischieranno nella cosa dipende da quale visione della Cina prevarrà all’interno dell’Amministrazione Obama: solo un futuro nemico o un nuovo possibile partner? Il dibattito è letteralmente ancora in corso.

 

2) ISOLE SENKAKU/DIAOYU

 

Possono Cina e Giappone entrare in guerra per queste isolette che entrambi affermano proprie? Come dice l’Economist, è tristemente possibile. In realtà nessuna delle due parti ha interesse a scatenare un conflitto per queste isole che, per quanto potenzialmente ricche di risorse, difficilmente si potranno sfruttare a breve. Il problema è che sia il neo-eletto governo giapponese sia quello cinese potrebbero soffiare sui fuochi nazionalistici in patria e, di fatto, rischiare il conflitto solo perché nessuno dei due può permettersi di perdere la faccia davanti all’altro – le ferite della II Guerra Mondiale del resto bruciano ancora nell’opinione pubblica. Una speranza di pace può venire dagli USA, che riconoscono la rivendicazione giapponese e hanno affermato che il loro patto di mutua assistenza comprende anche le isole – un valido deterrente a che la cosa non subisca un’eccessiva escalation. Le dichiarazioni bellicose e le dimostrazioni però continueranno.

 

3) IRAN

 

Ogni anno dal 2010 si dice che l’Iran raggiungerà la bomba entro pochi mesi. Tuttavia i rapporti al riguardo continuano a intensificarsi. E’ impossibile dire a che punto siano davvero arrivati gli Ayatollah, ma la pazienza di Israele è sicuramente ai minimi. Ora gli USA non sono più in campagna presidenziale, mentre Israele potrebbe avere una nuova maggioranza: elementi ideali per lanciare l’attacco. Peccato (o per fortuna) però che gli USA non vogliano un nuovo conflitto in Medio Oriente e se l’Iran non eccede nella sua risposta (evitando di colpire il petrolio che serve anche e soprattutto al suo alleato Cina) la sfida rimarrà tra Gerusalemme e Tehran. In tutto questo l’Iran forse potrebbe salvarsi dichiarando di avere raggiunto l’arma: a quel punto, chi attaccherebbe? Si avrebbe però un’escalation verso la bomba atomica da parte dei paesi arabi del Golfo: secondo indiscrezioni l’Arabia Saudita ha già un accordo in tal senso con il Pakistan.

 

4) SIRIA

 

Negli ultimi mesi la situazione sul campo ha arriso maggiormente ai ribelli. Assad è agli stremi? Se ne andrà in esilio oppure rischierà di essere catturato o ucciso? Gli analisti preferiscono chiedersi come sarà la Siria post-Assad, ovvero se l’opposizione gradita all’Occidente riuscirà a mantenere l’ordine oppure se il paese rimarrà bloccato da lotte intestine. Inoltre, il rischio che le armi chimiche cadano in mano a gruppi estremisti sembra essersi recentemente alzato. Probabilmente parte delle domande avranno risposta proprio nel 2013 – perché al ritmo attuale Assad un altro anno non resisterà.

 

5) GAZA

 

Israele e Hamas combatteranno ancora nel 2013? Forse no, perché Israele ha “tagliato l’erba” abbastanza per garantirsi un po’ di tregua e Hamas non ha tanta voglia di rischiare ancora: il conflitto recente ha consentito di raggiungere accordi mai conseguiti prima: riapertura di alcuni valichi, allargamento dell’area di pesca consentita, prestigio interno. Tutto potrebbe essere perso con un nuovo conflitto, dove Israele non agirebbe in maniera così leggera come a novembre scorso quando ha evitato l’invasione di terra. Meglio quindi rafforzarsi internamente, e cercare di recuperare vantaggi contro Fatah e il presidente Abu Mazen – Israele del resto è contento dello status quo e guarda molto di più all’Iran.

