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La Cina riscopre Confucio, Confucio salva la Cina

I libri del Caffè – Nella cornice della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, il pomeriggio del 29 settembre il sinologo Maurizio Scarpari ha presentato la sua ultima fatica: Ritorno a Confucio. La Cina di Oggi fra Tradizione e Mercato (Il Mulino, Bologna 2015). All’incontro hanno partecipato Romano Prodi e Stefania Stafutti, docente di letteratura cinese all’Università di Torino e direttrice dell’Istituto Italiano a Pechino.

Questo articolo è stato pubblicato originalmente su “China Files”

Ritorno a Confucio di Scarpari ritrae in modo lucido e fedele la Cina odierna e le sue contraddizioni: in bilico fra principi socialisti, capitalismo e spirito umanista, desiderosa di ergersi a locomotiva del mondo ma al tempo stesso legata alle sue tradizioni così profondamente cinesi.

Infatti, se da un lato alcuni dati economici parlano chiaro – dal 2010 il PIL cinese è il secondo al mondo, mentre è il primo in termini di di parità di potere d’acquisto  -, d’altra parte sono ancora molti i fronti su cui la RPC deve investire. Il PIL pro capite, per esempio, è ancora piuttosto basso e rischia di impantanare la Cina nella middle income trap, senza dimenticare i recenti terremoti che hanno scosso la Borsa di Shanghai, o la preponderanza dell’export rispetto ai consumi interni. Inoltre, gli obiettivi relativi al Welfare State e al raggiungimento di alcuni diritti fondamentali sono ancora lontani. È proprio questa una delle questioni che hanno affrontato Scarpari, Prodi e Stafutti: contano di più i dati senza dubbio positivi del medio periodo o l’incertezza del presente? E ancora, questi dati riusciranno a mantenere un segno positivo anche nel lungo periodo?

[box type=”shadow” align=”alignright” class=”” width=””][/box]È alla luce di tutto questo che il Confucianesimo sta tornando alla ribalta: non solo le università e i centri di ricerca, ma anche il governo e il partito comunista hanno messo in atto un recupero dei valori tipici di questa filosofia – chiamarla religione sarebbe improprio – che affonda le sue radici già nel 500 a.C.

Si tratta di un cambio di rotta significativo, se si pensa che solamente negli anni Settanta uno degli slogan più famosi di Jiang Qing, la quarta moglie di Mao, era “critichiamo Confucio per criticare Lin Biao”, politico e scrittore accusato, insieme a Zhou Enlai, di voler riportare indietro la storia cinese, proprio come Confucio con il tentativo di ripristinare la dinastia Zhou nel periodo dei regni combattenti. Le ragioni della scelta di Xi Jinping? È un Gattopardo al contrario: tutto ai vertici deve restare uguale, affinché nella società tutto cambi. E dunque va bene richiamare i principi socialisti ad ogni Congresso del Partito, purché all’esterno si operi un recupero delle tradizioni che rafforzi l’unità del Paese, e di conseguenza l’unità politica, e che allo stesso tempo consenta di attuare le trasformazioni necessarie a proiettare la Cina nella modernità.

Allo stesso modo, con il recupero dei valori confuciani il governo cinese riesce a giustificare, almeno parzialmente, il recente rallentamento economico, presentando un ritmo di crescita del 7%, quindi inferiore rispetto a quello degli scorsi anni, come la “nuova normalità”. Sulla stessa falsariga va letta la creazione dell’AIIB, la Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture, creata dalla Repubblica Popolare nel momento più favorevole per il renminbi. La Cina punta a un ruolo di primo piano nello scenario internazionale, e il recupero dei valori confuciani è parte integrante di questa strategia, che affianca alla potenza economica un notevole investimento in termini di soft power – prima spina nel fianco, ora asso nella manica del governo cinese. A tal proposito, basti pensare agli istituti di cultura cinese nel mondo, non a caso ribattezzati Istituti Confucio, o all’Ode alla Virtù commissionata all’Orchestra di Shenzhen nel 2013, che coniuga la tradizione marxista a una più profonda anima cinese.

La dottrina confuciana viene dunque riscoperta, ma anche reinventata: se già nel 2005 l’allora presidente Hu Jintao aveva riportato in auge il concetto di hé (和), armonia, ora Xi Jinping riprende alcuni valori propri delle campagne cinesi, dove il Confucianesimo da sempre ha avuto un peso maggiore, come quello di jiéjiăn (节俭), frugalità, per applicarli a ogni aspetto della società e del Partito. Questo recupero dei principi delle campagne è stato accolto con favore dal ceto urbano, soprattutto nelle città di seconda e terza fascia, quindi di medie dimensioni: in crescita costante, ma faticosa, puntano a rinunciare al capitalismo ruggente degli scorsi decenni, inevitabilmente legato a casi di corruzione e a sperequazioni sociali, per riappropriarsi di un modo di vivere e di pensare più marcatamente cinese.

Un esempio? Il recupero della pietà filiale, valore che negli anni Venti era osteggiato perché considerato il fondamento dei rapporti dispotici e che oggi invece rischia quasi di essere mistificato. La copertina di Ritorno a Confucio è emblematica: un uomo accudisce il padre anziano, e suo figlio trae esempio e fa lo stesso con lui; di lato, una chioccia si prende cura dei suoi pulcini, a simboleggiare che si tratta di un valore a doppio senso; sullo sfondo, un sole giallo ha le fattezze di Mao e un timbro rosso riporta i caratteri della parola “sogno”, ideale riproposto varie volte da Xi Jinping. Come a voler tenere unita la società cinese fino ai livelli più bassi, il Confucianesimo diventa funzionale a mantenere un controllo politico ed economico ad ampio raggio. Gli esiti di lungo periodo di questo ritorno del confucianesimo non si possono ancora prevedere; tuttavia, Scarpari è convinto che darà il la ad una nuova epoca.

Del resto, se oggi Xi è considerato il maggior statista dopo Mao e Deng, probabilmente lo deve anche alla sapiente miscela di socialismo novecentesco, capitalismo del XXI secolo e tradizioni millenarie; e come nel secolo scorso un parziale recupero del confucianesimo salvò la Cina dagli effetti più nefasti della Rivoluzione Culturale, così oggi potrà salvarla dalla furia del mercato, riconciliandola con il mondo moderno e rendendola più comprensibile – oltre che più seducente – agli occhi dell’Occidente. Perché, come dice Confucio ad un suo discepolo, “il primo obiettivo deve essere la prosperità; ma se qualcosa è già prospero, bisogna educarlo”: e il Paese di Confucio è la perfetta trasposizione di questa massima.

Francesca Berneri

Foto: Eduardo Godin

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Francesca Berneri
Francesca Berneri

Sono nata a Cremona nel 1990. Nel 2014 ho conseguito la laurea magistrale in Relazioni Internazionali all’Università di Pavia. Sempre a Pavia, ho avuto l’opportunità di approfondire i miei interessi grazie allo IUSS e al Collegio Ghislieri. Nel frattempo, ho frequentato la Beijing Language and Culture University e l’Institut d’Études Politiques di Bordeaux, dove ho imparato ad affrontare, rispettivamente, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi.

Amo l’arte, i viaggi, il cinema e la letteratura; mi diletto di fotografia, e come dice Steve McCurry, in un mondo dove niente sembra durevole, vorrei riuscire ad essere “part of the conversation”.

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