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Un Caffè con Pietro Pellegrini, RADAR 1957

Miscela Strategica In occasione del salone internazionale DSEI 2015 abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Pietro Pellegrini, CEO di Radar 1957. Ne abbiamo approfittato per chiedere il suo punto di vista sui temi a noi cari, con focus particolare su Europa, competitività e politiche industriali

Signor Pellegrini, per cominciare, quali sono i vostri prodotti di punta? Qual è la vostra posizione nell’industria nazionale e internazionale?

La nostra esperienza parte con mio padre, nel 1957, con le attività di conceria e con la produzione di cinture. Ci si è poi dedicati alle fondine e da lì è cominciata la nostra esperienza nel settore difesa. Da allora molto è cambiato, con l’inserimento di polimeri, tessuti, carbonio e altri materiali particolari, diciamo un nuovo mercato. Il cambiamento per noi è fondamentale. Non avendo un mercato ampio come quello statunitense, con milioni e milioni di armi in circolazione anche solo ad uso privato, dove anche prendere una fettina del 5-10% del mercato significa sfondare, dobbiamo puntare ad avere un’offerta varia e articolata. Offriamo quindi dei prodotti, le fondine in primis, che sono il nostro cavallo di battaglia, in diverse versioni, materiali e finiture. A seguire gli accessori: cinturoni, porta-manette, porta-caricatori, ecc. Equipaggiamento che va quindi principalmente ad utilizzatori istituzionali, Forze armate e di Polizia, che sono soddisfatti della qualità dei nostri prodotti, sia in Italia che all’estero.

Vi troviamo nello stand britannico con Viking Arms, perché?

L’esercito inglese ha recentemente cambiato la pistola di ordinanza, passando dalla SIG P226 alla Glock, ed ha dovuto cambiare la fondina di conseguenza. In questo cercavano un prodotto che fosse adeguato alle esigenze odierne di flessibilità e robustezza. Ieri si operava in Bosnia, oggi in Afghanistan, domani chissà, forse in Siria, quindi bisogna esser bravi a rispondere con un solo prodotto a tante esigenze diverse.

La Commissione Europea invita da qualche anno le aziende del settore a coordinarsi tra loro e a prediligere operazioni di M&A. Quanto le politiche UE condizionano il vostro assetto aziendale e le vostre strategie?

Per noi la creazione di un vero mercato comune nel settore difesa sarebbe vantaggiosa. Senza il sistema delle clientele che vede gli Stati appaltare alle proprie industrie nazionali quasi a prescindere da quale sia il prodotto migliore noi saremmo molto più contenti. Il nostro prodotto è ottimo, può vincere le gare, in un mercato realmente libero ed integrato dal punto di vista giuridico possiamo fare ancora meglio di oggi. La Francia ad esempio è un Paese molto chiuso. Intendiamoci, le gare cui partecipiamo sono tutte in regola con i dettami della WTO (World Trade Organization), però poi ognuno cerca di favorire i propri pupilli ed in questo un’azienda completamente privata si trova un po’ in mezzo al fuoco incrociato.

Il "nostro" Marco Giulio Barone con Pietro Pellegrini, CEO di Radar 1957 e Rosalba Crociani, vice-presidente presso lo stand dell'azienda al salone DSEI 2015
Il “nostro” Marco Giulio Barone con Pietro Pellegrini, CEO di Radar 1957 e Rosalba Crociani, vice-presidente, presso lo stand dell’azienda al salone DSEI 2015

 

Di cosa avreste bisogno per competere al meglio, invece?

Regole certe e comuni! Ad esempio, abbiamo appena partecipato a una gara in Spagna dove avevamo bisogno di un costoso atto notarile per certificare i prodotti, in Italia l’equivalente si può fare con l’autocertificazione. Insomma, a dispetto delle dichiarazioni di principio le regole comuni non ci sono e a noi invece piacerebbero, perché ci darebbero certezza su cosa serve per essere adeguati in termini di legge a competere dove abbiamo necessità. E devono essere regole mirate, non generiche o di principio. Questo ci servirebbe anche per poter mettere allo stesso livello tutte le aziende e farle competere davvero. Altrimenti io, pur offrendo ottimi prodotti, mi trovo in svantaggio come italiano, perché non adeguatamente supportato o sponsorizzato dal mio Paese, al contrario degli altri. Ci siamo trovati più volte in situazioni in cui da piccola azienda ci toccava lottare contro i colossi americani con milioni di dollari di fatturato. Ad esempio in Olanda abbiamo partecipato a una gara per 84.000 fondine. Il requisito era chiaramente tarato sui prodotti dei concorrenti americani, ma noi siamo riusciti a proporre delle fondine di qualità superiore ad un prezzo addirittura più vantaggioso. Alle valutazioni abbiamo preso il massimo punteggio e abbiamo vinto la gara. Poco dopo è stata annullata, a mio parere per un pretesto. Abbiamo poi saputo che dall’ufficio commerciale dell’Ambasciata statunitense avevano fatto pressione per difendere la propria azienda. Il contenzioso che ne è scaturito lo abbiamo vinto e l’ordine ci è stato confermato in seconda battuta, solo che quando ci hanno annullato la gara io ho chiamato la nostra ambasciata in Olanda per ricevere supporto e magari protestare. Invece l’unica cosa che mi hanno saputo dire è stata il contatto telefonico di un legale olandese. È un po’ vergognoso, anche perché il fatto che non mi abbiano assistito a livello diplomatico ci è costato 25.000 euro solo per l’avvocato, con il dubbio che alla fine non ci dessero nemmeno ragione (che avevamo!)