 

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6) AFGHANISTAN

 

Non sembra esserci fine agli scontri in Afghanistan: la NATO ha la meglio negli scontri diretti, ma i Talebani e i miliziani loro alleati continuano a essere una minaccia nonostante le gravi perdite subite, anche grazie alle basi pakistane dove nessuno osa entrare. Il 2014, data del ritiro occidentale, si avvicina, e il 2013 potrebbe dunque essere l’anno dove si metteranno le basi per il futuro del paese – che, vista la corruzione della sua classe dirigente, non appare così roseo. Molto dipenderà anche dalle comunità locali, e da come vorranno opporsi ai Talebani per evitare un ritorno all’oscurantismo precedente: in effetti chi è più a rischio sono le donne del paese, per le quali il ritorno al passato è probabilmente un incubo.

 

7) REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

 

Ne abbiamo parlato a lungo a Novembre: tra governo e ribelli del gruppo M23 la lotta per il controllo delle aree orientali del paese è accesa. I ribelli hanno abbandonato la città di Goma dopo averla conquistata, a causa delle pressioni dell’Occidente sui loro principali sponsor: Ruanda e Uganda. Tuttavia questo non risolve le dispute per la regione del Nord Kivu, ricca di minerali – e l’esercito congolese non appare in grado di poter tener testa ai ribelli. Il 2013 vedrà sicuramente altri scontri, a tutto discapito della popolazione stremata e nonostante la presenza di Caschi Blu ONU nella zona.

 

8) SOMALIA

 

Quello che era un paese dominato dagli estremisti islamici di al-Shabaab è stato ora liberato dalle truppe etiopi, keniote e dell’AMISOM, ed è guidato nuovamente da un Presidente democratico. Ma rimane il dubbio che i terroristi si siano solo dispersi e che il Presidente abbia poco controllo fuori dalla capitale Mogadishu. Da seguire è l’evoluzione della situazione di sicurezza del paese – se resta troppo dipendente dalle truppe estere, quale futuro avrà? Già ora politici e affaristi kenioti stanno posando  le mani sulla produzione ed esportazione di carbone del paese. Nota positiva: i pirati di origine somala che infestavano il Golfo di Aden stanno diminuendo gli attacchi, grazie anche all’opera di vigilanza delle marine internazionali. Nota negativa: molte parti del paese si stanno di fatto staccando dal governo centrale per dare origine a piccoli stati indipendenti.

 

9) MALI

 

Il paese è diviso in due: il nord in mano a Tuareg e ai terroristi legati, nominalmente, ad Al-Qaeda; il sud in mano a un debole governo nato da un recente colpo di stato. Non solo l’esercito regolare non ha la forza per riconquistare il nord, ma nemmeno le nazioni vicine (l’ECOWAS) possono fornire sufficienti aiuti in tal senso. Rimangono gli USA e la Francia, che però preferirebbero non intervenire direttamente. Droni, commandos e istruttori occidentali potrebbero diventare comuni nell’area – il rischio che il contagio islamico si propaghi nella regione è alto. Forse però i ribelli si possono dividere: Tuareg ed estremisti non si vedono di buon occhio, e di questi ultimi alcuni gruppi sono più avidi che fanatici. Divide et impera: forse è la soluzione che si prospetta per risolvere la questione; non sarà comunque breve.

 

10) COLOMBIA

 

Tra tutti questi conflitti, ci piace segnalare anche un caso in controtendenza. In Colombia, dopo anni di sanguinoso conflitto, si apre finalmente uno spiraglio di pace tra il governo di Bogotà e le milizie marxiste meglio conosciute come FARC. Negli ultimi anni il governo è riuscito a eliminare gran parte dei capi storici delle FARC e a ridurre enormemente la loro capacità militare. Nuovi colloqui di pace sono avvenuti negli ultimi mesi del 2012 a Cuba e il Presidente colombiano Manuel Santos spera di avere un accordo definitivo entro novembre 2013. Le FARC non sono l’unico gruppo armato che si oppone al governo, ma è di gran lunga il più grande e influente. Disarmati loro gli altri seguiranno, e il paese potrebbe avviarsi a chiudere davvero una delle sue pagine più sanguinose.

 

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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