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La Difesa può essere ‘smart’?

Si chiama “Smart Defence” ed è l’innovativo piano strategico elaborato dalla NATO e reso pubblico a maggio 2012. Basata su una razionalizzazione delle forze disponibili, la strategia consentirebbe di ottimizzare le risorse e di portare a specializzazioni da parte dei Paesi membri. Attenzione però alle differenze di vedute tra le due sponde dell’Atlantico: se per l’Europa tale strategia può essere calzante, difficilmente potrebbe esserlo per gli USA

 

BE SMART! – Il 12 maggio 2012 a Chicago si è tenuto un Summit tra i principali Capi di Stato e di Governo dell’Alleanza Atlantica, con l’obiettivo dichiarato di discutere un innovativo “piano strategico” per il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza entro il 2020, battezzato Smart Defence. Volendo essere concisi, la Smart Defence è un nuovo modo di organizzazione, gestione e impiego di risorse e forze più razionale. La sua formulazione è dovuta alla necessità di non togliere efficacia allo strumento militare dell’Alleanza in un periodo in cui la crisi economica può portare a tagli nei bilanci della difesa dei vari Paesi. In effetti è abbastanza comprensibile che in presenza di una riduzione del budget, le capacità di intervento e di gestione in momenti di crisi, vengano depotenziate o addirittura compromesse. Inoltre il “peccato originale” dell’Alleanza, ovvero il gap politico-militare tra Stati Uniti e paesi Europei, finirebbe solo con l’aumentare. Risulta quindi importante mantenere alti gli standard operativi con l’obiettivo di una maggiore integrazione.  

 

COME FUNZIONA? – Si potrebbe sostenere che lo scopo sia una più equa ripartizione del sistema di difesa alleato. In linea generale, un approccio Smart Defence consisterebbe nell’individuazione di priorità tecnologiche, politiche, militari riferite alla NATO nel suo complesso, e successivamente il loro progressivo allineamento con quelle dei singoli Paesi membri in modo da favorire una “naturale” specializzazione. In questo modo si raggiungerebbero due effetti immediati: si limiterebbe lo spreco di risorse in duplicati, mentre la cooperazione verrebbe costretta ad erigersi ad un livello più alto. Va da sé, infatti, che la specializzazione non può venire attuata se non in presenza di un piano di sviluppo complessivo conosciuto ed accettato da tutti i membri. Difesa missilistica, intelligence e sorveglianza, ricognizione, addestramento all’ingaggio ed estrazione, sono tutte aree dove la NATO ha bisogno di una maggiore unità di vedute e di sviluppo. La Smart Defence è senza dubbio un acceleratore di questa auspicata unità.  

 

ESEMPI CONCRETI: LIBIA E AFGHANISTAN – Per esempio, sulla spinta dell’esperienza in Libia,  al summit di Chicago è stato presentato il NATO Universal Armaments Interface, ovvero un progetto con l’obiettivo di rendere i velivoli da combattimento capaci  di usare munizioni diverse paese per paese, con un evidente  aumento della  flessibilità e operatività. Le operazioni in Libia sono alla base anche della Multinational Cooperation on Munition, ovvero una maggiore disponibilità e fruibilità soprattutto di munizioni guidate di alta precisione, che, dato il loro considerevole costo, sono difficili da “rimpiazzare” dagli arsenali delle singole nazioni. Anche il riordino della logistica rientra tra i bisogni di una maggiore concertazione tra i membri dell’Alleanza. L’Afghanistan ha mostrato come sia necessaria una partnership per l’approvvigionamento di carburante per le forze  dispiegate. Il Multinational Logistic Partnership for Fuel Handling, presentato anch’esso al summit, è la risposta a questa necessità.

 

RUOLI E COMPITI – Dal punto di vista dei rapporti politici tra Alleati, che cosa potrebbe comportare in più una Smart Defence perfettamente operativa? Dobbiamo infatti ricordare che una delle cause iniziali di questa iniziativa sia da ricercare nella crisi economica mondiale e quindi nella necessità di ridistribuire compiti e obiettivi tra gli alleati. Sembra molto plausibile però sostenere che la ratio della Smart Defence sopravvivrà anche in vista di una ripresa dei PIL, e quindi è utile ragionare sugli effetti di lungo termine che potranno avverarsi. Il primo e più immediato di questi effetti riguarda i paesi europei, ed è sicuramente l’instaurarsi di una cooperazione rafforzata che, se inserita in una cornice più o meno istituzionale, sarà una fortissima spinta verso l’integrazione politica (almeno per il settore della Difesa). Nella prospettiva dei Paesi UE (non tutti appartenenti alla NATO) questa è una possibilità da non sottovalutare data la cronica inerzia delle élites politiche nazionali ad andare oltre l’integrazione economica.

 

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MARTE VS VENERE – Il secondo possibile effetto riguarda il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico. Se infatti il gap tecnologico-militare andrebbe a diminuire è auspicabile che diminuisca anche dal punto di vista della “maturità politica” nell’utilizzazione dello strumento delle Forze Armate nelle Relazioni Internazionali. Senza dover scomodare per forza il paragone neo-conservatore degli americani provenienti da Marte mentre gli europei da Venere, è però un fatto conclamato che da questo punto di vista Washington abbia meno problemi (anche in termini di pressione dell’opinione pubblica). Un’accresciuta consapevolezza da parte delle cancellerie continentali non solo di avere uno strumento efficace ma anche di sapere per cosa e come usarlo renderebbe meno sbilanciata la struttura stessa dell’Alleanza, oggi troppo caricata sulla capacità americana di intervento. Questi fattori però ci portano anche a delineare il principale svantaggio della Smart Defence. Da quanto detto finora risulta infatti che l’area di maggiore impatto di questa strategia è quella europea. Anzi, sembra disegnata apposta per i partner del vecchio Mondo. È irrealistico pensare, per esempio, che la specializzazione riguarderà anche gli Stati Uniti, e questo semplicemente perché essi sono (e vogliono rimanere) autonomi e indipendenti per la loro sicurezza nazionale. Essi sono come le cellule staminali dei neonati, “totipotenti”. Detto in estrema sintesi, gli USA possono fare a meno della NATO, gli europei (o almeno alcuni di essi) molto meno. Se guardiamo alla storia recente delle relazioni euro atlantiche ci accorgeremo che tutto ruota su due paradossi: quello USA di rimanere predominanti in campo militare ma al contempo non troppo soggetti all’overstrechting (cioè l’impossibilità di gestire contemporaneamente troppe aree di crisi); e quello europeo di un desiderio di una maggiore autonomia e unità decisionale ma senza i rischi di azioni politiche dirette e troppo trancianti (si pensi a come sono state gestite nel tempo le crisi balcaniche). Una Smart Defence concepita esclusivamente come risposta a situazioni di contingenza non farebbe altro che acuire questa asimmetria e nel lungo periodo porterebbe a ben pochi benefici per entrambi i polmoni dell’Alleanza. Se al contrario, il suo approccio verrà impostato come parte integrante di un cammino nel reciproco e mutuale aiuto nella gestione delle crisi internazionali – sempre meno chiare e di facile risoluzione – saremo in grado tutti, americani ed europei, di rendere l’Alleanza Atlantica uno strumento sempre più duraturo e adatto alle circostanze.  

 

Daniele Meneghini

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