Ma non si riesce a far gruppo con le altre aziende italiane con esigenze comuni, in alternativa?

Non sempre, non c’è la volontà di aggregarci, ognuno ha il suo piccolo orticello e se lo tiene. Noi andiamo in giro per il mondo, contrattiamo con canadesi, brasiliani, spagnoli senza supporto alcuno.

Uno scorcio dello stand con assortimento di fondine, cinturoni ed altri accessori di Radar 1957
Uno scorcio dello stand con assortimento di fondine, cinturoni ed altri accessori di Radar 1957

Le crisi internazionali e le conseguenti scelte nazionali ed UE in politica estera (nel breve periodo) condizionano la vostra performance? In che modo?

Sì, ma questo dipende dalla nostra capacità di rispondere ad esigenze multiple in tempi brevi. Spesso ci vengono fatte richieste di prodotti “fuori serie” perché ciascuno, anche nello stesso teatro, ha la propria esigenza – ad esempio a seconda delle regole di ingaggio e quindi delle modalità in cui l’arma si combina con i nostri accessori. Questo da una parte rappresenta un vantaggio per noi, perché ci difende dalla concorrenza, ad esempio cinese, che non è in grado di proporre prodotti di qualità ad elevata customizzazione, lo svantaggio è che queste richieste rendono il prodotto più costoso. I nostri concorrenti non possono minacciarci su questo campo, ma ovviamente producono in massa e a prezzi stracciati, quindi la tentazione di comprare da loro viene. Almeno all’inizio, quando non ci si rende conto che poi, sul campo, quella roba si rompe subito e ci si trova nei guai in situazioni magari critiche.

In Italia le tematiche del settore difesa e sicurezza sono spesso trattate poco e male. Un’azienda come la vostra ne risente in qualche modo?

Abbiamo ben presente la narrativa per cui chi fa parte del mercato della difesa foraggia le guerre, quindi siamo brutti e cattivi. Non ne risentiamo direttamente, dal momento che non produciamo armi in senso stretto, però bisogna sempre tenere un profilo basso non giustificato. E questo significa non poter fare tanta pubblicità, non potersi promuovere, e quindi negarsi alcune opportunità. Oltretutto noi ci muoviamo tanto all’estero, siamo una società privata, una bella realtà produttiva, e anziché essere elogiati abbiamo invece meno visibilità. Il nostro mercato di riferimento non è solo nazionale, quindi questo non è vitale, ma il non potere affrontare certi argomenti ad ampio respiro alimenta la disorganizzazione quando le nostre aziende dovrebbero far gruppo tra di loro, o far parte di una squadra adeguatamente supportata dallo Stato, che invece latita anche per l’impopolarità politica di questo tipo di mercato. Tornando a guardare alla nostra azienda, l’opinione pubblica ostile o un dibattito povero non ci ostacolano direttamente, ma nemmeno ci facilitano. Noi siamo parte delle PMI (Piccole e Medie Imprese) che si proclamano di voler difendere – e non ne avremmo nemmeno bisogno economicamente – e siamo tra i pochi con tutte le carte in regola e che paghiamo tutte le tasse, ma rimaniamo negletti. Questo ci spiace un po’.

La nostra intervista si conclude qui. Rivolgiamo un caloroso ringraziamento a Pietro Pellegrini, Rosalba Crociani e Dennis Wijnman per la loro cordialità e disponibilità!

Marco Giulio Barone

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Video – Pietro Pellegrini illustra alcuni prodotti di punta dell’azienda

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Un chicco in più

Per chi volesse approfondire, questa intervista è parte integrante dello speciale che Il Caffè Geopolitico ha dedicato al salone DSEI 2015.

Radar 1957 è un’azienda di Fucecchio (FI) che produce forniture militari, principalmente fondine e cinturoni, per Forze armate e di polizia. L’azienda produce circa mezzo milione di pezzi all’anno ed opera per corpi istituzionali di almeno 8 Paesi (Italia, Belgio, Brasile, Malesia, Norvegia, Olanda, Portogallo e Spagna). La vasta gamma di prodotti e la possibilità di personalizzarli secondo le necessità operative rende Radar 1957 un’azienda molto competitiva. Secondo Pietro Pellegrini, la capacità di congiungere innovazione tecnologica ed esperienza sono gli ingredienti per affermarsi anche nei mercati più difficili.

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Marco Giulio Barone
Marco Giulio Baronehttps://ilcaffegeopolitico.net

Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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