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Come si ritorna dallo spazio

Manca un giorno al ritorno della nostra astronauta Samantha Cristoforetti dalla Stazione spaziale internazionale. In questa analisi della nostra rubrica spaziale vediamo come si ritorna a Terra dallo spazio

NORME INTERNAZIONALI – Ritornare sul nostro pianeta dallo spazio è uno dei momenti piĂą critici di un’intera missione. La Terra è circondata da un’atmosfera piuttosto densa (per fortuna, altrimenti non esisteremmo) e qualsiasi veicolo spaziale con equipaggio deve averci a che fare prima o poi. Sin dall’inizio dei voli spaziali con astronauti e a bordo si pose il problema di istituire un sistema che tutelasse questi ultimi in caso di atterraggi o ammaraggi fuori obiettivo e nei pressi di Paesi diversi da quello di nazionalitĂ . Il fatto che Stati Uniti e Unione Sovietica, all’epoca unici Stati con un programma spaziale che prevedeva voli con equipaggio, fossero nemici aumentava la necessitĂ  di queste norme. Nel 1966, la missione statunitense Gemini-8 fu costretta a rientrare molto prima del previsto a causa di un malfunzionamento che aveva messo a rischio la vita dei due astronauti in orbita (uno dei quali era Neil Armstrong, futuro primo uomo a camminare sulla Luna). Il controllo missione di Houston riuscì a fare in modo che la capsula ammarasse a largo dell’isola giapponese di Okinawa, non troppo lontano da un’improvvisata flotta di recupero, ma il rischio di dover ammarare in acque territoriali di un Paese non alleato degli Stati Uniti fu concreto.  Il Trattato sull’uso dello spazio (Outer Space Treaty – OST) del 1967 contiene, all’Articolo V, alcune norme generali che impongono agli Stati parte di prestare soccorso agli astronauti in difficoltĂ  in quanto considerati “inviati dell’umanitĂ ”. L’anno successivo entrò in vigore un trattato apposito denominato Accordo sul soccorso agli astronauti, il rientro degli astronauti e il rientro di oggetti lanciati nello spazio (Agreement on the Rescue of Astronauts, the Return of Astronauts and the Return of Objects Launched into Outer Space). Il Trattato è composto di soli 10 articoli, ma contiene norme piĂą approfondite rispetto all’OST relativamente al soccorso agli astronauti in difficoltĂ  sia nello spazio sia una volta rientrati sulla Terra.

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Fig. 1 – Il modulo di comando dell’Apollo 11 dopo lo splashdown nell’Oceano Pacifico

COME SI RIENTRA DALLO SPAZIO – Innanzitutto, per poter sopravvivere a un rientro atmosferico è necessario che il veicolo spaziale sia dotato di uno scudo termico in grado di proteggerlo dall’elevato calore che si sviluppa a causa dell’attrito con l’aria (le temperature raggiungono anche i 1400 gradi centigradi). Inoltre, il sistema di guida del veicolo deve essere in grado di mantenere l’assetto ottimale, per evitare che le violente forze aerodinamiche che agiscono in questa fase lo facciano a pezzi. Esistono due modi per rientrare nell’atmosfera terrestre. Il primo è quello che veniva usato dalle capsule Apollo all’epoca delle missioni lunari: il veicolo spaziale che tornava dallo spazio lunare veniva messo su una traiettoria che intercettava gli strati piĂą alti dell’atmosfera. La velocitĂ  d’impatto con l’aria era molto alta, così come il calore sviluppato. Il secondo e piĂą comune, il rientro dall’orbita terrestre bassa, è piĂą “gentile”. Si accendono i motori per diminuire la velocitĂ  orbitale fino al punto che il perigeo (il punto piĂą basso) dell’orbita intercetti l’atmosfera. DopodichĂ© gli effetti sono molto simili alla modalitĂ  di rientro descritta in precedenza, eccetto per il calore sviluppato e le forze aerodinamiche, che sono inferiori a causa della minor velocitĂ  d’impatto con l’aria.

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Fig. 2 – Lo Space Shuttle Discovery in fase di atterraggio

TIPI DI ATTERRAGGIO – Superata la fase del rientro atmosferico, il veicolo deve “toccare terra”. Fino ad oggi sono tre le modalitĂ  con cui ciò è avvenuto e avviene.
La prima è il celebre ammaraggio (splashdown) utilizzato dagli Stati Uniti fino al programma Apollo ed usato oggi dalla Space-X per recuperare la sua capsula automatica di rifornimento Dragon. In questa modalitĂ , la capsula, frenata da paracadute, semplicemente si “tuffa” nell’oceano. Equipaggio e veicolo vengono poi recuperati da una flotta inviata appositamente nei pressi del punto previsto.
La seconda è quella tutt’ora utilizzata dalla Russia e che vede il veicolo spaziale colpire il suolo frenato da paracadute e da piccoli motori che si accendono a un secondo dall’impatto per renderlo piĂą “dolce” per l’equipaggio.
La terza è un classico atterraggio simile a quello degli aerei (o, piĂą propriamente, degli alianti) che era utilizzato dallo Space Shuttle ed è tutt’ora utilizzato dal veicolo sperimentale senza equipaggio X-37B dell’Aeronautica USA. In realtĂ , il prossimo futuro vedrĂ  anche una quarta modalitĂ  per toccare il suolo dopo un volo spaziale. La Space-X sta infatti studiando per la variante con equipaggio della sua capsula Dragon un sistema d’atterraggio basato su retrorazzi in grado di far arrivare il veicolo direttamente su un’apposita piazzola che sarĂ  costruita alla Cape Canaveral Air Force Station in Florida.

Video 1 – Atterraggio della capsula Soyuz in Kazakhstan

Emiliano Battisti

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

Scudo termico: il sistema di protezione del veicolo spaziale dal calore del rientro può essere ablativo o ad assorbimento termico. Il primo serve a resistere a un livello di calore maggiore e si consuma completamente durante il rientro. Il secondo funziona a temperature minori e può essere riutilizzato più volte, come quello dello Space Shuttle, che era basato su piastrelle di fibra di vetro al quarzo.

Gemini-8: la missione prevedeva il primo aggancio in orbita tra due veicoli, uno con e uno senza equipaggio chiamato Agena. I due astronauti a bordo della Gemini erano Neil Armstrong (comandante) e David Scott (pilota), entrambi al primo volo. Dopo l’aggancio in orbita perfettamente riuscito, uno dei piccoli motori per il controllo dell’assetto della Gemini iniziò a funzionare in modo anomalo, portando la capsula e l’Agena a una rotazione incontrollata. Armstrong fu in grado di sganciarsi e di riportare la capsula a un volo controllato, ma l’utilizzo del carburante di riserva portò a un rientro a Terra anticipato. [/box]

Foto: europeanspaceagency

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Emiliano Battisti
Emiliano Battisti

Consulente per la comunicazione per un’azienda spaziale e Project Officer and Communications per OSDIFE, sono Segretario Generale e Direttore della comunicazione dell’APS Il Caffè Geopolitico e Coordinatore dei desk Nord America e Spazio. Ho pubblicato il libro “Storie Spaziali”.

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